Si è consumato il rito, democratico, dello scioglimento del Parlamento con la convocazione dei comizi elettorali.
Rischia di spegnersi anche, con la frammentazione del sistema dei partiti, in un clima di sfiducia e distacco dalla Istituzioni che riguarda molte persone, l'auspicio di vedere all'orizzonte un parlamento, espressione della sovranità che appartiene al popolo, rappresentativo della società e dei suoi contrasti, formato da persone scelte dai loro elettori, valorizzando meriti e competenze, che adempiano alla pubblica funzione con dignità e onore nell'interesse generale.
Come dice l'art.67 della Costituzione, rappresentanti della Nazione senza vincolo di mandato, per garantirne, come predicava la costituzione giacobina la soggezione all'interesse generale.
Piero Calamadrei, in "Passato e avvenire della Resistenza", ricorda che subito dopo la Liberazione, "ci fu un periodo in cui ci illudemmo che la Resistenza, finita la guerra, fosse diventata una forza di pace, di pacificazione, di governo".
Fu la breve estate del governo Parri, annunciata a Piero, poco prima che il comandane Maurizio formasse il suo governo da Benedetto Croce.
Croce aveva detto, per alimentare quella speranza destinata bruscamente ad essere, a breve, stroncata: "Gli uomini nuovi verranno. Bisogna non lasciarsi scoraggiare dal feticismo delle competenze. Gli uomini onesti assumano con coraggio i posti di responsabilità, e attraverso l'esperienza gli adatti non tarderanno a rivelarsi".
Poche settimane dopo salì al governo un uomo nuovo, e coraggioso che non illuse e non deluse, "parlava senza enfasi e senza iattanza, lavorava 18 ore su ventiquattro, ascoltava gli umili con umana pazienza e riportava a poco a poco nella torbida indifferenza della burocrazia governativa il calore di un nuovo impegno morale; la sua onesta figura era ogni giorno un rimprovero e un ammonimento, ogni giorno la sua pacatezza laboriosa ricordava agli immemori che in Italia era nato qualcosa di nuovo": questo era il governo della Resistenza", abbattuto dopo pochi mesi da intrighi di politicanti che inaugurarono la stagione della "desistenza".
Al cospetto di quell'esempio, come ignorare che il parlamento che lascia è quello dei nominati con iperpremio illegittimo del Porcellum?
Con nuovi nominato all'orizzonte in gran numero per effetto del Rosatellum?
La sentenza della Corte costituzionale e la successiva sentenza della Corte di Cassazione, emessa nel giudizio di merito, che accertarono la violazione del diritto dei cittadini di votare secondo Costituzione, non avrebbe dovuto consentire di avventurarsi sul terreno di una riforma costituzionale, peraltro approvata a colpi di maggioranza (per di più governativa, dunque di parte).
Il mantra della legislatura costituente ebbe il sopravvento e divise profondamente i cittadini italiani che nel 1947 si erano uniti intorno alla loro Costituzione.
Il no referendario del 4 dicembre bocciò inesorabilmente non solo il merito, ma anche il metodo e non deve ora essere eluso.
Già nel 2006 si tentò analogo colpo di mano ad opera di altra maggioranza, ugualmente bocciato dai cittadini che, evidentemente ripongono più fiducia nel padre costituente che negli improvvisati e interessati, per vari motivi, "riformatori".
Se una lezione utile, a tutti gli italiani, può ricavarsi dal referendum del 4 dicembre è questa: No a stravolgimenti della Costituzione e mai riforme a colpi di maggioranze transeunti, che riducono la Costituzione di tutti a ordinamento parziale, disgregando lo spirito repubblicano.
Rafforzare dunque i meccanismi di messa in sicurezza dell'impianto costituzionale.
E dunque la forma parlamentare repubblicana, che non significhi governo dell'assemblea ma nemmeno esautori la stessa, luogo di espressione del conflitto e delle differenze.
E ancora, garanzie circa l'effettività dei diritti civili e sociali fondamentali e della persona.
Quel che i rivoluzionari dell'89 definivano Costituzione.
Che non c'è dove non sono garantiti i diritti dell'uomo e la separazione o bilanciamento dei poteri, casomai da espandere, dando voce alla cittadinanza attraverso nuove e più intense forme di effettiva partecipazione.
Penso al riguardo al modello del Defensor del pueblo dell'area ibero americana o al Défenseuer des droits della vicina Francia o all'Ombudsman scandinavo: strumenti tutti di rilevanza costituzionale e protagonisti d un ulteriore bilanciamento del potere (che, se diviso, funziona meglio secondo l'insegnamento del barone di Montesquieu): nell'interesse generale e del cittadino a tutela, in via non giurisdizionale, del principio di buona amministrazione.
Aggiornamenti sì, purché condivisi a larga maggioranza e sempre soggetti al voto popolare, con un parlamento realmente rappresentativo.
In questi giorni riaffiora nel discorso di taluni l'idea di una ennesima legislatura costituente, dal Renzi non pago della sconfitta referendaria al ministro Calenda.
È allora utile rammentare la lezione dei referendum del 2006 e del 2016.
Ancor più invitare chi si presenterà alle prossime elezioni ad impegnarsi al rispetto di quella lezione in primo luogo di metodo.
Andremo ora a votare, ancora una volta, con la grave incognita di una legge elettorale di una sola parte del parlamento, sub judice, in quanto fortemente sospettata di illegittimità costituzionale, a partire dalla fiducia imposta per votarla per venire al pacco offerto agli elettori che scegliendo il candidato uninominale vedranno eletti nella lista plurinominale persone che non hanno scelto e non conoscono.
A maggior ragione, onde evitare che quelle storie "riformatrici" si ripetano condannando il paese ad una nuova stagione di immobilismo e di divisione, è necessario chiedere a chi verrà candidato a rappresentare gli italiani di rispettare quella lezione di metodo.
Per non allontanare il paese reale, come si diceva un tempo, dal paese legale, il palazzo pasoliniano.
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Gaetano Azzariti
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