In una recente intervista (il Dubbio, del 3 marzo) il ministro Francesco Boccia dichiara che «l’organizzazione territoriale della sanità è eccellente e lo sta dimostrando proprio in questa fase storica». Ma dice anche che «alcuni diritti inalienabili devono essere garantiti allo stesso modo in tutto il Paese … I livelli essenziali delle prestazioni previsti dalla riforma del titolo V del 2001 devono essere determinati una volta per tutte».
Afferma, ancora, che il potere nell’emergenza deve spettare allo Stato, e che a tal fine è necessaria una legge di puntuale attuazione. E partecipa al tavolo di coordinamento per la crisi coronavirus.
Un ministro uno e trino: promotore dell’autonomia differenziata, sostenitore del potere dello Stato, coordinatore nell’emergenza. Per alleviare il carico, vogliamo segnalargli che un fondamento sicuro per il potere statale esiste, ed è dato dall’art. 120 della Costituzione: « Il Governo può sostituirsi a organi delle Regioni, delle Città metropolitane, delle Province e dei Comuni nel caso di … pericolo grave per l’incolumità e la sicurezza pubblica, ovvero quando lo richiedono la tutela dell’unità giuridica o dell’unità economica e in particolare la tutela dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali, prescindendo dai confini territoriali dei governi locali».
La norma richiama per l’attuazione una legge, successivamente adottata (131/2003), che disegna il procedimento da seguire, ma prevede anche la possibilità nei casi di assoluta urgenza, di adottare immediatamente i «provvedimenti necessari» (articolo 8).
Il governo ha avuto dal primo istante, ha ora, e avrà in futuro, gli strumenti necessari per gestire la crisi senza lasciare spazio a isterie e voglie di protagonismo locale. Perché ne abbia fatto fin qui l’uso alluvionale e disordinato che bene descrive Ainis su la Repubblica del 3 marzo, è domanda alla quale ognuno può rispondere da sé. Ma di sicuro non sembra che un’altra legge sia preliminarmente necessaria, o utile.
Il ministro dovrebbe chiedersi se l’eccellente organizzazione territoriale da lui richiamata non sia almeno una concausa della crisi. Il deficit di posti di rianimazione/terapia intensiva che si va manifestando e la difficoltà di superarlo lo dimostra.
La sanità è il settore di massima regionalizzazione. La gestione del servizio è nelle mani degli amministratori regionali. E dunque il primo contrasto al virus doveva essere opposto dai sistemi sanitari regionali. La cacofonia delle voci, e l’iniziale voglia di protagonismo, ne hanno sancito il fallimento.
Quindi, la domanda che il ministro Boccia dovrebbe porsi anzitutto è: la proposta di legge-quadro per le autonomie differenziate che intendo portare in consiglio dei ministri avrebbe aiutato – laddove già vigente – ad affrontare la crisi?
Ad esempio, i livelli essenziali delle prestazioni, volti a limitare le diseguaglianze più che a garantire l’eguaglianza, sarebbero utili contro una emergenza che per definizione non si sa quali pressioni e domande porrà? C’è una realtà che la crisi del coronavirus mette in chiara evidenza: ed è che l’Italia delle venti repubblichette non è affatto da preferire all’Italia una e indivisibile. Lo sgangherato Titolo V del 2001 non ha reso un buon servizio al paese, approfondendo faglie e fratture e indebolendo la capacità di fare sistema. E la legge-quadro non contribuirebbe a chiarire dove alzare gli argini contro una frammentazione da evitare.
Le emergenze dimostrano che il fai da te non è soluzione utile. Pensiamo forse che una scuola regionalizzata avrebbe meglio evitato lo spontaneismo localistico che ha contribuito alla confusione e all’allarme sociale, e si chiude per il momento con la chiusura generalizzata decisa fino al 15 marzo? In egual modo, dobbiamo prendere atto che un servizio sanitario genuinamente nazionale è un ricordo o un auspicio, non una realtà.
Per fortuna la crisi coronavirus si è aperta al Nord. Si offre così occasione al Mezzogiorno di mostrare – come sottolinea il ministro Boccia – la propria solidarietà al Nord mettendo a disposizione i propri posti-letto di rianimazione.
Certo, tenendo conto che i tempi del trasporto infermi non sarebbero proprio rapidi. Non perché al Sud siano cialtroni, come direbbe il governatore Fontana. È che l’alta velocità in gran parte del Sud non arriva.