Era stata arrestata insieme a centinaia di altri colleghi per il suo impegno nella difesa dei diritti civili in Turchia.
Ho incontrato Ebru lo scorso ottobre, durante una missione in Turchia. Mi aveva nominato suo difensore consentendomi di entrare nella prigione di Silivri (il più grande carcere d'Europa, perchè sì: Istanbul e Silivri si trovano in Europa) e parlare con lei per 30 minuti.
Proprio quel giorno le avevano notificato la decisione della Corte d'Appello che confermava la condanna a suo carico per 13 anni e mezzo di carcere dopo un processo farsa. Mi raccontò i soprusi quotidiani della vita in carcere e, quando i secondini vennero a interrompere il nostro colloquio, mi salutò con uno splendido sorriso, dicendomi di stare tranquillo perchè nemmeno in prigione avrebbe smesso di lottare.
A febbraio, in protesta contro le condizioni carcerarie e le violazioni dei diritti di cui era stata vittima nel corso del suo assurdo processo, era entrata in sciopero della fame insieme al collega Aytaç Ünsal. Sono stati inutili gli appelli ai giudici e alle autorità turche, l'ultimo dei quali pubblicato domenica.
Il 14 agosto la Corte di cassazione turca ha respinto il ricorso per la liberazione di Ebru (ridotta a pesare 30 kg.), dichiarando che non c'erano prove che fosse in pericolo di vita o che ci fossero rischi per la sua incolumità fisica.
Oggi Ebru ci ha lasciato e vorrei ricordarla con una foto che la ritrae in toga, in strada, ad una manifestazione di avvocati turchi in difesa di alcuni assistiti arrestati dal regime turco.
Che la terra ti sia lieve, compagna. No, non smetteremo di lottare.