Che c’è da gioire davanti allo scambio tra occupazione e ammortizzatori sociali?

di Federico Giusti - lacittafutura.it - 05/07/2021
Alla vigilia del ripristino dei licenziamenti collettivi arriva l’ennesima intesa a perdere con le parti sociali

“Le parti sociali alla luce della soluzione proposta dal Governo sul superamento del blocco dei licenziamenti, si impegnano a raccomandare l’utilizzo degli ammortizzatori sociali che la legislazione vigente ed il decreto legge in approvazione prevedono in alternativa alla risoluzione dei rapporti di lavoro. Auspicano e si impegnano, sulla base di principi condivisi, ad una pronta e rapida conclusione della riforma degli ammortizzatori sociali, all’avvio delle politiche attive e dei processi di formazione permanente e continua.”

È quanto riportato sul sito del governo a proposito dell’intesa siglata poche ore fa con i sindacati e le cosiddette parti sociali.

Per capire di più è bene scorrere la rassegna stampa dei principali giornali e delle testate online, non ultimo il sito de “Il Sole 24 Ore”.

Al di là delle dichiarazioni rese a mezzo stampa dai segretari nazionali di Cgil Cisl e Uil, ci sembra evidente che il governo Draghi abbia raggiunto il suo obiettivo prioritario: dare il via libera ai licenziamenti collettivi ricorrendo a un accordo con i sindacati concertativi per salvaguardare la coesione sociale. Dubitiamo fortemente che questo obiettivo possa essere raggiunto quando, in autunno, arriveranno centinaia di vertenze e di ristrutturazioni aziendali, quando gli appalti saranno rinnovati con ampio ricorso al subappalto e gli inesorabili tagli salariali e occupazionali.

Bisogna andare oltre lo sdegno e la critica ideologica; per esempio troviamo emblematico il riferimento a principi condivisi dalle associazioni datoriali e dai sindacati, principi solo presunti perché non può esistere alcun accordo tra padroni e forze sindacali quando gli interessi in gioco sono antitetici. L’obiettivo padronale è a tutti noto: mettere le mani sul Recovery, decidere i piani di rilancio del paese, accrescere il Pil e tenere basso il costo del lavoro socializzando i profitti e scaricando sulla collettività le perdite. Dal canto suo il sindacato non può ergersi a paladino dei lavoratori e delle lavoratrici quando scambia la tenuta dei posti di lavoro con gli ammortizzatori sociali barattando i licenziamenti collettivi con settimane aggiuntive di cassa integrazione e il vago impegno di destinare maggiori risorse alla formazione in un paese, parliamo dell’Italia, che investe meno di ogni altro in Ue nelle politiche di formazione tanto nel privato quanto nei comparti pubblici.

Non nutriamo alcun dubbio sulla coerenza dei che nel corso degli anni hanno ottenuto i risultati sperati come dimostra lo stravolgimento dello Statuto dei lavoratori e la precarizzazione del lavoro, siamo invece consapevoli che i sindacati concertativi abbiano di nuovo calato le brache sottoscrivendo una intesa che nei fatti ripristina i licenziamenti collettivi con il loro assenso. Siamo forse ingenerosi o instancabili pessimisti?

Il divieto di licenziamento resta solo limitato ad alcuni settori: tessile, calzaturiero e moda fino al 31 ottobre 2021, i licenziamenti saranno invece possibili nell’industria manifatturiera, nell’edilizia e nel settore del trasporto dove si annuncia un autunno di licenziamenti collettivi e di appalti al ribasso.

Il governo Draghi ha infatti concesso 6 mesi di cassa integrazione straordinaria per la cessazione dell’attività relativamente al settore aereo dove i licenziamenti annunciati potrebbero essere migliaia e riguardare lavoratori degli appalti, delle società che gestiscono gli scali e delle compagnie aeree in crisi che hanno già annunciato esuberi.

Non siamo tra quanti brinderanno davanti a un accordo che di fatto ripristina i licenziamenti collettivi accordando solo qualche ammortizzatore sociale dalla durata limitata a pochi mesi, eppure nonostante l’evidenza dei fatti i segretari di Cgil Cisl e Uil sono convinti di avere portato a casa un gran risultato e dello stesso avviso sono anche organi di stampa cosiddetti di sinistra o comunisti secondo i quali la marcia trionfale di Cgil Cisl e Uil avrebbe arrestato l’offensiva di Confindustria.

I criteri cosiddetti selettivi nella proroga del blocco dei licenziamenti e nella proroga della Cassa Covid, con le 13 settimane aggiuntive di Cassa gratuita per tutte le imprese, riguarderà molte aziende che potrebbero non avere bisogno di questo aiuto pubblico perché continuano ad avere un elevato fatturato insieme a margini di profitto ragguardevoli; i licenziamenti anche nei settori tessili e calzaturiero sono solo rinviati di qualche mese e nel frattempo gli altri comparti del privato potrebbero essere interessati a migliaia di esuberi. In qualunque modo si voglia leggere l’intesa, è evidente che sarà lo Stato a sobbarcarsi dei costi sociali attraverso le settimane aggiuntive di ammortizzatori sociali quando invece la soluzione avrebbe dovuto essere ben diversa: impedire i licenziamenti collettivi in ogni settore fino alla prima metà del 2022 quando presumibilmente saremo usciti dalla fase acuta della sindemia.

In questa intesa non esiste alcun obbligo delle associazioni datoriali verso la salvaguardia occupazionale, si tornerà a licenziare in buona parte del lavoro privato, gli impegni sono così generici da ricordare che nel corso degli ultimi 50 anni ci sono stati tanti altri accordi facilmente aggirabili se non clamorosamente disattesi.

Il governo Draghi si è insediato per consentire ai padroni la cogestione del Recovery. Sapevamo da mesi che sarebbero state le associazioni datoriali a far ingoiare la pillola amara ai sindacati rappresentativi accordando settimane aggiuntive di ammortizzatori sociali. Ma di impegni reali a salvaguardia della tenuta occupazionale non c’è traccia alcuna, così come disatteso è rimasto il superamento della precarietà occupazionale ed esistenziale come dimostra il mancato rinnovo del divieto degli sfratti che porterà centinaia di famiglie a restare senza casa.

L’Italia è il paese della Ue dove meno si investe in formazione di personale tanto nel pubblico quanto nel privato, come abbiamo modo di leggere anche in ricerche ufficiali. Parlare allora di formazione permanente e continua in un paese in cui la formazione è stata smantellata insieme alle province ci sembra veramente paradossale.

Con questa intesa entra nel vivo quel percorso che porterà alla riforma degli ammortizzatori sociali e delle politiche attive del lavoro proprio come richiesto dal Recovery e dalla Ue ma senza garanzie e tutele effettive per la forza lavoro. E a scanso di equivoci è bene ricordare che la soluzione al problema non sarà quella degli Enti bilaterali o dei carrozzoni cogestiti da sindacati e associazioni datoriali, la priorità dovrebbe essere quella di impedire ancora per mesi i licenziamenti collettivi.

I contratti di solidarietà difensivi ed espansivi non rappresentano poi una alternativa credibile e sostenibile ai licenziamenti collettivi, la loro eventuale concessione è nelle mani di Confindustria e in ogni caso ci saranno pur sempre riduzioni della forza lavoro e del potere di acquisto dei salari.

Questa intesa è lungi dall’affrontare il tema occupazionale e se lo fa è solo nell’ottica padronale, i licenziamenti sono solo rinviati di pochi mesi, il problema resta e con questo accordo sindacale si scambia l’occupazione con qualche settimana di ammortizzatore sociale. Non c’è che dire, vittoria di Pirro dei sindacati concertativi e vittoria dei padroni.

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