Morire per il lavoro è solo una questione di sinistra?

di Carlo Sorgi, - Costituzione e Democrazia Forlì - 10/06/2025
Ritenevo in tutta onestà che il risultato, per quanto difficilissimo, potesse essere raggiunto se solo avessimo avuto la forza di informare tutti gli elettori dei contenuti dei referendum.

Ho partecipato a molti incontri per illustrare i temi dei referendum dell’8 e 9 giugno.

Partivo nei miei interventi sempre con l’immagine di una torta e dicevo: “dividete una torta a metà e una delle due dividetela ancora in due. Quelli siamo noi, circa il 25% di progressisti . Per vincere il referendum dobbiamo prendere una fetta dell’altro quarto ( il fronte del centro-destra ) e una fetta della metà ( le astensioni). Solo così potremo arrivare a coprire metà torta per arrivare al quorum del 50% + 1”.

Ritenevo in tutta onestà che il risultato, per quanto difficilissimo, potesse essere raggiunto se solo avessimo avuto la forza di informare tutti gli elettori dei contenuti dei referendum. Come esempio ho scritto un articolo dal titolo : Morire per lavoro è di destra o di sinistra? ( 1 )

Il bavaglio ai mezzi di informazione è stato il nemico più grande che ha impedito la corretta comunicazione dei contenuti dei referendum . Chi ha il potere sa come utilizzarlo.

C’era qualche sintomo positivo, andavo all’Università, a parlare del referendum sulla cittadinanza, e vedevo giovani interessati.

Poi sabato 7 giugno a Roma alla manifestazione per Gaza di fronte a quella marea di persone non si poteva che avere il cuore pieno di orgoglio e, perché no, di speranza. Ma forse è stato quello il canto del cigno perché quella manifestazione se ha visto moltissimi giovani impegnati per la pace ha visto anche i partiti, che la organizzavano, salire, per altro legittimamente, con i loro segretari sul palco e fare riferimento ai referendum invitando a votare. Non poteva che essere così. Però a quel punto doveva essere chiaro che i referendum si politicizzavano sempre più, come esattamente voleva la destra, e diventavano qualcosa che aveva a che vedere con i partiti progressisti e la torta tornava ad essere formata quasi esclusivamente dal primo quarto o poco più. Quindi impossibile vincere così i referendum.

Due possono essere le analisi del voto referendario, una da elettore del centro sinistra e una da cittadino.

Iniziamo con la prima, la lettura da elettore. Già il 30% come risultato finale appare in questo senso un ottimo dato rispetto al peso politico elettorale del centro sinistra. Parliamo ovviamente del peso valutando il dato dei votanti effettivi perché se consideriamo la fisiologica astensione che possiamo oramai collocare intorno al 50% ( ultimo dato alle europee 2024 astensione oltre tale soglia ) allora su un corpo elettorale effettivo di 23 milioni ( dati 46 milioni come intero corpo elettorale ) i 14 milioni di elettori votanti nel referendum costituiscono il 60% di questo corpo elettorale.

Qui però si esauriscono gli aspetti positivi. Torniamo con la lente del cittadino che ambisce al progresso sociale e civile del paese, o almeno vorrebbe evitare un arretramento dei diritti civili.

Il dato appena ricordato dei votanti non può essere una consolazione perché abbiamo perso in maniera inequivocabile. Infatti l’obiettivo era abrogare delle norme e non fare il braccio di ferro con il centro destra, anche perché la competizione era drogata dalle astensioni troppo rilevanti per rendere i dati credibili. Questo lo sapevamo ma allora sbagliato fare dei referendum una occasione di scontro politico destra-sinistra . La frase:” diamo una spallata al governo Meloni” (2 ) ha fatto più danni del caldo della domenica del voto. Un approccio del genere voleva necessariamente dire contarsi nei rispettivi schieramenti. Lo hanno intuito gli elettori di centro destra che a quel punto non sono andati a votare per i referendum “ di sinistra” e lo hanno capito anche quasi tutti quelli che si astengono perché stanchi dei partiti. Quindi nonostante avessimo dei motivi ottimi per ogni quesito ( il confronto nel merito infatti era inesistente ) non siamo riusciti ad ottenere il risultato per il quale in tanti ci siamo impegnati.

L’elemento che deve più allarmare è la percentuale dei no al quesito n.5 quelle che voleva diminuire i termini per richiedere la cittadinanza da dieci a cinque anni, per altro in presenza di tanti altri requisiti che rendono la cittadinanza non un diritto ma una concessione. Scriveva Alessandra Algostino, costituzionalista dell’Università di Torino: “Il referendum sulla cittadinanza è un piccolo passo, molto piccolo: la cittadinanza resta concessione e non diritto, l’universalità dei diritti non vince sulla cittadinanza; ma è un segnale controcorrente” (3 ). Solo 9 milioni si sono espresso favorevolmente mentre dall’altra parte insieme agli oltre 4,5 milioni di no c’è il 70% di chi non ha votato.

Allora si comprende come il nodo sia culturale ed in questo senso siamo in ritardo e non possiamo pensare ai referendum come scorciatoia per il mero consenso.

Togliamo la scusa del referendum sull’autonomia differenziata, non ammesso dalla Corte Costituzionale dopo le modifiche dalla stessa introdotta al testo normativo che lo hanno destrutturato. Dato il risultato è altamente probabile che anche con il traino di questo sesto quesito non si sarebbe raggiunto il quorum , nonostante il possibile traino nel voto meridionale deficitario in questa tornata ( ma la regione con la percentuale più bassa è il Trentino). Allora meglio la sentenza della Corte Costituzionale che ha impedito alla scriteriata legge sull’autonomia differenziata di fare danni per tutto il paese.

Resta la fatidica domanda: che fare? Personalmente per una volta dissento dalla Schlein che si dichiara soddisfatta del risultato( 4 ) e minimizza sul quesito della cittadinanza ( 5 ). Chiaramente la segretaria del PD si riferisce ad una lettura politica e deve tener conto anche della fronda interna che si è sempre dimostrata critica e da questo punto di vista il risultato per lei può essere considerato positivo.

 Il primo passo oggi credo sia quello di riconoscere la sconfitta, come ha fatto Landini( 6). In seguito si analizzeranno i flussi.

Ma dobbiamo prepararci ai prossimi appuntamenti. Non parlo di quelli elettorali, le regionali , che sono un dato politico che pure non potrà non risentire dei referendum in termini di partecipazione, con una astensione presumibilmente molto alta.

Penso alle prossime scadenze in termini di riforme istituzionali che il governo continua a portare avanti e porterà indipendentemente dai risultati delle regionali ( anzi a maggior ragione se negativi per la propria parte).

Da questo punto di vista il prossimo banco di prova sarà la legge costituzionale sulla separazione delle carriere in magistratura. Il 18 giugno inizierà al Senato la lettura del testo e si concluderà a tappe forzate in pochi giorni. In seguito dopo la necessaria pausa prevista dal testo costituzionale di tre mesi per la seconda lettura (7 ) la legge di riforma costituzionale tornerà alle Camere e presumibilmente avremo la prima pubblicazione entro la fine dell’anno.

Da quel momento ci saranno altri tre mesi per presentare una domanda di referendum e raccogliere cinquecento mila firme ( a meno che la maggioranza come ha già annunciato non le porti ad un milione ) per impedire la seconda pubblicazione che determinerebbe automaticamente la promulgazione definitiva (8).

Anche la separazione delle carriere non è un tema di sinistra o di destra ma un tema che interessa tutti i cittadini quindi facciamo tesoro della esperienza appena passata.

Impediamo alla destra di parlare di riforma della giustizia perché non c’entra niente, ma anche il decreto sicurezza non c’entrava niente con la sicurezza eppure secondo parte dell’opinione pubblica bene ha fatto la destra a introdurre più sicurezza. Anche se non è vero è questo il messaggio populista che passa e non possiamo permetterlo.

Cominciamo ad informarci e a parlare del tema perché dopo l’estate, con la seconda lettura a marce forzate, avremo pochi mesi per formare i comitati per proporre il referendum oppositivo e per raccogliere le firme.

Facciamo in modo che i comitati si rivolgano a tutti i cittadini. Nel caso di referendum oppositivo, come quello sulla separazione delle carriere, non è necessario il quorum, vince chi prende un voto un più.

Questo è un bene e un male.

È un bene perché l’altra parte non potrà contare sull’astensione e non dovremo cercare il quorum. È un male perché disinformare è la cosa che riesce meglio alla destra e dovremo impegnarci per parlare con le persone, con tutti, per far capire cosa c’è dietro questo disegno, cioè la perdita dell’autonomia della magistratura. E la prospettiva non sarà una questione di sinistra ma di perdita di garanzie per tutti.

Non ne facciamo una crociata ma una questione di giusta informazione, che richiede tempo, formazione degli informatori, e la ricerca di un campo più largo di quello che serve a vincere una elezione comunale.

10 giugno 2025

Carlo Sorgi,

Costituzione e Democrazia Forlì

 

1 sul Fatto Quotidiano del I maggio è uscito l’articolo con il titolo “ I referendum di giugno non sono di destra o di sinistra: si parla di sicurezza sul lavoro” )

 2 Referendum, Boccia: “Se votano più di quelli che hanno eletto Meloni, sarà un primo avviso di sfratto”, Il Fatto Quotidiano 8 giugno

3 Cinque quesiti e l’esercizio del pensiero critico, Alessandra Algostino, Il Manifesto 20 maggio 2025

4 “Dopo questo fine settimana l’alternativa è più vicina grazie alla straordinaria piazza di sabato per Gaza e per i 14 milioni che sono andati a votare nonostante premier e maggioranza invitassero a fare l’opposto” La Repubblica 10 giugno

 5 “I sì hanno avuto una percentuale minore rispetto ai quesiti sul lavoro, ma sono stati sempre più dei no”, cit.

6 «Il nostro obiettivo era il quorum per cambiare le leggi: non l’abbiamo raggiunto. Non è una vittoria», Il Manifesto 10 giugno

7 art. 138 Cost. : Le leggi di revisione della Costituzione e le altre leggi costituzionali sono adottate da ciascuna Camera con due successive deliberazioni ad intervallo non minore di tre mesi”

8 art. 138 Cost:” II comma :” Le leggi stesse sono sottoposte a referendum popolare quando, entro tre mesi dalla loro pubblicazione, ne facciano domanda un quinto dei membri di una Camera o cinquecentomila elettori o cinque Consigli regionali. La legge sottoposta a referendum non è promulgata , se non è approvata dalla maggioranza dei voti validi “

 

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