Una vita spezzata sul cantiere della Tibre: l’ennesima vittima degli affari

di Cristina Quintavalla - voladora.noblogs.org - 09/08/2021
Se i carichi di lavoro sono diventati troppo faticosi, se sono aumentate le prestazioni pretese dai lavoratori occupati, che devono farsi carico del lavoro non più erogato da chi è stato licenziato, se le assunzioni sono precarie e ricattatorie, si rischia la vita in fabbrica e nel cantiere

Tutte le morti sul lavoro sono intollerabili. Rendono evidente quanto poco valga la vita umana dinanzi all’imperio del profitto. Quella di Salvatore Rabbito ancora di più. Perché la sua vita è stata spezzata lungo quel malefico tratto di autostrada che dovrebbe collegare il Tirreno al Brennero. Schiacciato tra una ruspa e una macchina asfaltatrice lungo la bretella autostradale più inutile del mondo, ma che è stata un affare d’oro per i costruttori.

Dei previsti 82,25 km di nuova autostrada che, staccandosi dalla A15 nei pressi di Fontevivo si dovrebbe innestare sulla A22 del Brennero all’altezza di Nogarole Rocca, ne sono stati realizzati all’incirca 12, in corrispondenza del primo tratto autostradale fino a Trecasali. Un gigantesco nastro di cemento che, dove è arrivato, ha distrutto impietosamente: aree naturali protette, risorgive, fontanili, golene fluviali, canali, prati stabili, siepi, filari alberati, campi coltivati di straordinaria fertilità.

Un vero e proprio eco-cidio per la gioia e il portafogli del Gruppo Gavio (quello del Tav Terzo Valico, per intenderci!), che controlla la Salt (Autocisa Spa) titolare della concessione, e dell’ubiqua Impresa Pizzarotti (quella del Ponte Nord, del tentato project financing su Ospedale Vecchio, della Complanare Nord e del mega-centro commerciale Parma Urban district, del rifacimento dello Stadio Tardini, per intenderci!). Il costo, solo per questa parte del primo lotto, ha superato i 500 milioni – una sciocchezzuola come 43 milioni a chilometri – troppo giusti per i ministri alle Infrastrutture che l’hanno sostenuto e per la giunta regionale Bonaccini, che l’ha inserita nel Prit e ne ha finanziato in parte la realizzazione.

La Tibre in una città come la nostra è innominabile. Se ne fai anche solo un accenno, sei oggetto di censura. È top secret sulla Gazzetta di Parma, se non per elogiarne i meriti. È materia infiammabile, d’altro canto: ogni seppur minimo controllo rischia di evidenziarne la natura speculativa, nonché l’assoluta dannosità, vacuità, inutilità. Nel corso degli anni, è stato fin troppo evidenziato, da parte di decine e decine di associazioni ambientaliste, dai sindaci dei comuni coinvolti nella sciagurata opera distruttiva, dal Coordinamento dei Comitati contro le autostrade, che questo lotto della Tibre è e resterà “un moncone di autostrada che finisce nel nulla della campagna agricola o nel migliore dei casi di fronte al fiume Po, in attesa di un’improbabile attuazione della parte lombarda” e di altrettanto improbabili finanziamenti per il secondo lotto (il governo Conte non l’ha nemmeno inserito nel Pnrr). È stato un bancomat vero e proprio, attraverso il quale, per l’opera di mediazione delle istituzioni pubbliche, il danaro pubblico è fluito nelle casse private.

Ora c’è di mezzo un lavoratore che ha perso la vita in uno dei cantieri della Tibre. Non possiamo limitarci alle condoglianze alla famiglia. È necessario sapere se si è trattato di un incidente, non ascrivibile alla responsabilità di nessuno, o se corrisponde a verità quanto dichiarato dai sindacati confederali e cioè che “da troppi anni sono mancati investimenti in sicurezza e formazione”. Dunque? Chi doveva fare le opportune verifiche? Dobbiamo pretendere risposte da parte di quelle forze che dovevano esercitare controlli pubblici.

Chiediamo pertanto a Dia, Questura di Parma, Carabinieri di Parma, Guardia di Finanza di Parma, Provveditorato interregionale alle opere pubbliche Lombardia- Emilia Romagna e all’Ispettorato territoriale del lavoro di Parma di rendere conto dei controlli effettuati. È stato rispettato il “Testo unico sulla sicurezza” da parte delle imprese? A quando risale l’ultima attività ispettiva, finalizzata a verificare sul campo i lavoratori e i mezzi d’opera presenti in cantiere? Da quali forze è stata posta in essere e con quali risultati? Esiste un protocollo di legalità, sottoscritto dagli imprenditori aggiornato e verificato? Esiste una piattaforma informatica che contenga tutti i dati sulle imprese, lavoratori e mezzi d’opera autorizzati ad operare nei cantieri? E intanto che ci siamo, potremmo sapere quanti sono gli Ispettori sul lavoro attualmente attivi sul territorio? E di quali poteri effettivi dispongono? Perché, come è facilmente comprensibile, se gli ispettori sono troppo pochi (o non ci sono proprio), non dispongono di poteri effettivi, se nemmeno riescono ad erogare qualche blanda multa, la morte di Luana, di Layla, di Salvatore, degli altri 185 dall’inizio di questo anno possono essere accidentali?

Ma non bastano i controlli, pur doverosi sui sistemi di sicurezza e formazione. Sotto accusa deve essere posta tutta l’odierna organizzazione del lavoro e i modi di ingaggio. Appalti, sub-appalti, lavoratori interinali, a chiamata, assunti attraverso agenzie di interposizione. Se i carichi di lavoro sono diventati troppo faticosi, se sono aumentate le prestazioni pretese dai lavoratori occupati, che devono farsi carico del lavoro non più erogato da chi è stato licenziato, se le assunzioni sono precarie e ricattatorie, si rischia la vita in fabbrica e nel cantiere.

Sono vite che per noi contano tantissimo!

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