È raro sentir dire che una creatura che ha compiuto 76 anni è giovane. Ma se la creatura è una Carta, nel nostro caso la Costituzione, è possibile ed è accaduto, pochi giorni fa. Il Presidente Mattarella, durante un incontro con giovani donne e uomini, di professione comunicatori web, che gli offrivano suggerimenti su come rendere la Costituzione, e il suo comunicarla, più “pop”, ha detto che la Carta è “estremamente giovane”, “elastica e duttile”, e frutto di “tanta saggezza”. Altre sue parole ha rivolto, con il garbo che gli è proprio, a chi, questa Carta giovane e saggia, vuole buttarla. Parlava forse a Meloni, che vuole la “sua” Repubblica, con la riforma delle riforme, con il Parlamento mero accessorio? Almeno così interpreto alcune delle parole dette ai giovani da Mattarella.
La Repubblica è “una”, non è una somma di singole unità e neanche una federazione di Repubbliche. Parlava a Calderoli? Ma credo abbia parlato anche ad ogni singola e singolo cittadino della Repubblica, laddove il Presidente ha sottolineato che il disprezzo per la politica, la disaffezione al voto, è un rinunciare a esercitare la propria sovranità. Mattarella ha chiesto ai giovani il perché di questo distacco. La risposta. Perché i giovani si sentono esclusi e impotenti. Una risposta sulla quale riflettere e da prendere molto sul serio. Perché i giovani si sentono esclusi e impotenti? Solo i giovani? Solo loro si astengono? Non credo.
Non è facile trovare chiavi interpretative che possano fare chiarezza in via definitiva. Anche perché il fenomeno ha avuto inizio qualche decennio fa, seppure ad andamento crescente o, meglio, decrescente. Alle elezioni politiche del 1948 votò più del 92 % dell’elettorato, nel 2013 poco più del 75%, nel 2022 il 63%. Un declinare che le elezioni regionali di poche settimane fa confermano con un ulteriore calo, il 53% circa. Autorevoli politologi indicano alcune probabili cause. La crisi dei partiti. Ma, mi chiedo, è una causa che ha a sua volta cause? La sfiducia nei partiti che porta con sé la sfiducia nelle Istituzioni – chiunque le abiti nulla cambia, è una convinzione diffusa -, porta alla crisi dei partiti? E da dove è nata la sfiducia? Difficile pensare che il nesso non ci sia.
Altra causa – suggerita da uno dei più autorevoli politologi, Gianfranco Pasquino -, le proposte programmatiche di coalizioni in competizione fra loro negli appuntamenti elettorali si assomigliano molto. Troppo, aggiungo. Come dire, non c’è nulla da scegliere. Tutto uguale, e vado al mare. Ricordo che in occasione delle elezioni politiche del 2013, che vide la prima consistente affermazione dei 5 Stelle, Grillo disse: Ma cosa vi lamentate, se non avessero votato per noi, avrebbero votato i fascisti. Così disse, mi pare di ricordare, senza sfumature. Infatti altre analisi politologiche dicono che le persone deluse e sfiduciate o non votano o votano movimenti di varia radicalità verbale, senza particolare fedeltà nelle elezioni successive. La fedeltà elettorale e l’andare comunque a votare, anche in barella, appartiene a una storia che fra gli anni Ottanta e gli anni Novanta si è prima incrinata, poi interrotta. D’altra parte, un politico – politico? – un tempo baciato da una improvvisa e subito caduca fortuna disse: Che importano le percentuali dei votanti. Importa vincere. Un abisso divide la concezione della politica e della democrazia di Madri e Padri Costituenti da queste avventurose figure che il presente ci ha fornito.
Ma la risposta data dai giovani al Presidente aggiunge altro. Si sentono esclusi e impotenti. Esclusi dal gioco politico, per loro inagibile, e perché sono senza alcun potere. Il voto non è più considerato un potere che consenta di esercitare la propria sovranità. Donne e uomini giovani si sentono probabilmente sovrani nel cercare un posto al sole, nel dare valore alla propria singolarità individuale, che non esclude studio o lavoro all’estero, o di dare un senso al proprio vivere, nel buio del mondo, facendo volontariato, aiutando i disperati che arrivano dal mare, o partecipando a movimenti radicali per la giustizia ambientale. Azioni i cui effetti – pensano – sono immediatamente visibili. Azioni simboliche forti, come gettare vernice, senza danni irreversibili. Almeno, sono azioni che vengono viste e pubblicate. Il voto? Nel segreto dell’urna nulla si vede e nessuno sa di me.
Un giovane amico, molto in gamba, per intelligenza e cultura, ragionando sulle prossime scadenze civili e politiche che ci attendono, a proposito di imminenti riforme fortemente volute dal governo Meloni – Autonomia Differenziata e Premierato elettivo – ci ha rimproverato. Ma come pensate di potere coinvolgere su temi come questi i giovani, che hanno ben altro per la testa? La ricerca di un lavoro decente e dignitoso, per esempio? O spazi liberamente agibili, come i centri sociali, o servizi per studenti? La Costituzione che volete, e vogliamo, difendere, cosa può a loro importare, visto che la loro vita è difficile, anche con questa Costituzione?
Che dire? È un interrogativo che non ho tenuto per me. Lo sto proponendo in occasione di importanti convegni e incontri che in questi mesi si sono succeduti, promossi da associazioni che per ragioni statutarie hanno al centro la cultura civile, politica e la storia costituzionale del nostro paese. Il problema è proprio questo. Come portare grandi questioni di storia e di politica alla comprensione di un popolo un tempo orgogliosamente sovrano, consapevole, anche tramite ponti sui quali i cittadini transitavano con una qualche fiducia – i partiti, i sindacati, le associazioni professionali o di categoria -, ad una comprensione diffusa, capillare, di diritti, spesso ignorati perché scritti in Carte sconosciute ai più, ma che hanno radici nella Costituzione, che, da sola, non li garantisce? Potremmo dire a loro, a ragion veduta, che se la Costituzione viene affossata, le cose, anche per le loro singole vite, potranno andare sicuramente peggio? Potrebbe essere un ragionamento convincente? Forse, ma solo se accompagnato da molti concreti esempi, che connettano storia passata e storia presente.
La Costituzione è in buona parte inattuata. Non vi interessa sapere perché? E perché da decenni la Costituzione è talmente indigesta che non solo è inattuata, ma la si vuole buttare, per avere certezza che a lei non ci si possa più appellare? Non volete sapere, ragionandoci insieme, perché?
Allora, questo è il grande compito che hanno di fronte non solo le associazioni nazionali con le quali lavoriamo da venti anni, ma anche altre associazioni che insieme a noi si ritrovano nelle rete La Via Maestra. Insieme per la Costituzione. È il compito di produrre una connessione continua fra le ragioni degli storici, dei politologi, dei costituzionalisti che – quasi all’unanimità – ritengono pericolose le riforme che Meloni intende in tempi stretti portare a termine, e le ragioni del vivere quotidiano, dell’essere parte di questo paese, e non esiliati altrove, o in altri pianeti, come a volte si vorrebbe. E, non lo nascondo, vorrei.
Riporto alcuni esempi di parole dedicate a pericolosità imminenti, raccolte in questi mesi. Sono parole di chi è al di sopra di ogni sospetto. Figure che nella società civile italiana – o almeno in una sua buona parte – godono di fiducia, perché fuori dai poteri che hanno generato sfiducia. Persone che conoscono la storia del nostro paese e la insegnano. Persone che conoscono il mondo del lavoro con le drammatiche contraddizioni che lo attraversano. Persone che conoscono le condizioni di chi vive in povertà estrema e che non considerano la povertà una colpa, ma una condizione da risolvere, con la solidarietà che la Costituzione chiede. Tutto questo è stato affrontato in convegni promossi da associazioni che da venti anni sorvegliamo attivamente le pericolanti condizioni civili dell’Italia del nostro tempo. Salviamo la Costituzione, Libertà e Giustizia, Coordinamento per la democrazia Costituzionale. Le cito nell’ordine cronologico con il quale le ho incontrate.
Le tre associazioni, insieme, il 10 febbraio a Firenze, Salviamo la Costituzione l’1 marzo a Roma, Libertà e Giustizia il 12 marzo a Milano. Una prova concreta di quanto lavoro la società civile costituzionalmente orientata, in Italia sia non solo attiva, ma capace di lavoro teorico e politico di grande ricchezza. Un politologo – Maurizio Viroli – ci disse, anni fa, nel pieno di una tempesta anti Costituzione: La Costituzione resta viva fino a quando ci sarà chi la difende. Non sono poche le persone e le Associazioni che in questi anni l’hanno fatto. Oggi, mi pare, è in corso uno scatto in avanti concreto, significativo. Difendere la Costituzione insieme, chiedendone la applicazione. “Insieme” e “applicazione”, sono forse la strada politica che può rendere efficace il nostro lavoro, per una ricaduta concreta nel quotidiano, nelle vite.
Chi oggi governa conduce una politica di sostanziale negatività rispetto alla Costituzione. Esempi concreti: attacchi a chi manifesta, attacchi alla libertà di stampa, insofferenza per chi sciopera a cui si risponde con la precettazione, insofferenza per l’indipendenza della Magistratura, insofferenza per chi chiede una presa di distanza rispetto al fascismo. Tutto questo, insieme, produce il clima a cui si cerca di dare forma istituzionale con l’elezione diretta del capo. Con la definitiva marginalizzazione del Parlamento e del ruolo super partes del Presidente della Repubblica (Gaetano Azzariti, costituzionalista, presidente di Salviamo la Costituzione).
Il popolo partecipa solo ogni cinque anni? Il premierato elettivo, una forma che non esiste in nessuna altra parte del mondo. È una riforma bugiarda comunicata in modo bugiardo. In aggiunta, un interessante riferimento storico. Talleyrand suggerì che le Costituzioni siano brevi e oscure. Talleyrand, detto “uomo per tutte le stagioni”, passò indenne dalla Rivoluzione, a Napoleone, alla Restaurazione (Ugo De Siervo, presidente emerito della Corte Costituzionale).
Memori di questo – penso – l’Assemblea Costituente scrisse una Costituzione molto lunga, particolareggiata, perché fosse ben compresa e non da usare per tutte le stagioni. C’è chi la definisce per questo rigida, perché non è manipolabile. Questo intendeva Berlusconi, quando disse “governare con questa Costituzione è un inferno”. Ed è per questo che, con soli quattro – per ora – brevi articoli, la si vuole invece cambiare. Bastano poche parole per ribaltare. Bastano poche cifre cambiate per avere un opposto risultato. Meloni e il suo governo pensano di incarnare un presente che vuole ribaltare la Repubblica, per chiudere un passato detestato e dare nuova forma all’Italia, alla Nazione. Nazione, parola quasi inesistente nella Costituzione, dove abbonda la parola Repubblica, che è di chi la abita, non di chi ha il presunto stesso sangue. A cui invece Nazione – nascita – rimanda.
Inoltre. Non si tratta solo di riforme costituzionali. Si vuole rimodellare una società diversa da quella della Costituente. La crisi della democrazia che stiamo vivendo non ha precedenti in Italia. Astensionismo e diminuzione della partecipazione lo testimoniano. Nel 2023 su 7 milioni di contratti attivati solo il 16 % è a tempo indeterminato, contrariamente a quanto dice il governo. Il governo convoca i sindacati, comunica le proprie decisioni, e se ne va, senza alcuna discussione. C’è quindi materia per chiedere l’attuazione della Costituzione, e non perché è bella (Maurizio Landini, segretario generale CGIL).
Siamo ancora in democrazia o in post democrazia? Siamo in una Europa pre guerra. Siamo sicuramente in una condizione opposta al 1946. In quegli anni venne fondata, per la prima volta nella storia d’Italia, la democrazia. La tragedia della guerra era alle spalle e dall’inferno si voleva definitivamente uscire. Un recente sondaggio dice che metà degli italiani teme una deriva autoritaria. Teniamone conto (Giancarlo Pagliarulo, presidente nazionale ANPI).
Seguono parole di una donna che di politica ne ha fatta molta, anche da ministra della Repubblica, e che oggi non fa parte di nessun partito, anche se politicamente molto impegnata. È riforma minimalista perché fatta di soli quattro articoli? In realtà, con pochi articoli si distrugge la Repubblica. È una riforma irriformabile, nonostante ci siano tentativi bipartisan di migliorarla. Non è una riforma, è una demolizione (Rosi Bindi, ex parlamentare, ex ministra, politica in seduta permanente).
Inoltre. C’è un abisso fra la politica e la realtà del paese. In ogni partito prevale l’interesse particolare sull’interesse di tutti. Autonomia? È voglia di secessione. In Europa tira una brutta aria, circola una follia distruttiva. Le mafie sono più forti di prima, si rigenerano. Meno sangue, le mafie viaggiano su altri piani. All’uso della forza va sostituita la forza della politica. Il volontariato solidale non può sostituire la politica (Don Luigi Ciotti, fondatore del gruppo Abele e di Libera).
Parole che mi rincuorano. Un sacerdote, esperto di “carità”, non invita alla carità. Ma alla poltica. Inoltre, altre recenti parole, a proposito di Autonomia differenziata e premierato elettivo. “La battaglia sarà di lunga lena. Un’assemblea nazionale del 2 marzo a Roma [ il riferimento è alla seconda assembela di La Via Maestra ] ha esplicitato da disponibilità a impegnarsi su referendum e leggi di iniziativa popolare, sulle riforme e su questioni sociali. E’ un passaggio essenziale per una opinione pubblica informata e consapevole e per una resistenza diffusa e dal basso” (Massimo Villone, costituzionalista, presidente del Coordinamento per la Democrazia Costituzionale).
Daniela Padoan, presidente di Libertà e Giustizia, aprendo il convegno di Milano in occasione del ventesimo della fondazione di Libertà e Giustizia, ha citato parole di Paul Ginsborg dette nel 2019, quando era presidente di LeG. «La società civile italiana è connotata da plurime ambizioni; difendere e applicare la Costituzione, incoraggiare la diffusione del potere anziché la sua concentrazione, considerare il cambiamento climatico come emergenza globale, usare mezzi pacifici anziché violenti, lavorare per l’uguaglianza sociale e di genere, promuovere la tolleranza e l’inclusione, stimolare il dibattito». Certo, Ginsborg la storia dell’Italia la conosceva bene. Talmente bene da farne un programma – radiografando i punti critici -, per noi società civile. Manca qualcosa? Manca la parola guerra che, oggi, è necessario aggiungere, per dire NO. E questo è il programma della Via Maestra. Da agire in forme da costruire – direi quasi inventare -, giorno per giorno. Inventare. I principi costituzionali sono scritti in modo chiaro. Ma il come, con quali forze e metodi, è da scoprire e mettere in piedi, in un mondo radicalmente diverso dal 1946.
La società civile, quella costituzionalmente orientata, non quella abitata dagli spiriti animali del massimo potere, del massimo profitto, ha, con il programma indicato da Ginsborg, una grande responsabilità. Ma siamo solo una parte dello schema di gioco. Lillipuziani attorno al gigante? In attesa che si addormenti? Ieri ho visto il film Oppenheimer, non visto quando uscì. Altro che lillipuziana mi sono sentita, all’uscita. Un moscerino senza ali. Oppenheimer si rese conto, infine, che, contrariamente ai suoi iniziali auspici – bomba atomica come deterrente – aveva messo in moto una reazione planetaria a catena, dentro la quale in questo momento il mondo si trova. Auspicio, l’unico possibile. Che i lillipuziani diventino una marea talmente alta da sottrarre la terra sotto i piedi del gigante.