Intelligenza artificiale e intelligenza naturale

di Paolo Crocchiolo - lacittafutura.it - 18/12/2023
L’intelligenza artificiale non ha autocoscienza né motivazioni vitali, ma è generata dall’intelligenza naturale e, anche, dagli interessi materiali delle classi dominanti. Quindi l’intelligenza artificiale risulta asservita necessariamente, come tutte le altre tecniche, agli interessi economici delle classi dominanti.

L’intelligenza artificiale non ha autocoscienza né motivazioni vitali, ma è generata dall’intelligenza naturale, a sua volta generatrice di coscienza e motivazioni, ma anche, come frutto di evoluzione, plasmabile, e largamente plasmata nelle attuali circostanze storiche, dagli interessi materiali delle classi dominanti, tra cui spiccano, oltre alla massimizzazione dei profitti, il complesso delle strutture militari che garantiscano l’imposizione e la perpetuazione del sistema liberista delle diseguaglianze. Quindi l’intelligenza artificiale risulta asservita necessariamente, come tutte le altre tecniche, agli interessi economici delle classi dominanti.

Intelligenza naturale

Quello che comunemente chiamiamo intelligenza è un meccanismo estremamente complesso sviluppatosi nel corso dell’evoluzione in funzione dell’integrità e potenziale riproducibilità del corpo d’appartenenza. Il cervello, i sensi e il sistema neuro-ormonale sono da considerare l’ultimo stadio di un lunghissimo percorso evolutivo che, partendo dalla membrana cellulare dei protozoi, antenati comuni a tutti gli organismi attualmente viventi, l’ha trasformata affinandone enormemente le capacità motorie, sensoriali e reattive mantenendone però essenzialmente le stesse funzioni d’interfaccia col mondo esterno da un lato, e di regolazione del “milieu intérieur” dall’altro [1].

Attraverso i sensori propriocettivi diffusi a tutto l’organismo, il cervello infatti sottopone ad un incessante monitoraggio tutti i parametri vitali di organi, apparati e sistemi operanti nel corpo (pH, temperatura, imbibizione dei tessuti, glicemia, concentrazioni di calcio, potassio, ecc.), traducendone i vari livelli in sensazioni che vanno, passando attraverso tutte le gradazioni intermedie, dall’estremo benessere al più profondo malessere quanto più tali livelli si collocano, rispettivamente, all’interno di quelli che garantiscono l’integrità della macchina corporea o, viceversa, si avvicinano a quelli incompatibili con la vita. Secondo Damasio vi è anzi una sorta di corrispondenza biunivoca tra stato di benessere percepito ed equilibrio omeostatico dei parametri vitali, nel senso che l’alterazione di uno o più parametri omeostatici si tradurrebbe in uno stato di malessere, più o meno inconsciamente percepito dal sistema della gratificazione posto all’interno delle aree cerebrali evolutivamente più antiche del sistema limbico, mentre uno stato di malessere per cause esterne si tradurrebbe invece nell’alterazione di uno o più parametri omeostatici dell’organismo corporeo [2]. D’altra parte, la “coloritura emotiva” è profondamente radicata nel sistema neuro-ormonale selezionato nel corso dell’evoluzione [3] e, per citare ancora Damasio, noi “non siamo macchine pensanti che si emozionano, ma macchine emotive che pensano” [4]. In questo contesto si collocano i riflessi e gli istinti, i quali possono essere definiti come associazioni geneticamente trasmissibili di tonalità edonistiche [5] positive o negative (ovvero sensazioni piacevoli o dolorose) con percezioni ed azioni risultate in passato, rispettivamente, favorevoli o sfavorevoli alla sopravvivenza e alla riproduzione. Un tipico esempio di istinto è quello dell’allattamento nei mammiferi, per cui solo i neonati che associavano ad esso una sensazione di piacere hanno potuto trasmetterne i relativi geni perché solo essi erano in grado di crescere e raggiungere l’età della riproduzione a differenza di quelli che l’associavano a una sensazione sgradevole o dolorosa. Lo stesso si può affermare rispetto all’associazione della tonalità edonistica del piacere con l’atto sessuale. Persino l’altruismo può risultare gratificante, soprattutto considerando la comunanza di geni dell’individuo o degli individui che ne sono oggetto con quelli di chi lo esercita [6].

Intelligenza artificiale

Per comprendere l’intelligenza artificiale è necessario considerare anzitutto la logica diametralmente opposta che sta alla base della costruzione di una macchina vivente quale noi siamo e di una macchina non biologica qual è un robot, un chatbot, un database, uno smartphone o un computer. Mentre quest’ultimi sono il risultato di un progetto ben preciso che, per definizione, utilizza materiali non “DNA-cellulari”, la prima invece è frutto non programmato delle proprietà emergenti replicativa e proteinopoietica degli acidi nucleici, generatrici di infinite varianti fenotipiche casuali esposte al vaglio della selezione naturale. Ora, siccome la selezione naturale consiste essenzialmente nel tasso di riproduzione differenziale degli organismi costruiti attorno a sé stessi dai geni sottostanti, una macchina che non sia sottoposta agli stessi condizionamenti in funzione dei quali si è selezionata, cioè di nascere, mantenere il suo equilibrio omeostatico indispensabile alla sopravvivenza, crescere e, potenzialmente, riprodursi, è un oggetto radicalmente diverso rispetto all’organismo biologico. Inoltre, nel caso dell’uomo, la cosiddetta coscienza estesa, che comprende la mente “razionale” logico-matematica, non costituisce, come abbiamo visto, che l’ultima tappa di un percorso evolutivo che parte dalla membrana cellulare dei protozoi. Ma il cervello emotivo che genera gli istinti, evoluto in funzione di sopravvivenza, crescita e riproduzione dell’organismo corporeo, ne costituisce il nerbo oltre a esserne parte integrante, al pari degli altri organi. E le emozioni, i sentimenti, la coloritura emotiva, le tonalità edonistiche, sono comunque evocabili solo come proprietà emergenti del substrato biologico, “DNA-cellulare” di cui siamo costituiti. Del resto, a che servirebbe la sete o la fame ad un robot? Non beve e non mangia. A che la spinta sessuale? Non si riproduce. A che il riflesso del respiro o l’accelerazione del battito cardiaco? Non respira, non ha circolo sanguigno. E l’ormone della crescita? Non cresce. Lo stesso cervello del resto, come gli altri organi, è un insieme organizzato di cellule e mediatori chimici dipendente, per sopravvivere e crescere, da un flusso ininterrotto bidirezionale di scambi e segnali metabolici, endocrini, immunologici, ecc. con l’apparato respiratorio, digerente, escretorio dell’organismo in cui è inserito, tutti costruiti su base DNA-cellulare. Un cervello artificiale sa “ragionare” e “memorizzare” anche meglio di un cervello biologico, ma non ha gli strumenti per provare sensazioni soggettive motivanti, che sono proprietà emergenti di un substrato DNA-cellulare evoluto in funzione di sopravvivenza, crescita e riproduzione dell’involucro corporeo dei geni che lo costruiscono. Insomma, un cervello animale in un corpo meccanico non avrebbe alcun senso. Il robot HAL di 2001 Odissea nello spazio, a parte che il 2001 è stato caratterizzato da ben altre emergenze, avrà scarsissime probabilità di esistere anche in un remoto futuro.

Ruolo dell’intelligenza artificiale nel capitalocene

Da quanto esposto risulta evidente che ciascun individuo della nostra specie, come di tutte quelle dotate di un sistema neuro-ormonale, è provvisto di istinti legati al soddisfacimento dei bisogni da cui non può in alcun modo prescindere, essendo il sistema della gratificazione parte integrante della nostra struttura organica.

Ecco perché l’intelligenza naturale, che è ineludibilmente condizionata dalle motivazioni biologiche (il complesso degli istinti su base dna-cellulare) da cui è sorta, non può essere posta sullo stesso piano di quella artificiale, cui inevitabilmente mancano tali motivazioni essendo essa frutto, non di un graduale e stocastico processo evolutivo, ma di un preciso progetto che estrapola dal complesso dell’intelligenza naturale, “esternalizzandola”, una parte di sé stessa, ossia la sua componente logico-matematica.

Qui entra in giuoco la difesa del modo di produzione basato sulle diseguaglianze sociali e sui conseguenti privilegi di classe, che concorrono in misura determinante allo sviluppo e all’utilizzo dello strumento tecnico-scientifico chiamato intelligenza artificiale.

L’intelligenza artificiale non ha autocoscienza né motivazioni vitali, ma è generata dall’intelligenza naturale, a sua volta generatrice di coscienza e motivazioni, ma anche, come frutto di evoluzione, plasmabile, e largamente plasmata nelle attuali circostanze storiche, dagli interessi materiali delle classi dominanti, tra cui spiccano, oltre alla massimizzazione dei profitti, il complesso delle strutture militari che garantiscano l’imposizione e la perpetuazione del sistema liberista delle diseguaglianze. Quindi l’intelligenza artificiale risulta asservita necessariamente, come tutte le altre tecniche, agli interessi economici delle classi dominanti.  

Una “fuga in avanti” largamente propagandata dall’ideologia dominante è quella che attribuisce allo sviluppo tecnologico post-industriale, e in particolare alla robotica, proprietà taumaturgiche capaci di risolvere i problemi dell’umanità senza minimamente scalfire la struttura sociale classista connaturata all’economia del profitto. In realtà, ad un’analisi più accurata, tale speranza si rivela del tutto illusoria, una sorta di wishful thinking privo di ogni aggancio con la realtà concreta.

La robotica e l’intelligenza artificiale in genere, come le altre conquiste della scienza, non sono positive o negative di per sé, ma solo in rapporto all’uso che se ne fa e quindi al contesto sociale e politico in cui sono inserite. Le “macchine intelligenti”, diffusamente adottate in un contesto di equa distribuzione delle risorse, potrebbero essere utilissime a ridurre i tempi di lavoro per tutti, permettendo alla totalità degli esseri umani molto più tempo libero per dedicarsi ad attività creative, ricreative e, in genere, gratificanti. Se invece inserite nell’attuale contesto dell’economia del profitto basata sulla diseguaglianza dei diritti e delle opportunità, non avranno altro effetto che ingrossare le fila dei disoccupati senza minimamente ridurre la fatica e i tempi di lavoro degli occupati.

Una conferma di questo stato di cose ci viene fornita in questi giorni dall’approvazione del cosiddetto “Artificial Intelligence ACT” da parte del Parlamento Europeo. Il nuovo regolamento non fa che sancire infatti, anche in questo campo, la preminenza degli interessi delle imprese rispetto alla difesa dei diritti dei lavoratori. Alle forze armate e ai servizi segreti non vengono posti limiti all’utilizzo, ad es., dell’identificazione biometrica dei cittadini, e una larga discrezionalità viene concessa alle forze di polizia nel giudizio sulla natura “eversiva” o “terroristica” dei soggetti controllati; solo le autorità civili devono astenersi dall’utilizzare a fini discriminativi la profilazione etnica, religiosa o politica delle persone. L’accento dunque è posto sulla difesa della privacy individuale, purché essa, e soprattutto organizzazioni collettive di lotta al sistema, non minaccino lo status quo. Ma tutte le tecniche di “neuropromozione” da parte delle imprese [7] non sono affatto messe in discussione. Le uniche obiezioni, in particolare da parte del sistema bancario e assicurativo, riguardano il rischio che l’intelligenza artificiale possa potenziare il cosiddetto “herd effect”, o effetto gregge, che consiste nell’influenzare gli investitori e i consumatori in genere attraverso un automatico allineamento alla tendenza generata istante per istante dal complesso delle banche dati nella vendita o nell’acquisto dei prodotti, il che potrebbe “minacciare l’equilibrio dei mercati globali”.

L’intelligenza artificiale allo stato attuale s’inserisce dunque perfettamente nelle logiche tendenti a garantire l’egemonia del neoliberismo globalizzato.

 

Note:

[1] A. Damasio, “Lo strano ordine delle cose”, Adelphi (2018)

[2] A. Damasio, ibid.

[3] E. O. Wilson, “Consilience”, Vintage (1999)

[4] A. Damasio, “L’errore di Cartesio”, Adelphi (1995)

[5] La definizione è di Victor Johnston ed appare nel suo “Why We Feel. The Science of Human Emotions”, Perseus Books (1999). Una delle principali proprietà emergenti del nostro sistema neuro-ormonale è infatti proprio quella di distinguere fra tonalità edonistiche positive e negative, il cui substrato biochimico-cellulare consiste in una complessa rete che collega certe aree cerebrali più antiche, localizzate principalmente nel “sistema limbico”, con gruppi specializzati di cellule nervose secernenti neurotrasmettitori quali dopamina, serotonina ecc. e neuro-ormoni, quali endorfine, ossitocina ecc. Tutte queste molecole, se rilasciate in seguito a stimolazione da parte di specifiche percezioni e situazioni, vanno a impattare sui recettori delle cellule bersaglio, inducendo i comportamenti percepiti come più adatti in quelle determinate circostanze.

[6] W.D. Hamilton, “The Evolution of Altruistic Behavior”, The American Naturalist (97: 354-356) (1963)

[7] La produzione di beni superflui a scopo di profitto richiede la creazione di bisogni indotti per promuoverne il consumo. A tale scopo, l’uso strumentale della scienza ai fini commerciali ha diffuso la tecnica della neuropromozione, grazie alla quale è possibile per le aziende produttrici farsi guidare, nella scelta della pubblicità più efficace, dall’osservazione mediante la tecnica della risonanza magnetica nucleare (RMN) di quale, fra i diversi messaggi pubblicitari, è in grado di maggiormente attivare le aree cerebrali dei centri della gratificazione.

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