“L’arte stessa deve stabilire con la realtà un rapporto che non è più di ornamento, di imitazione, ma di messa a nudo, di smascheramento, di ripulitura, di scavo, di riduzione violenta alla dimensione elementare dell’esistenza. È soprattutto nell’arte che si concentrano – nel mondo moderno, nel nostro mondo – le forme più intense di un dire il vero che accetta il coraggio e il rischio di ferire”. È questa la missione che Michel Foucault assegna all’arte nel suo altissimo testamento, l’ultimo corso tenuto al Collège de France (Il coraggio della verità, 1984) prima della morte.
Ed è questa la sfida raccolta da Giovanni de Gara (Firenze 1977), un artista che da oltre un anno sta girando l’Italia per dire la verità attraverso il lavoro delle sue mani e della sua mente. L’idea è semplicissima, l’effetto grandioso: rivestire d’oro, per un breve periodo, le porte di chiese, o di importanti edifici pubblici.
La prima volta è stato il 28 giugno 2018, con quelle della venerabile basilica di San Miniato, sospesa tra cielo e terra sopra Firenze. L’entusiastica benedizione del giovane, colto e sinceramente evangelico abate (padre Bernardo Gianni, poi invitato da papa Francesco a predicare gli esercizi spirituali pasquali alla Curia romana) ha aperto a de Gara una serie travolgente di occasioni: dal monastero di San Giovanni a Parma al Comune di Palermo, dal Maschio Angioino di Napoli a San Faustino a Brescia, passando per le chiese di Lampedusa e per la parrocchia di Vicofaro di don Massimo Biancalani. E poi moltissime altre chiese: cattoliche, valdesi, metodiste e di tante altre confessioni.
È incredibile come questi luoghi – che fossero monumenti importanti o semplici chiesette, luoghi anonimi o dall’alto valore simbolico – cambiassero volto, inducendo le comunità ad essi legati a sostare, a riflettere collettivamente, a incontrarsi. Un’arte lontanissima da quella dei musei: un’arte che recupera la sua funzione più antica, quella di riunire gli umani intorno a immagini simboliche, a valori condivisi, a progetti comuni. Già, perché quell’oro non è quello delle glassature pacchiane di un Jeff Koons, ma è un oro povero e insieme profondamente umano: è l’oro delle coperte termiche che vengono offerte ai migranti salvati nel mare che bagna l’Italia – beninteso, quando qualcuno (come Carola Rackete) ha ancora il coraggio profetico di disubbidire a leggi mostruose e di ubbidire invece alla Costituzione, legge delle leggi e unico metro per misurare la legalità sulla giustizia. “Viviamo nell’epoca delle fake-news e delle contraffazioni, del complottismo e delle false speranze – spiega de Gara – e da questo prende forma il nome del progetto. Eldorato è infatti un’evidente distorsione del luogo immaginario per eccellenza (l’Eldorado) ed è stato deformato come viene deformata la realtà dei fatti, specialmente in materia di immigrazione. Sul piano etimologico, esso deriva dal termine ebraico El – che significa Dio”.
A San Miniato, l’apertura di quelle porte è stata accompagnata da una preghiera: “Tu hai detto: ‘Io sono la porta’. Ricordaci che chi vuole chiudere le porte in nome dell’odio, anche se giura sul tuo Vangelo e stringe un rosario, è un falso profeta e, letteralmente un anti-Cristo. Tu hai detto di te stesso: ‘Ero straniero’. E ci hai ricordato che saremo giudicati esattamente su questo: ‘Mi avete accolto’ o ‘Non mi avete accolto’. Ricordaci che non possiamo dirci cristiani se non accogliamo lo straniero. Perché non c’è una ‘casa loro’ in cui aiutarli e una casa nostra da cui respingerli: c’è una sola famiglia umana”.
Preti, vescovi, sindaci, e centinaia di cittadini si sono, così, riuniti intorno ad un artista che promuove una profonda riflessione collettiva sul tema dell’accoglienza verso ogni individuo, senza distinzione di razza, genere e religione. È un’esperienza densa di riferimenti storici e culturali: secondo la Bibbia, per esempio, la Porta d’Oro di Gerusalemme era quella attraverso cui si manifestava la presenza di Dio, mentre oggi le porte d’oro di de Gara invocano la nostra umanità, la interpellano senza sosta perché torni a manifestarsi.
Quando chi diceva di voler difendere la Costituzione ora ne calpesta il nucleo morale più sacro (“dare ad ogni uomo la dignità di uomo”, diceva Calamandrei), quando chi gridava “onestà!” oggi si scaglia contro i giudici che applicano la legge, quando chi regge i destini della Repubblica parla e agisce senza disciplina e onore, quando è quasi solo la Chiesa a lottare per i diritti umani che ha impiegato tanti secoli a riconoscere: quando nessuno sembra volere o saper fare ciò che dovrebbe fare, è paradossalmente un artista a esser fedele fino in fondo all’antichissima, e così spesso trascurata, funzione dell’arte. Alla tanto diffusa domanda ‘cos’è l’arte di oggi’ si può allora rispondere con un’altra domanda: ‘a cosa serve l’arte? a cosa servono gli artisti oggi?’ La risposta è naturale, cioè pre-culturale. Profondamente connessa alla natura umana. E lo si capisce in epoche di forte turbamento collettivo, quando le parole non bastano e in molti sentiamo la necessità di un linguaggio diverso, più denso, più sintetico, più forte e insieme più alto.
Come il linguaggio semplice e altissimo di Giovanni de Gara, che rivestendo d’oro e d’amore le porte – cioè le frontiere, i confini, ciò che separa il dentro e il fuori – ci invita a cercare non in ciò che è fuori, ma in ciò che è dentro di noi. La nostra comune umanità, l’unica patria per cui valga la pena di combattere.