Il 1° gennaio 2020 è entrato in vigore il nuovo 2° comma dell’articolo 158 del Codice penale che blocca definitivamente il corso della prescrizione con la pronunzia della sentenza di primo grado o del decreto penale di condanna. Si tratta di una importante innovazione contenuta nella legge anticorruzione 9 gennaio 2019 n. 3, auspicata da insigni giuristi (Zagrebelskj), dalla Corte di giustizia Ue (sentenza Taricco del 2/9/2015), dai vertici della corte di Cassazione, dai magistrati impegnati in prima linea contro i delinquenti di ogni risma, dalla Anm (19/12/2019) e, tra gli altri, dal Pm Nicola Gratteri, punta di lancia della lotta alla Ndrangheta, la più potente multinazionale del crimine.
La riforma allinea il nostro ordinamento a quello degli altri Stati europei (Piercamillo Davigo sotto l’impero della vecchia normativa si era chiesto: “La prescrizione come l’Italia ce l’ha solo la Grecia: ma tutti gli altri Paesi violano i diritti umani ?”). Va peraltro sottolineato che al Guardasigilli Bonafede è mancata la spinta ulteriore per spostare la decorrenza della prescrizione dal momento della consumazione del reato (come prevede l’ articolo 158/1 Cod. pen.) a quello della sua scoperta, che non di rado avviene molto tempo dopo: una manifesta irragionevolezza, già bollata dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 452/1999 per cui “nessuna tutela può essere offerta al soggetto che, dopo la commissione del reato si nasconde ed evita il giudizio, attendendo che lo scorrere del tempo faccia scattare la prescrizione del suo illecito criminale”.
Contro la nuova legge si sono schierati molti avvocati penalisti, Forza Italia con Fdi e, paradossalmente, la Lega e il Pd che, pure, a gennaio l’avevano approvata. Lo stesso Pd ha presentato prima di Natale una proposta di un solo articolo per la quale il corso della prescrizione rimane sospeso per due anni dopo il giudizio di primo grado, sei mesi nel giudizio di appello con rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale e di un ulteriore anno se è presentato il ricorso per cassazione. Con tale proposta, se fosse approvata, si ritornerebbe al vecchio modello (leggi Cirielli e Orlando), sia pure con fasi temporali più brevi, che ogni anno bruciava circa 120.000 processi: una vittoria per i delinquenti, una beffa per le vittime dei reati e un record mondiale per la giustizia italiana.
Secondo i promotori della controriforma la legge Bonafede contrasterebbe con il principio del “giusto processo” sancito dall’articolo 111/2 della Costituzione per il quale la legge deve assicurare una ragionevole durata a ogni processo. Si può obbiettare che una delle cause della lunga durata dei processi penali è proprio la prescrizione, traguardo fortemente ambito dall’imputato che, sapendo di essere colpevole, cerca di evitare la condanna mettendo in atto tutte le tecniche dilatorie consentite dal codice processuale. A parte ciò l’attuale, irragionevole durata delle cause penali dipende principalmente dalla irragionevole, catastrofica situazione del nostro sistema giurisdizionale nel quale i processi marciano a passi di lumaca tra lungaggini di ogni tipo, impedimenti formali, tempi morti delle notifiche, falsi garantismi e, nelle prime fasi, assurda moltiplicazione temporale dei controlli sulle indagini del Pm (Gip, Gup, Tribunale del riesame e ricorsi incidentali per Cassazione), cui si aggiunge la cronica vacanza di centinaia di posti di ruolo nei tribunali e nelle Corti. Oltre a sparare a zero contro la nuova prescrizione – un orrore secondo la deputata Boschi (18/12), una bomba atomica secondo la senatrice Bongiorno (19/11) – gli oppositori studino i rimedi più efficaci per rendere ragionevoli i tempi dei processi e presentino in Parlamento le proposte per rimettere in moto la macchina inceppata della Giustizia: eviterebbero così il sospetto che la querelle sulla prescrizione fosse soltanto un mero espediente di stampo elettoralistico.