Ormai l’hanno capito tutti che il Rosatellum non è il nome di un buon vino giulian-friulano, ma di una pessima legge elettorale, che blocca non solo le liste elettorali ma anche la libertà e la personalità di voto nei collegi uninominali, con il voto congiunto obbligatorio a pena di nullità. Un obbrobrio non previsto dal Mattarellum, che alla Camera consegnava 2 schede e al Senato scorporava per la parte proporzionale i voti utilizzati per eleggere i candidati uninominali maggioritari.
Se non si aveva la forza numerica e la volontà politica di modificare la legge elettorale, come promesso in caso di taglio dei parlamentari, sarebbero bastate queste due piccole modifiche per rendere costituzionalmente potabile il Rosatellum: non ci hanno nemmeno provato.
La ragione è, come ha ben scritto Gian Giacomo Migone sul manifesto, nell’articolo “Quel Rosatellum che piace a tutti i partiti”, che fa comodo nominare i parlamentari, per aggirare di fatto l’art. 67 della Costituzione sul divieto di mandato imperativo, in attesa di introdurlo con modifiche dei Regolamenti parlamentari di Camera e Senato e pertanto sottratte al controllo della Corte Costituzionale.
Altro vantaggio del Rosatellum è che assegna, in caso di coalizione, al partito egemone della coalizione, il diritto di proporre, in caso di vittoria, al Presidente della Repubblica il nome del/della presidente del consiglio dei ministri, sempre che non scattino veti informali europei o atlantici.
Il Rosatellum va bene anche alla coalizione arrivata seconda, che avrebbe il monopolio dell’opposizione, perché decide chi ammettere come lista minore della coalizione.
Se lo scopo è quello di salvare la Costituzione, come ha suggerito Gaetano Azzariti, non si possono mettere paletti programmatici: la coalizione deve essere aperta a tutti, a cominciare dal M5S e dalle liste rosso-verdi di ogni ispirazione socialista, comunista e ambientalista. La nostra Costituzione prevede il voto, oltre che segreto, eguale, libero, personale e diretto: il voto utile non è una prescrizione costituzionale, ma una scelta politica, una coalizione larga con scopo limitato ad impedire che il centro-destra prenda il 70% dei seggi uninominali. Diventa un voto utile, ma se è una coalizione con un ruolo politico e programmatico privilegiato per Calenda, senza un’apertura a soggetti di sinistra, è inutile perché non competitiva per vincere i collegi uninominali maggioritari.
Alle votazioni partecipa appena il 28% delle classi popolari e più sfavorite, quel voto va recuperato altrimenti non c’è partita, come non è seria un’alleanza elettorale col solo scopo di far eleggere un paio di leader politici, garantiti dal Pd.
Infine per mettere in salvo la Costituzione basta chiedere fin da subito a tutti i partiti un impegno per un Ddl costituzionale, che ogni modifica della Parte Prima della Costituzione, della forma di governo e della elezione e composizione degli organi costituzionali debba essere approvata con referendum, anche se approvata con i 2/3 dei membri del Parlamento.
In questo scorcio di legislatura si è approvata con decreto-legge (art. 6 bis d.l. 41/2022 una norma in materia elettorale che esenta dalla raccolta firme liste coalizzate che avessero raccolto almeno l’1% alle elezioni del 2018: una norma che viola gli artt. 3, 48 e 51 della Costituzione, perché esclude liste non coalizzate che hanno raccolto la stessa percentuale di voto sia alla Camera, che al Senato. O si rimedia con urgenza ovvero si chieda l’assoluta neutralità del governo in caso di ricorso: è possibile e urgente prima della scadenza del termine per la presentazione delle liste.