Chi era davvero Papa Francesco? Quale eredità lascia? È grande la parata di potenti. Ma per loro – inclusa la destra al governo in Italia – le ritualità non possono cancellare il profondo contrasto con le parole di Francesco sulla pace, i migranti, la giustizia sociale, gli ultimi, gli emarginati, l’ambiente. Si alza altissimo il muro delle ipocrisie. Forse l’Italia, che vive in diretta minuto per minuto le cerimonie funebri, non è il Paese in cui si può meglio mettere a fuoco quel che è stato e quel che sarà. Non aiuta l’incrocio occasionale con la politica interna, come accade con il 25 aprile. Francesco è figura complessa e per qualche verso contraddittoria, anche nella Chiesa. E si colloca in un tempo di cambiamenti veloci e devastanti.
Francesco, parroco globale. Ma il mondo è fratturato in concezioni contrapposte, e il papato di Francesco è elemento del conflitto. Lo vediamo in chiaro nell’attacco in un editoriale del Wall Street Journal (21 aprile) di cui cogliamo due frasi. La prima: Papa Francesco “credeva in ideologie che mantengono i poveri in povertà. Uno di quei dogmi terreni è l’ambientalismo radicale”. La seconda: “Il suo papato era segnato da antiamericanismo, e non soltanto contro Donald Trump. Sembrava credere che l’America Latina è povera perché gli Stati Uniti sono ricchi. Questa è una ricetta per stagnazione e disperazione”. Ecco la domanda. Può essere parroco del mondo il capo di una istituzione bimillenaria che è casa per un miliardo e trecento milioni di donne e uomini, diversi per storia, cultura, condizioni di vita, bisogni, speranze? Basta, o ci vuole altro? Come (e quanto) si governa un così vasto e diverso popolo? Anche a questo dovrà rispondere il Conclave.
L’opposizione più determinata e politicamente significativa al papato di Francesco la troviamo negli Stati Uniti. Dal New York Times (21 aprile) emerge come la critica a Francesco nella Chiesa Usa cammini in parallelo con il complessivo cambiamento socioculturale di quel Paese. Cresce insieme al trumpismo, con cui Francesco si scontra frontalmente. A riprova il giornale cita anche Civiltà cattolica del 15 luglio 2017, che pubblica “Fondamentalismo evangelicale e integralismo cattolico”. Un testo che fa capire come tali elementi entrino nella politica Usa. Francesco definisce il primo Trump alla Casa Bianca come un “non cristiano”, che preferisce costruire muri piuttosto che ponti. Il tycoon risponde seccamente. Mark Rubio, ancora senatore della Florida, harshly criticizes (“critica duramente”, NY Times, 18 settembre 2018) l’accordo provvisorio con la Cina sulle nomine dei vescovi, da ultimo rinnovato il 22 ottobre 2024. Il vicepresidente Vance in una intervista alla Cbs del 26 gennaio 2025 indirizza l’amore predicato da Francesco nell’ordine alla famiglia, i vicini, la comunità, i compatrioti, e solo alla fine al resto del mondo. Una concezione ultraconservatrice che il Papa respinge in una lettera ai vescovi Usa del 10 febbraio. Religione e politica si intrecciano. Sul versante opposto sale la delusione per l’inadeguata risposta su temi di frontiera (ad es. diaconato femminile, matrimonio omosex, controllo delle nascite, celibato: ne dà conto il NY Times il 22 e 23 aprile). Come e dove trovare elementi di certezza?
A me, laico e costituzionalista, Francesco piaceva e piacerà, perché attento alla Costituzione. Richiama sempre implicitamente l’art. 11 sulla guerra, di cui anzi nell’Angelus del 3 novembre 2024 auspica espressamente l’attuazione in tutto il mondo. Ma va oltre. Davanti all’Ilva di Genova (27 maggio 2017) cita l’art. 1 e afferma che, “se non fosse fondata sul lavoro, la Repubblica italiana non sarebbe una democrazia”. In visita al Quirinale (10 giugno 2017) richiama la dignità della persona, la famiglia, il lavoro come valori al centro della Costituzione repubblicana, quadro di riferimento stabile per la vita democratica. Ribadisce il concetto nella 50ª Settimana Sociale dei Cattolici Italiani (Trieste, 7 luglio 2024): “Come cristiani abbiamo il Vangelo… e come cittadini avete la Costituzione, bussola affidabile per il cammino della democrazia”.
La successione non consente facili previsioni, anche per le innovazioni di Francesco nell’assetto geopolitico della Chiesa. Ne leggiamo ampiamente su queste pagine. L’auspicio è che il nuovo Papa, da qualunque parte del mondo venga, confermi la condivisione per i nostri valori fondativi. Tempo addietro, su un tema cui Francesco si mostrava a mio avviso più sensibile della Consulta, ho scritto che “non è un Paese felice quello in cui ci si sente garantiti da un capo religioso piuttosto che dal massimo organo di giustizia costituzionale”. Confermo. Ma è meglio comunque averlo, quel capo religioso, soprattutto se concorre a misurare l’ipocrisia di chi comanda.