Dopo la Tav arriva la Flat tax multipla

di Alfonso Gianni - Il Manifesto - 28/07/2019
Se non è possibile introdurre una flat-tax unica al 15% con il bazooka (costerebbe 60mld), il leader leghista punta a introdurre tante piccole tasse piatte. Da tempo è in atto in tutta Europa e in Italia uno spostamento del peso del prelievo fiscale dall’imposta diretta a quella indiretta, che liquida la progressività

Come brace sotto la cenere si riattizza ad ogni refolo di vento lo scontro tra Salvini e Tria. Dove Tria sta ormai anche per Conte. L’occasione è data dalla Flat tax, sulla quale, gigioneggiando, il ministro degli interni dichiara di avere scoperto solo l’altro ieri che vi sono divergenze.

Divergenze nell’opportunità, nei tempi e nei modi con il collega che dirige l’economia e il presidente del Consiglio. Entrambi, insieme a Di Maio, piuttosto favorevoli a una riduzione degli scaglioni attraverso un ritocco del cuneo fiscale, che però può significare una diminuzione della contribuzione sociale a carico degli imprenditori. Cosa per la verità arcinota e già motivo di ricorrenti polemiche.

La vis polemica di Salvini questa volta è rinfocolata dalla convinzione che la testardaggine della Lega ha pagato sul tema Tav. Non si può purtroppo dargli torto sul punto. Ma allora perché non travolgere le resistenze anche in merito di tassa piatta?

Non si tratta qui semplicemente di distogliere l’attenzione dal Russiagate, anche se ogni occasione è utile per questo, quanto piuttosto di recuperare appieno un consenso tra gli imprenditori che negli ultimi tempi si era andato un po’ appannando, anche in seguito alle scelte compiute dalle truppe di Salvini con il voto contrario alla nomina di Ursula von der Leyen a capo della Commissione europea.

Del resto la drastica riduzione delle tasse alle imprese è il mitico toccasana agitato dal neoliberismo nella sua versione più spietata dai tempi di Ronald Reagan. Perché dunque non riprenderlo ora, sembra domandarsi Salvini, dal momento che le previsioni diffuse l’altro giorno dal Fmi correggono ancora al ribasso la crescita mondiale per i due anni a venire, portandola al 3,2% per il 2019 e al 3,5% per l’anno successivo e la Cina stessa non va al di là di un 6,2%, un rallentamento marcato, destinato ad accrescersi nel 2020, a causa della guerra dei dazi ed anche delle scelte di politica economica di quel paese più votato allo sviluppo del mercato interno.

Della situazione è ben coscio naturalmente anche Draghi che vuole lasciare alla Lagarde consegne ben precise. Quindi nel quadro di una politica monetaria “altamente accomodante per un prolungato periodo di tempo” Draghi ha sfoderato le armi di cui dispone, dal taglio dei tassi alla ripresa del Quantitative Easing, le quali però sono destinate a perdere efficacia più si ripetono nel tempo.

La pioggia di liquidità non risolve il problema della bassa crescita – e questo Draghi lo sa bene – ma neppure quello di una ripresa dell’inflazione, se non si affronta il grande tema della svalorizzazione del lavoro e della sua pauperizzazione, dovute non solo ai tradizionali bassi salari, ma alla precarizzazione che il capitalismo delle piattaforme porta con sé informando di essa tutto il sistema.

Salvini non va per il sottile: ci sarebbe bisogno di uno shock fiscale forte, di provvedimenti paragonabili per il loro impatto a quelli assunti nel campo della sicurezza. Davvero rivelatore questo binomio fra misure sicuritarie, razziste, illiberali e incostituzionali e un liberismo economico senza freni, che travolge i principi costituzionali della progressività del nostro sistema tributario. In una precedente intervista al Sole24Ore di giovedì scorso, Salvini aveva presentato l’introduzione della flat tax in modo graduale e addirittura volontario – e qui il quadro si fa davvero confuso – collegandola a provvedimenti per la pace fiscale, ovvero a nuovi condoni, senza naturalmente prendersi la briga di precisare il come e con quali risorse.

In sostanza Salvini e i suoi suggeritori sono consapevoli che non è possibile introdurre d’acchito una tassa piatta universale, che costerebbe qualcosa come 60 miliardi, e quindi intendono muoversi sul terreno di tante “flat tax” meno costose e corporative, delle bombe a frammentazione introdotte nel nostro sistema tributario. Per questo il ministro degli interni convoca esso stesso le parti sociali e c’è da augurarsi che il prossimo invito sia negletto dai sindacati dei lavoratori.

Ma comunque la si voglia presentare la flat tax non sarebbe che il più recente e devastante atto di una controriforma fiscale in corso da tempo, più o meno silenziosamente con lo smantellamento del sistema dell’Irpef attraverso il moltiplicarsi delle imposizioni sostitutive – un vero arcipelago – rispetto a quelle ordinarie. Le conseguenze di quanto si è già fatto in questo campo sono sotto gli occhi di tutti e misurabili.

Già l’introduzione del forfait del 15% “per le persone fisiche che esercitano un’attività di impresa, arte e professione“, che è stato esteso dal gennaio di quest’anno a chi fa ricavi fino a 65mila euro (invece dei precedenti 30mila), fa sì che un professionista con compensi annui pari a 64mila euro paghi di imposte 10mila euro meno di un lavoratore dipendente con reddito simile e due figli a carico. Ci si può, anzi ci si deve indignare, ma non stupire.

Da tempo è in atto in tutta Europa e in Italia uno spostamento del peso del prelievo dall’imposta diretta a quella indiretta, che liquida la progressività. E su questo è d’accordo anche Tria, come ha più volte dichiarato rispetto alla disponibilità all’incremento dell’Iva. Si chiama lotta di classe dal punto di vista dei padroni.

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