Cassa integrazione o licenziamenti. Confindustria a cavallo

di Alfonso Gianni - ilmanifesto.it - 27/05/2021
Già la proroga al 28 agosto era indigesta ai lavoratori e al sindacato che su questo si gioca un bel pezzo di credibilità, dopo l’endorsement, al buio, al governo

Qualche affidamento da parte di chi conta nel governo era probabilmente già stato dato alla Confindustria. E il dubbio su chi fosse in realtà l’ingannatore e chi l’ingannato era già sorto. Quanto è accaduto poi, con il correlato di dichiarazioni e commenti, lo dimostra. Orlando pare che abbia dovuto agitare la minaccia delle dimissioni. Poi non attuata non solo perché intrinsecamente debole, ma soprattutto perché non sarebbe stata sostenuta dal suo partito di cui è capodelegazione nel governo. Del resto il Pd era già pronto ad assorbire il colpo – a proposito di “resilienza” – e a dichiarare che la soluzione prevalsa dopo lo scontro in Consiglio dei ministri si configurava come un ragionevole compromesso. Basta stare al merito per capire che non è così.

Dal 1° luglio le imprese manifatturiere ed edilizie avranno la possibilità di scegliere tra due opzioni: utilizzare la cassa integrazione ordinaria in modo gratuito, in questo caso – e mancherebbe altro – non potendo licenziare durante l’uso della medesima; oppure licenziare senza chiedere l’intervento della Cig. Gli anglosassoni la chiamano una soluzione win win, solo che in questo caso a vincere è uno solo, il padrone (desueto quanto appropriato termine), qualunque delle due alternative scelga.

Nel primo caso risparmia sulla Cig, ovvero tra il 9% e il 15% della retribuzione, che palazzo Chigi chiama “un forte incentivo” a non rescindere il rapporto di lavoro. Nel secondo potrebbe procedere subito ai licenziamenti. Dove stia il compromesso, prima ancora della sua ragionevolezza, resta davvero oscuro. Già la proroga al 28 agosto era indigesta ai lavoratori e al sindacato che su questa questione si gioca un bel pezzo di credibilità, aggravata dall’endorsement incautamente fornito al buio all’atto della nascita del governo Draghi.

Ma così la situazione precipita verso un disastro sociale. Il binomio con il decreto semplificazioni non è casuale. Era già chiaro dal discorso di Draghi sulla fiducia che su quel versante non ci si poteva aspettare che il peggio. In un paese che l’anno scorso ha accumulato la tragica cifra di 1270 “morti bianche”, oltre tre al giorno se si lavorasse tutti i giorni dell’anno, solo una logica disumana condita da lacrime di coccodrillo può pensare a cuor leggero alla liberalizzazione di appalti e subappalti e di accelerazione del lavoro nei cantieri.

Per ora sembra che la prima vergognosa bozza del decreto sia stata messa da parte e che si attui uno stralcio delle normative più contestabili, quali quelle sul subappalto e sul massimo ribasso. Resterebbe per ora il tetto del 40% per il subappalto. Ma già c’è chi ricorda che la Corte di giustizia della Ue, con sentenza del 26 settembre 2019, aveva considerato illegittima l’apposizione del limite, sia che si tratti del 30% come del 40%, ed è pronto ad usarla come una clava per spingere il tasto della liberalizzazione. Insomma il padronato è all’offensiva sul fronte del lavoro, come della proprietà, con particolare riguardo a quella intellettuale oggi sempre più chiave del sistema.

Basti guardare alla questione brevetti sul vaccino e sui farmaci anti-Covid. Capitale contro lavoro. Si chiama lotta di classe. Senza pudore Carlo Bonomi dichiara che l’Italia è in piedi grazie alle aziende, tace sul fatto che il 74% dei flussi di denaro governativi sono andati alle imprese e che esse hanno operato grazie a lavoratori costretti a prestare la loro opera malgrado lo scoppio della pandemia. E se questo non è proseguito durante tutta la fase pandemica lo si deve alle azioni di sciopero, non certo alla benevolenza padronale.

La Confindustria non vuole sprecare la crisi; si prepara ad una riorganizzazione della produzione che comporta una massa di licenziamenti e una riduzione stabile della forza lavoro occupata. E il Pnrr glielo consente. Industria 4.0 non è solo una sigla numerico linguistica, ma una sfida e una minaccia alla già debole occupazione. Questo piano confindustriale che non si ferma all’emergenza non sopporta neppure i più timidi ostacoli. Il vice di Bonomi, Maurizio Stirpe, ha detto esplicitamente che questa vicenda “è destinata a segnare in modo profondo anche i rapporti tra Confindustria e il ministero (del lavoro)”.

Non son più i tempi in cui “noi siamo governativi per definizione”, come diceva Gianni Agnelli. Quindi l’associazione padronale punta ad articolare la sua tattica, ministero per ministero, disarticolando la maggioranza e costruendosi la propria interfaccia governativa. Spetterebbe al sindacato impedirglielo.

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