Il CDC dell’Emilia Romagna, a Ravenna, il 21 giugno scorso, ha promosso un pomeriggio seminariale di studio e di approfondimento, sul tema Le riforme. La costituzione. L’Europa. Più di 40 persone, di Bologna, Reggio Emilia, dal ferrarese, e dalla provincia di Ravenna, in ascolto e in dialogo con il costituzionalista Gaetano Azzariti. Per contrastare - come ha ricordato introducendo l’incontro la giudice Maria Longo, del CDC di Bologna - la scarsa informazione su quanto sta di nuovo bollendo in pentola, a proposito di riforme di rilevanza costituzionale.
Una piccola azione civile che smentisce chi pensa e dice che in Italia c’è solo rabbia o indifferenza, accanto ad altre esemplari e forti azioni. In questi giorni, in particolare, sono stata colpita da due circostanze significative. Il parroco di Lampedusa, con parte del suo evangelico gregge, dorme all’aperto sul sagrato della sua Chiesa, in attesa di accogliere gli umani della Sea-Watch, bloccati al largo. Il Presidente Sergio Mattarella ci richiama alla responsabilità e al dovere costituzionale della solidarietà. E, ieri, in altro diverso contesto, l’omaggio del Presidente Mattarella alla memoria di Giorgio Ambrosoli, a quaranta anni dalla uccisone dell’ “eroe borghese”, come lo ha definito, in un libro memorabile, Corrado Stajano. Un eroe che mai avrebbe pensato di esserlo, sobrio come era nel sentirsi, semplicemente, al servizio dello Stato, come la sua coscienza gli imponeva. Lo Stato gli aveva affidato un difficile incarico che accettò di svolgere, al servizio del suo paese, come scrisse in una lettera alla moglie. Un semplicemente che gli costò la vita. Come, dopo poco più di un decennio, costò la vita a Giovanni Falcone e a Paolo Borsellino. Non poche e pochi italiani, in questi ultimi decenni, hanno trovato in queste figure un forte punto di riferimento, e non si sono sottratte/i ad un continuo impegno di testimonianza e di resistenza.
Anche qui, a Ravenna, in questa nostra piccola realtà, cerchiamo di non cadere nel trappola della rabbia o della indifferenza. Da quasi venti anni Comitati e Associazioni lavorano per la legalità costituzionale e per il rispetto e l’attuazione della Costituzione, troppo spesso, nel nostro paese, ignorata o aggredita. Lo abbiamo fatto sostenendo l’Associazione Nazionale Salviamo la Costituzione. Aggiornarla, non demolirla, fondata da Oscar Luigi Scalfaro per contrastare la manomissione della Costituzione tentata da Berlusconi nel 2006. Manomissione che con una grande mobilitazione referendaria abbiamo fermato. Altro tentativo di manomissione nel 2016, di nuovo fermato, anche grazie ad una nuova associazione, nata in questa occasione, il Coordinamento per la Democrazia Costituzionale, guidata da Alessandro Pace - costituzionalista che già aveva sostituito Scalfaro alla presidenza di Salviamo - in stretta collaborazione con il costituzionalista Massimo Villone. Sono stati anni faticosi e difficili ma mai vissuti con rabbia o rassegnazione. Né oggi, di fronte a nuove ipotesi di riforme costituzionali o di leggi che, nostro avviso, escono dal solco civile e giuridico disegnato dalla Costituzione, ci chiudiamo in casa, sdegnati e silenziosi.
Nella comunicazione introduttiva, Maria Longo non si è sottratta ad una doverosa riflessione sul contesto politico, aggravato da tensioni continue fra poteri che travalicano i loro ambiti. Le decretazioni d’urgenza che mortificano il Parlamento, la forzatura di una inutile legge securitaria – autodifesa legittima sempre, che ignora leggi precedenti e sufficienti – e, caso recente e gravissimo, ma che non sorprende – dice Longo -, la collusione criminale fra poteri, fra Magistratura e forze politiche. Ma non basta. Di nuovo forze governative, e non solo, stanno proponendo per i Magistrati la separazione delle carriere. Un modo pericoloso per ridurre l’autonomia della Magistratura, già minata dalle sopracitate collusioni.
Come interpretare il tutto alla luce di leggi già approvate dal Governo in carica o in corso di approvazione? Questo il nodo al centro della lezione di Gaetano Azzariti, costituzionalista della Sapienza, a Roma, e attuale presidente di Salviamo la Costituzione. Con una premessa, che è stata di apprezzamento per il lavoro che continuiamo a svolgere nei territori. C’è chi ancora si preoccupa per le sorti della Repubblica. Senza indifferenza. Con un auspicio che Azzariti sottolinea essere al centro del suo impegno in Salviamo. Federare le forze che si oppongono al declino della Repubblica parlamentare e creare unità non fittizia e formale, ma che si basa su questioni di fondo, e sulla comprensione del senso dei fatti come criterio di giudizio. In quale direzione andavano e vanno le riforme fermate nel 2006, nel 2016 e quelle oggi proposte?
Quattro le questioni affrontate da Azzariti. Con un consiglio di metodo. Prendere sul serio le proposte di chi le fa - l’attuale governo, come i precedenti - e valutarle nel merito.
La prima. La intenzioni espresse sono: immettere nuova linfa nella democrazia rafforzando il rapporto diretto fra cittadini e Parlamento, fra “piazza” e “palazzo”. Intenzioni che Azzariti sottoscrive. Allora, esaminiamo da vicino. Se il motivo addotto per la riduzione del numero dei parlamentari è risparmiare, questo aumenta l’autorevolezza del Parlamento? La democrazia ha dei costi e su questi non si risparmia. In USA i parlamentari hanno mediamente 19 collaboratori. Risparmiare, tagliare? Quale è il senso? Il senso è mettere in atto l’odio della piazza per il palazzo. Invece, per rivitalizzare la democrazia, ci vorrebbe un miglioramento dei regolamenti parlamentari, dando aumentato valore ai lavori delle commissioni parlamentari e, laicamente, al ruolo dei singoli parlamentari e alla libertà di coscienza e di proposta, senza obbligo di mandato che, invece, si vuole abolire, per rendere i parlamentari esecutori degli ordini dei vari capi. Oggi prevalgono, invece, voti di fiducia, che bloccano il confronto, o ostruzionismo sterile. Cosa diceva, invece, il grande Kelsen? Che un Parlamento che svolge bene il suo compito è luogo, in prima istanza, di confronto e conflitto, a cui segue il compromesso. Una minoranza che può discutere migliora la democrazia. I classici canali che portano al Parlamento sono i partiti e i movimenti della società civile. I partiti sono in grande crisi. Li rimpiangiamo? Un lapidario commento di Azzariti, che corrisponde a ciò che penso da tempo. Il rimpianto non è una categoria della politica. Piuttosto, esaminiamo un linguaggio che viene da lontano, e il suo significato. Il partito di Berlusconi, il partito di Renzi, il partito di Salvini. Il partito dei capi. Un male – mi permetto di aggiungere – non solo italiano. Il mito dei capi si aggira per l’Italia, l’Europa, il mondo Ai capi perdere del tempo in Parlamento non piace. Semplificare, questo il tema ricorrente.
La seconda. Il meccanismo di base del Referendum propositivo voluto dai 5 Stelle non è sbagliato. Le firme necessarie per una proposta di legge di iniziativa popolare sono 500 mila, e non le attuali 50 mila. Se entro 18 mesi il Parlamento non ne discute, si procede con il Referendum. Ma solo se a costo zero? Debbono coprire le spese cittadini? Impossibile. Prima che il Parlamento ne discuta, si chiede alla Corte Costituzionale il parere sul progetto di legge? La Corte viene prima del Parlamento? Quale ruolo politico mantiene il Parlamento? Quale è il senso? Il senso è lo stesso di prima. Il Parlamento a ruota del governo di turno. Già ora il Parlamento si esprime, a colpi di fiducia, su leggi per l’80% proposte dal governo. Se dovrà esprimersi poi su leggi per il 15% di iniziativa popolare, cosa resta di iniziativa parlamentare? Il senso? La morte del Parlamento. Per la gioia dei capi, una gioia che viene da molto lontano.
La terza. Sono state introdotte modifiche alla legge elettorale. Un pasticcio. Non sono state eliminate le pluricandidature, una delle bandiere dei 5 Stelle. La soglia di accesso è aumentata al 7%. I collegi uninominali, che dovrebbero avvicinare i rappresentanti ai rappresentati, sono passati da 630 a 400, prima che la modifica costituzionale della riduzione del numero dei parlamentari abbia concluso l’iter. La logica? Si dà per scontato che il Parlamento non cambia nulla, per la sopracitata obbedienza ai capi. Quale il ruolo del Parlamento? Un ruolo morituro.
La quarta. L’autonomia differenziata. Questione bruciante alla quale il CDC dell’Emilia Romagna ha dedictao un convegno a Bologna, nel marzo scorso, con la partecipazione di Massimo Villone. Se anche chi propose la riforma del Titolo V – che molt* di noi votammo, nel 2001, con distratta fiducia – la ritiene un disastro, come abbiamo sentito più volte in quetsi anni, la modifica in corso dell’art. 116 è peggiorativa, con il rischio che l’art. 5 della Costituzione che indica l’autonomia regionale nell’ unità e indivisibilità della Repubblica vanifichi l’art.3, l’articolo della uguaglianza, il più importante, come più volte sottolineò Piero Calamandrei. Senza dimenticare che i LEP ( i livelli essenziali delle prestazioni), previsti nel 2001 non sono ancora stati formulati, dopo 18 anni, con governi di diverso colore che si sono succeduti nel tempo. Il governo intende affidare tutto ai decreti attuativi? Non deve essere così. Invece, la legge è parlamentare e vanno seguiti tre passaggi. Prima l’ Intesa Stato/Regione, poi le Camere discutono e possono modificare, e, solo dopo, la approvazione a maggioranza assoluta degli aventi diritto, non dei presenti. Invece il governo vuole fare un fretta, decretare e silenziare il Parlamento. Il senso? Il Parlamento deve morire.
Il Parlamento deve morire. Questo è il nesso che connette le proposte di riforma e le leggi prese in considerazione.
Alla lezione di Azzariti ha fatto seguito un intenso dialogo con persone presenti. La preoccupazione prevalente. Informare, interpretare, fare cultura, predisporre spazi di discussione e confronto. Diffidare di propaganda e semplificazione. Creare reti permanenti di azione civile. I nostri Comitati e Associazioni da tempo svolgono un lavoro di critica, spesso severa, a ciò che si svolge nelle Istituzioni, senza mai metterne in dubbio il valore. La nostra Repubblica deve mantenersi parlamentare, con il Parlamento al centro. Ma grande è il lavoro che deve compiere chi ha il dovere di selezionare le/i futuri rappresentanti. Il lavoro che la Costituzione affida a chi arriva in Parlamento è di cruciale importanza. Riguarda, dovrebbe riguardare, il bene comune, pur nella pluralità delle idee politiche. Ci vuole cultura, preparazione, esperienza, disinteresse personale, trasparenza. Non sarà breve il tempo necessario per fare del Parlamento un corpo da mantenere vivo, un corpo che la “piazza” possa rispettare. Ma ridurre il Parlamento al silenzio sarebbe un drammatico ritorno indietro a tempi bui che l’Italia ha già conosciuto.
Maria Paola Patuelli
Ravenna, 27 giugno 2019