Salari indecenti, poveri sempre più poveri. L’afasia della sinistra e del sindacato davanti a un dramma sociale senza fine

di Rinaldo Gianola - strisciarossa.it - 27/03/2025
La perdita media annua è di circa 2600 euro e impatta quasi esclusivamente le famiglie che appartengono al gruppo delle famiglie già più povere. Giorgia Meloni è riuscita a far diventare più poveri chi già stava male. Un capolavoro.

Siamo alla riscoperta dell’acqua calda. I salari dei lavoratori italiani non crescono, perdono potere di acquisto, sono in balìa dell’inflazione e nessuno fa nulla per cambiare la situazione. L’ultima conferma ufficiale è arrivata dall’Organizzazione internazionale del lavoro (Ilo) che, nel suo Rapporto mondiale sui salari, ha evidenziato quello che tutti conoscono: i salari sono penalizzati, sono 8,7 punti al di sotto dei livelli del 2008, anno della grande recessione mondiale. L’Italia si distingue “per una dinamica salariale negativa nel lungo periodo”, siamo i peggiori tra i Paesi del G20.  Questa sentenza è terribile perché conferma l’impoverimento degli operai, degli impiegati, di chi vive del proprio lavoro, dimostra che politica imprese e sindacati, ciascuno con le proprie responsabilità, non sono stati in grado di tutelare almeno il potere di acquisto reale dei lavoratori. Siamo ultimi tra i Paesi industrializzati nonostante il recupero di 2,3 punti nel corso del 20124. L’Organizzazione internazionale del lavoro precisa nel suo rapporto che “l’analisi delle tendenze salariali in un arco temporale di 17 anni evidenzia come l’Italia abbia subito le perdite maggiori in termini assoluti di potere d’acquisto dei salari a partire dal 2008. Tra i Paesi a economia avanzata del G20, le perdite di salario reale sono state dell’8,7% in Italia, del 6,3% in Giappone, del 4,5% in Spagna e del 2,5% nel Regno Unito”. Da noi “la perdita è stata particolarmente significativa a seguito della crisi finanziaria mondiale (tra il 2009 e il 2012). Per contro, la Repubblica di Corea si distingue per aver registrato un aumento salariale reale complessivo del 20% tra il 2008 e il 2024″, mentre in “Germania le retribuzioni salgono del 15%”.

 Donne e immigrati i più penalizzati

Non è finita. Anche nelle difficoltà e nello sfruttamento, c’è qualcuno che sta peggio degli altri, si creano nuove povertà e disuguaglianze. I più penalizzati dalla dinamica salariale sono soprattutto i dipendenti con i redditi più bassi, perché i prezzi sono aumentati di più per i beni e i servizi di prima necessità rispetto all’indice generale. Le famiglie costrette a spendere la quota maggiore della retribuzione per l’affitto, le bollette e i beni alimentari hanno dovuto fronteggiare un’inflazione più alta e subire un calo del potere d’acquisto più consistente. Le donne subiscono, poi, una discriminazione salariale evidente. Hanno in media una retribuzione oraria del 9,3% inferiore ai loro colleghi uomini. Anche se si tratta di un gap salariale di genere tra i più bassi nell’Unione europea, l’evidenza del diverso trattamento si allinea con la drammaticità dell’occupazione femminile: ben 7 milioni di donne sono escluse dal mercato del lavoro. Gli immigrati sono i lavoratori trattati peggio, hanno una busta paga inferiore del 26,3% a quella dei dipendenti italiani, soprattutto a causa di lavori poveri e rischiosi nei quali la mano d’opera straniera è prevalente.

 La produttività è bassa perché le imprese non investono

L’ultima statistica salariale ha ovviamente provocato indignazione e lamenti nei partiti e nei sindacati. Forse non casualmente il giornale dei padroni, “Il Sole-24 Ore”, ha evitato di mettere in prima pagina il titolo sui salari da fame come invece hanno fatto altri quotidiani. Le imprese si difendono con il solito lamento che la produttività è troppo bassa quindi i salari non possono crescere. Ma anche quando aumenta la produttività, come negli ultimi tempi, i salari stanno sempre sotto. La realtà è che il sistema non funziona, l’Italia riesce ad aumentare l’occupazione in presenza di una produttività bassa, non è competitiva, un fenomeno che dovrebbe allarmare economisti e ministri. Non è colpa dei lavoratori fannulloni, ma della mancanza evidente di rinnovamento dei processi produttivi e dei servizi, non ci sono investimenti adeguati nella digitalizzazione, nelle tecnologie, nella formazione. I bassi salari sono un fattore strutturale dello sviluppo italiano, fanno comodo, eccome!, alle imprese. La destra al governo, poi, ha inventato il Ministero delle Imprese e del Made in Italy ma non si vede uno straccio di politica industriale e perfino John Elkann ha potuto farsi beffe del Parlamento dichiarando che “se in Italia esiste ancora l’industria dell’auto è merito di Stellantis”.

 I contratti sono inefficaci, non garantiscono le retribuzioni

Ci si potrebbe attendere una forte reazione del Pd. Le condizioni di vita dei lavoratori dovrebbero essere un tema interessante, ma non si sentono voci, nulla di nuovo. Forse sono rimasti alla manifestazione per l’Europa di Michele Serra. Riguardano i selfie. Poi ci sono i sindacati. Tutte le confederazioni hanno richiamato la necessità di lavorare per il recupero del potere d’acquisto. Il segretario della Cgil, Maurizio Landini, chiede di aprire una vertenza sui salari. La segretaria generale, Daniela Fumarola, sottolinea la necessità di un accordo sui redditi, mentre il leader della Uil, Pierpaolo Bombardieri, sollecita il rinnovo dei contratti, a partire da quelli dei metalmeccanici e del pubblico impiego. Ecco, con questa strategia, con queste possibili azioni sindacali, i lavoratori perderanno ancora potere, vedranno indebolirsi ulteriormente le loro retribuzioni. Da anni i contratti sono scatole vuote, non offrono nemmeno il recupero dell’inflazione maturata, i rinnovi si basano sull’accordo interconfederale che valuta l’inflazione depurata dai prezzi dell’energia importata. Siccome gas e petrolio sono la fonte principale che alimenta il fuoco dell’inflazione, ecco che i lavoratori partono con uno svantaggio incolmabile. Con queste condizioni nessuno riuscirà a mettere dei soldi nelle tasche dei lavoratori. Un minimo di onestà intellettuale dovrebbe spingere il sindacato a riconoscere che l’epoca dei contratti è tramontata, così non funziona più. Ci vuole altro, bisogna inventarsi qualche strada nuova, sparigliare le carte con governo e imprese. Magari portare i lavoratori dentro le aziende? Definire un processo di gestione condivisa? Almeno provare qualcosa di nuovo perché è chiarissimo che con le vecchie formule la sconfitta dei lavoratori è sicura.

 Il fallimento dell’Assegno di inclusione: cresce la povertà

C’è un ultimo capitolo che merita di essere segnalato. L’Istat ha pubblicato nei giorni scorsi il “Rapporto sulla redistribuzione del reddito in Italia nel 2024” da cui si può trarre una valutazione sull’impatto della cancellazione del Reddito di cittadinanza (Rdc) e dell’introduzione dell’Assegno di inclusione (Adi) da parte del governo Meloni. Più in generale l’Istat registra l’effetto prodotto dalla Legge di Bilancio 2024 che conteneva anche la riduzione dell’Irpef per i redditi più bassi. Premesso che provvedimenti economici e interventi sociali di questa dimensione hanno bisogno di tempi lunghi per produrre risultati chiari, si può dire, però, che il bilancio del primo anno di cambiamento è negativo se si considera la protezione delle fasce più povere, con un allargamento della forbice tra chi sta peggio, mentre per chi ha già un reddito si registra un miglioramento (limitato, comunque, a poche decine di euro su base annua) indotto dal taglio Irpef. L’Istat riferisce che nell’anno passato l’indice di Gini, che misura le differenze di distribuzione di ricchezza, è aumentato dal 30,25 al 30,40%. Il cambio di paradigma delle politiche per contrastare la povertà ha causato il peggioramento del reddito disponibile per poco meno di 1,2 milioni di famiglie. La perdita, quasi 2000 euro, è concentrata tra le famiglie del quinto più povero (94,6% della perdita totale) ed è riconducibile in larghissima misura al passaggio dal Reddito di cittadinanza all’Assegno di inclusione. Questa scelta, in particolare, ha causato il peggioramento dei redditi disponibili per circa 850mila famiglie (il 3,2% delle famiglie residenti). La perdita media annua è di circa 2600 euro e impatta quasi esclusivamente le famiglie che appartengono al gruppo delle famiglie già più povere. Giorgia Meloni è riuscita a far diventare più poveri chi già stava male. Un capolavoro.

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