Lo scorso 21 agosto la raccolta delle firme digitali per chiedere il referendum abrogativo della legge Calderoli sulla autonomia differenziata aveva già raggiunto e sorpassato le canoniche 500mila firme. Il tutto in meno di un mese – agosto! – visto che la raccolta è iniziata il 26 luglio.
Un risultato straordinario, superiore a tutte le più favorevoli previsioni. Oltre a queste ci sono alcune centinaia di migliaia di firme raccolte sui moduli cartacei, il cui conto esatto potrà essere fatto e sommato alle firme digitali solamente alla fine della campagna, ovvero il 30 settembre. Così, se il quesito passerà il vaglio di ammissibilità da parte della Corte Costituzionale, il referendum si potrà tenere in una domenica compresa fra il 15 aprile e il 15 giugno 2025.
Non si sarebbe potuto ottenere un simile esito, se per tempo non fosse cresciuta nel paese una netta contrarietà al progetto governativo. Ed è importante sottolineare che questo rigetto non è tanto il frutto dell’azione dei partiti quanto della decisa presa di posizione della società civile, attraverso le sue organizzazioni e articolazioni. Una significativa e incisiva manifestazione di presa di coscienza e di democrazia a difesa dell’unità del paese, contro la sua frantumazione in tanti staterelli regionali e contro l’approfondimento delle già esistenti diseguaglianze economico-sociali.
Ad irrobustire questa opposizione ha sicuramente contribuito anche la precedente raccolta di oltre 106mila firme su una proposta di legge di iniziativa popolare di modifica di quelle parti del Titolo V introdotte in Costituzione dalla sciagurata riforma del 2001, alle quali si aggrappa la legge Calderoli. La proposta di legge venne poi bocciata in Senato, visti i rapporti di forza in partenza sfavorevoli, ma evidentemente ha ben seminato. Come dimostrano anche le prese di posizione contrarie alla Calderoli di parti rilevanti del mondo cattolico, delle organizzazioni sindacali (in primis la Cgil, molto impegnata nella raccolta delle firme), delle istituzioni locali, della Svimez, di Bankitalia, dell’Ufficio parlamentare di bilancio e persino di esponenti della destra. Il successo della raccolta firme ha aperto una ferita nella maggioranza di governo, ed è decisivo allargarla.
Naturalmente siamo appena ai primi passi. L’importante è che nei prossimi mesi non scemi la tensione popolare e politica. Per questo la raccolta delle firme deve continuare fino all’ultimo minuto possibile. Come altrettanto decisivo è che si contrasti ogni tentativo di spingere la Corte Costituzionale a un giudizio di non ammissibilità del quesito. La decisione dovrà essere presa entro il 20 gennaio del 2025. Intanto la Corte si trova già di fronte ai ricorsi presentati da più Regioni che contestano la legittimità costituzionale della legge. Non possiamo sapere quando la Corte li prenderà in esame. Oltretutto – come ha più volte avvertito il presidente Mattarella – la Corte deve essere integrata dei membri che hanno terminato il mandato. Alla fine dell’anno saranno quattro, e nella maggioranza si affilano i coltelli per la loro spartizione.
Dobbiamo in ogni caso utilizzare il tempo da qui a gennaio per smontare le argomentazioni favorevoli a bocciare il quesito abrogativo. Tenendo anche conto che alcune Regioni – devono essere cinque per co-promuovere una richiesta referendaria, al momento, manca ancora la Puglia – ne hanno presentato anche un altro solo parzialmente modificativo, che però non cambia affatto l’impianto e l’estrema dannosità della legge. L’intenzione dichiarata è stata quella di evitare di restare senza alcun quesito su cui fare il referendum, in caso di parere negativo della Corte sull’abrogativo, ma in realtà questa scelta può diventare una sorta di scivolo per permettere ai giudici costituzionali di dare via libera al secondo quesito, conoscendone bene l’inefficacia, bocciando quello abrogativo e scaricarsi così la coscienza.
Come si vede la strada verso il referendum prevede ancora ostacoli che vanno superati. Le obiezioni ad ammettere il quesito integralmente abrogativo girano attorno a tre argomentazioni. La prima è che la legge Calderoli è stata collegata alla legge di bilancio, quindi il referendum non sarebbe ammissibile. Ma si può facilmente dimostrare il carattere puramente strumentale di quel collegamento, dal momento che lo stesso ministro ha sostenuto che la sua legge è a invarianza di spesa.
Un altro argomento sarebbe che non è possibile sottoporre a referendum una legge che è indispensabile per attuare una norma costituzionale. Nel nostro caso ciò è manifestamente falso, dal momento che le intese sulla autonomia differenziata con alcune Regioni del nord sono state fatte dal governo Gentiloni, ben prima che la legge Calderoli spuntasse nella testa del suo autore. Infine c’è chi insiste sul carattere non omogeneo della legge: argomento fallace, dal momento che questa non fa che normare i vari passaggi finalizzati a un unico obiettivo.
In conclusione: la lotta contro l’autonomia differenziata è cominciata bene, ma guai a distrarsi.