Patrimoniale: retromarcia della “sinistra” di governo

di Federico Giusti - lacittafutura.it - 28/12/2020
È stato sufficiente che Renzi agitasse le acque della maggioranza minacciando una crisi di governo per convincere la cosiddetta sinistra del Pd e Leu a ritirare l’emendamento alla manovra di bilancio che prevedeva la patrimoniale sulle ricchezze sopra i 500mila euro

Scenari già conosciuti di una sinistra, o presunta tale, che antepone la propria presenza al governo a qualunque programma di equità sociale. Sinistra che nel corso degli anni ha votato a favore delle missioni di guerra rinunciando, in epoca prodiana, a sostenere la riduzione dell’orario di lavoro a parità di salario.

Non saremo certo noi a gridare allo scandalo per l’ennesimo voltafaccia, del resto cosa potevamo attenderci da Orfini e Fratoianni?

Nel frattempo Amnesty International parla di violazione dei diritti umani per gli anziani ricoverati nelle Rsa italiane e punta il dito soprattutto sulla gestione della pandemia nelle regioni più ricche, quelle del centro Nord che sono, guarda caso, le più schierate a favore dell’autonomia differenziata. Sempre Amnesty critica con particolare durezza la gestione della pandemia e le scelte in campo sanitario del governo e del ministro Speranza.

La rinuncia a una pur timida proposta di patrimoniale, la incapacità di svincolare le spese sanitarie dalla sostenibilità finanziaria in linea con le politiche di austerità della Bce rappresentano la sconfitta della cosiddetta sinistra governativa incapace di incidere sulle scelte dirimenti di natura sociale e lavorativa; anzi viene il sospetto che, timorosa di essere esclusa dalla maggioranza, abbia scientemente ritirato gli emendamenti alla legge di bilancio e al contempo rinunciato a una campagna di sostegno alla sanità pubblica. E aggiungiamo l’incapacità, o meglio la volontà politica di non affrontare il problema del fisco: incapaci perfino di proporre un aumento delle aliquote in controtendenza a quanto avvenuto nei quarant’anni liberisti.

In Europa sono stati pubblicati libri e rapporti con tanti dati incontrovertibili a dimostrare che per quarant’anni sono state sottratte risorse al lavoro, al welfare, alla sanità e all’istruzione e nello stesso lasso di tempo sono accresciute le accumulazioni di capitale nelle mani di pochi. Da qui la proposta di una patrimoniale del 10% sul 10% più ricco del paese sarebbe non una proposta rivoluzionaria ma appena socialdemocratica. E sarebbe una proposta riformista anche una regolazione dei movimenti dei capitali, senza la quale l’applicazione della patrimoniale rischia di colpire esclusivamente il patrimonio immobiliare.

Sparita dall’agenda parlamentare la discussione sulla patrimoniale, riusciremo a riproporla negli obiettivi delle forze sindacali e sociali del paese? È lecito dubitare perché di patrimoniale si parla poco e in termini errati, lo si fa spesso nascondendosi dietro a preconcetti ideologici e senza guardare agli effetti della pandemia sulla distribuzione di reddito e ricchezze.

Rivendicare la tassazione dei capitali è giudicato un errore anche all’estrema sinistra. Veniamo da anni nei quali la parola d’ordine di pagare meno tasse ha messo tutti, o quasi, d’accordo, dai lavoratori autonomi di prima e seconda generazione ai sindacati che chiedono, al pari delle imprese, la crescita degli sgravi e delle detrazioni senza mai guardare alla sostanza del problema ossia al recupero effettivo del potere di acquisto che non potrà avvenire con l’attuale sistema contrattuale e quel codice Ipca che ci ha fatto perdere tanti soldi nel corso degli ultimi anni.

In numerose occasioni ci siamo imbattuti in parole d’ordine roboanti, tanto condivisibili quanto lontane dalle realtà, per esempio laddove si parla di socializzare i profitti e di nazionalizzazioni sotto il controllo operaio. Non dubitiamo della bontà di questo obiettivo ma come pensiamo di perseguirlo in un paese nel quale i sindacati non riescono neppure a salvaguardare il potere di acquisto dei salari e delle pensioni? E come la mettiamo con i lavoratori e le lavoratrici che hanno introiettato – la famosa subalternità culturale e ideologica – l’idea che il privato alla fine sia la soluzione migliore rispetto a un pubblico depotenziato e inefficiente? Come sarà possibile rivendicare aumenti salariali quando si barattano incrementi stipendiali con i bonus o si rinuncia a difendere la sanità pubblica favorendo quelle integrative collegate ai contratti nazionali? E lo stesso ragionamento vale per la previdenza pubblica se pensiamo che nel business delle pensioni integrative giocano un ruolo determinante i sindacati firmatari dei contratti.

Eppure sarebbe sufficiente guardare ai dati, saperli leggere e intrecciare per capire che in tempo di Covid sono cresciute ulteriormente le disuguaglianze sociali e il nostro sistema sanitario pubblico ha bisogno di essere potenziato, al pari di tutti gli altri settori della pubblica amministrazione.

Con quali soldi possiamo rafforzare i servizi pubblici indispensabili nella lotta alla pandemia? Con i prestiti europei e le merci di scambio richieste dalla Bce oppure andando a prendere i soldi direttamente da chi ha accumulato negli ultimi trent’anni enormi profitti beneficiando di aliquote fiscali favorevoli per i redditi da capitale? Rivendicare nuove aliquote fiscali significa restituire alla tassazione quel criterio di progressività per conquistare, almeno in parte, quell’equità sociale andata perduta dalla svolta dell'Eur in poi.

Non possiamo vergognarci davanti a una rivendicazione come la patrimoniale. Eppure in parlamento la componente più di sinistra è venuta meno ai suoi principi (teorici) anteponendovi la permanenza nella maggioranza governativa.

Nel paese concetti, e pratiche conseguenti, come quella dell’uguaglianza, sono stati sommersi da montagne di menzogne a tal punto che anche agli occhi delle classi subalterne la sete di giustizia e di equità sociale è diventata un’assurda pretesa o una posizione ideologica della quale vergognarsi.

Storicamente i governi moderati nel dopoguerra hanno fatto ricorso a leggi patrimoniali, magari per pagare i debiti di guerra e finanziare la ricostruzione post bellica, di sicuro con la fine degli anni Settanta ogni politica fiscale invisa al capitale speculativo è stata avversata in nome del mercato. Si spiega così la guerra condotta dal liberismo contro le classi lavoratrici e subalterne a tutela del capitale e delle privatizzazioni, accanendosi sul welfare e sui salari e lasciando proliferare le speculazioni finanziarie. Sarebbe nell’interesse anche di forze politiche moderate approvare qualsiasi legge patrimoniale, basterebbe solo non essere cinghia di trasmissione delle associazioni datoriali e guardare al bene del paese come fecero forze di centro sinistra negli anni Sessanta, consapevoli che l’intervento statale nell’economia avrebbe aiutato la crescita anche del privato. 

La rivendicazione di una imposta patrimoniale progressiva è stato uno storico cavallo di battaglia dei comunisti quando avevano una lettura di classe della realtà, quando non si celavano dietro all’ideologia per occultare l’incapacità di tradurre i principi in programmi politici avanzati. Non si tratta di esaltare il ruolo riformista del Pci che di errori ne ha commessi tantissimi, si tratta solo di capire che abbattendo le disuguaglianze e rilanciando l’investimento pubblico ne trarranno conseguenze positive le classi subalterne oggi attratte dai sovranisti di carta. Una campagna per abbattere le disuguaglianze avrebbe almeno un risultato: sottrarre dal dimenticatoio numerose parole d’ordine avanzate che hanno per decenni influenzato socialmente e politicamente le classi subalterne.

Se in Italia non si parla di aliquote e di “imposta fortemente progressiva” la ragione sta nel fatto che da una parte ha trionfato il neoliberismo, dall’altra la lettura della realtà è quella ideologica tipica degli sconfitti che misurano le loro parole d’ordine secondo parametri di purezza teorica, o meglio presunta tale, totalmente dissociati dalla realtà.

I socialisti spagnoli si sono dimostrati assai più avanzati di Leu innalzando dell’1% l’aliquota sui patrimoni superiori ai dieci milioni (oggi al 3,5%) e approvando una legge – non senza contraddizioni – che permetterà alle amministrazioni regionali di decidere se applicare questa tassazione nei loro territori.

In Italia la subalternità degli intellettuali è così evidente che non sono partiti dagli ambienti accademici appelli e iniziative, in accordo con gli studenti, a favore della patrimoniale. Il tema poi risulta inviso anche a parte del mondo sindacale che ha troppi conflitti di interesse in materia di sanità e previdenza integrativa con la cultura delle privatizzazioni.

E così si è consumata l'ennesima debacle della cosiddetta sinistra con la rinuncia a presentare emendamenti a favore di una piccola patrimoniale. La logica delle poltrone ha il sopravvento sui contenuti, i padroni e gli speculatori potranno dormire sonni tranquilli.