La limitazione del potere, il compito del costituzionalista

di Gaetano Azzariti - ilmanifesto.it - 20/04/2025
Alessandro Pace Si è spento venerdì a Roma all’età di 89 anni uno dei più tenaci sostenitori di un costituzionalismo rigoroso nelle forme e intransigente nel contenuto.

Alessandro Pace, che si è spento venerdì a Roma all’età di 89 anni, è stato un vero maestro per tutti noi costituzionalisti. Un gran signore nei modi e nello spirito. Uno dei più tenaci sostenitori di un costituzionalismo rigoroso nelle forme e intransigente nel contenuto. Autore di testi che sono entrati nella storia della nostra disciplina, ha svolto un’infaticabile attività di avvocato. Un liberale coerente che si è prodigato con trasporto in un impegno civile appassionato. Quando il centrodestra guidato da Silvio Berlusconi ha dato l’assalto alla costituzione, Alessandro Pace si è esposto come pochi altri per contrastare il disegno di “grande riforma”, poi naufragato con il referendum popolare del 2006. Sempre dalla parte della costituzione, anche quando dieci anni dopo fu il centrosinistra di Renzi a provare a stravolgerne i principi. Una lotta rigorosa e senza tregua che lo portò a presiedere il comitato per il No sino alla vittoria referendaria del 2016.

Volendo qui e ora dare una qualificazione sintetica alla personalità scientifica di Pace potremmo definirlo un giurista ex parte populi. Delle due missioni del costituzionalismo – fondare il potere per poi limitarlo – egli ha prediletto decisamente il secondo polo: la limitazione del potere come compito del costituzionalista.

Pace ha inteso il diritto come uno strumento di difesa e garanzia delle libertà costituzionali che non può trovare una sua legittimazione solo in generici valori sociali, bensì deve rinvenire il suo fondamento anche – se non soprattutto – nel rigore della forma. Non può, però, dirsi che Pace sia stato solo un formalista, sebbene egli abbia dato un grande peso alla forma come garanzia. Anzi, proprio questa intransigenza teorica lo ha portato a dare risalto al dato, al fatto, alla parola scritta, al testo delle norme e alle logiche proprie del diritto come scienza, alla Costituzione come legge suprema e atto fondante la società politica. Come per il suo maestro, Carlo Esposito, anche per lui il rigore della forma si è andato coniugando con – s’è posto al servizio di – un realismo per nulla astratto.

Pace ha definito questo suo metodo “positivismo moderato”, in polemica tanto con il “positivismo ideologico”, quanto e ancor più con quell’approccio valoriale (teoria dei valori) che egli ha sempre vivacemente contestato. Modalità che rischiano a suo parere di compromettere la stessa funzione di difesa dei diritti della costituzione lasciando troppo spazio agli interpreti. Ha sempre diffidato dalla libertà dell’interprete se questa va a scapito dalla lettera della costituzione.

«La grande sfida che si pone oggi al costituzionalismo – scriverà in proposito – è quella di ritrovare la propria identità originaria di teoria giuridica che limiti il potere politico». Non può conseguirsi questo risultato se si pretende di far prevalere, pur se con le migliori intenzioni, un proprio giudizio soggettivo. È solo il rispetto rigoroso di quei “valori positivizzati” esplicitamente inscritti nella costituzione che legittima la loro salvaguardia. È per questo – conclude in termini risoluti – che la scelta del metodo del positivismo temperato – «è senza dubbio quello che soddisfa queste finalità garantiste» meglio di ogni altra.

Un rigore formale che ha fatto molto discutere. Non solo chi – eccedendo – ha parlato di «miseria del positivismo», ispirandosi a ragioni che vanno al di là del testo scritto, magari radicando la propria visione del diritto e la tutela delle libertà dei consociati su ciò che v’è oltre la norma (l’etica, la ragione illuminista, la storia, la politica, l’indeterminatezza dei valori); ma anche chi ha provato ad andare alla ricerca di un “positivismo critico” nella convinzione che il passaggio dal fatto al diritto non sia riducibile ad una ermeneutica formale e che al giurista non spetti solo il compito di dare forma al diritto, ma anche quello di fornire un ordine costituzionalmente orientato, entro un ordito non preordinato.

In fondo, proprio l’altro maestro di Pace, Vezio Crisafulli, ricordava come le costituzioni debbano essere interpretate magis ut valeat. Non è questa la sede, né il momento, di discutere di queste questioni di fondo del costituzionalismo contemporaneo, qui importa rilevare come il positivismo temperato di Pace si lega intimamente ad una volontà caparbia di salvaguardare al massimo grado la portata della costituzione come testo certamente giuridico, ma anche politico, in una «piena adesione ai valori liberaldemocratici sottesi alla nostra costituzione», come ebbe egli stesso a chiarire. In un tempo di progressiva erosione di questi valori (per non dire di quelli giacobini e solidaristici che pure innervano i principi della nostra costituzione repubblicana) una lezione da ricordare, un metodo da richiamare. Grazie Alessandro per il tuo magistero.

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