Il New York Times del 29 luglio celebra l’accordo sulla riforma della giustizia con un articolo dal titolo emblematico: “Italy’s Mr. Fix-It Tries to Fix the Country’s Troubled Justice System — and Its Politics, Too”. Che possiamo tradurre come “Il signor Aggiustatutto d’Italia tenta di aggiustare il disastrato sistema giudiziario del paese, ed anche la politica”. Per quel giornale è la riforma di Draghi, che mette in gioco la sua funzione di premier.
La lettura è – nella sostanza – giusta, perché la riforma Cartabia diventa ogni giorno di più la riforma Draghi. La ministra non avrebbe avuto la forza di scriverla, presentarla, sostenerla nella battaglia politica. Ma i problemi rimangono, quale che sia la firma sulle carte.
Bisognerà aspettare testi definitivi. La camera dei deputati è convocata domani, 1° agosto, per l’esame dell’AC 2435 (proposta Bonafede). Secondo le ultime notizie, in commissione i relatori hanno presentato un subemendamento agli emendamenti del governo già depositati, riproduttivo dell’accordo di maggioranza. Quali sono gli scenari al momento probabili? Il governo porrà la fiducia sul testo approvato in commissione, se questa giungerà a votare. In caso contrario, in aula arriverà il testo originario Bonafede, e il governo porrà la fiducia su un maxi-emendamento onnicomprensivo di tutte le modifiche che si vogliono introdurre. Rimarrebbe in ogni caso aperta la via per ulteriori emendamenti in aula. Mentre è probabile che la fiducia sia posta comunque, per far cadere gli emendamenti delle (residue) opposizioni.
Fino al voto dell’aula rimane uno spazio di riflessione. Il Consiglio superiore della magistratura ha censurato nel suo parere il nodo prescrizione-improcedibilità, ma anche l’indicazione parlamentare ex lege al Pm di priorità per l’azione penale. Si sussurra anche di dubbi da parte del Quirinale. È una palese incostituzionalità, che potrebbe domani spostare l’asse del potere punitivo dello Stato avvicinandolo pericolosamente alle mani di chi detiene il potere pro tempore. Va sottolineato che nella formulazione fin qui nota non si tratta della mera approvazione di una relazione del ministro al parlamento, ma di un atto che entra nella gerarchia delle fonti con il rango legislativo. È difficile pensare che non vi siano conseguenze. Qui bisogna intendersi: il riferimento alla legge sarà contenuto o no nella formulazione definitiva?
Apprendiamo dalla stampa che nella convulsa e confusa trattativa la soppressione degli indirizzi parlamentari era chiesta da M5S. È stato opposto un diniego, vogliamo supporre da Draghi, perché preferiamo non imputarlo alla Cartabia, costituzionalista ed ex corte costituzionale. In ogni caso, ci chiediamo perché, visto che la norma sarebbe superflua o inutile (solo relazione), o con certezza incostituzionale (approvazione con legge). Norma manifesto, o eversione? E che fa il Pd, incapace come spesso accade di una parola identitaria? Non vorremmo che l’ultima rappresentazione fosse quella di una vendetta della politica sulla magistratura per Tangentopoli, trent’anni dopo.
Siamo ottimisti.
Ci aspettiamo che gli indirizzi parlamentari al Pm scompaiano. Auspichiamo poi un affinamento sull’ufficio del processo. Affidarlo a giovani inesperti, da formare e per di più precari assunti a tempo determinato, ci dice che nel tempo dato faranno qualche ricerca di giurisprudenza e poco altro. Dubitiamo assai che ci diano la palingenesi. Meglio rafforzare l’investimento sul radicale ampliamento degli organici dei magistrati e del personale di supporto, sull’aggiornamento tecnologico e nella digitalizzazione, sul miglioramento della qualificazione e della capacità investigativa della polizia giudiziaria.
Nessuno nega l’importanza per il paese di una giustizia più rapida, efficiente, efficace, ma ci sono vie giuste e vie sbagliate, ed anche i dettagli contano. Oltre ai dubbi sulla improcedibilità e sulla tagliola del 1° gennaio 2020, un esempio. Oggi è consentita la rinuncia alla prescrizione, strumento a difesa dell’onore dell’imputato che si ritiene innocente. L’opinione pubblica vede, e valuta. Domani il giudizio sarà congelato dalla improcedibilità. L’opzione oggi disponibile per l’imputato sembrerebbe preclusa. È possibile ripristinarla? Diversamente, ci sentiremmo dire dal cattivo di turno, in specie se personaggio eminente come un Berlusconi, “avrei tanto voluto giungere a sentenza, ma purtroppo la legge me lo ha impedito”.
Bisogna orientare al meglio l’emendamento – o emendamenti – del governo, contrastando l’ennesima emarginazione del parlamento. L’esito misurerà la cifra degli occupanti di Palazzo Chigi, più e meglio del New York Times. E se andasse male, il caro estinto – per dirla con Renzi – non sarebbe la riforma Bonafede, ma la speranza di una giustizia giusta.