Anche quest’anno abbiamo celebrato il 25 aprile, ricorrenza della insurrezione nazionale e della vittoria della Resistenza italiana contro il nazifascismo, ma non è stata una festa che ha unito tutti gli italiani sotto il segno della liberazione. Al di fuori di ogni retorica celebrativa, gli echi sordi della guerra che sconvolge l’Europa orientale hanno oscurato il cielo del 25 aprile e hanno pesato nelle cerimonie e nelle manifestazioni, percorse da sentimenti contrastanti. E’ stata una grande occasione collettiva non solo per fare memoria ma anche per interrogare quella memoria, renderla attuale, leggerla alla luce dei drammi che angosciano il nostro tempo per cercare delle risposte. La lettura più diffusa è quella che propone una equiparazione fra la Resistenza italiana al nazifascismo e la resistenza delle forze armate ucraine all’aggressione della Russia. La lezione che se ne trae da questa lettura è che bisogna sostenere la resistenza dell’Ucraina, rifornendola di armi sempre più sofisticate, per consentirle di respingere l’invasione e sconfiggere l’aggressore, per far trionfare la giustizia, anche a costo di una guerra prolungata e di sofferenze inenarrabili per la popolazione civile. Anche a costo di provocare la terza guerra mondiale: insomma: fiat justitia et pereat mundus! Tuttavia, senza nulla togliere alla legittimità e al valore della resistenza militare degli ucraini contro le forze armate nemiche che hanno invaso il loro paese portandovi distruzione e morte, l’equiparazione è un nonsenso perché la Resistenza italiana ed europea al nazifascismo, non è stato un fatto solo militare, bensì si è trattato di un’opposizione armata all’orrore di un mondo hitleriano, a cui è stato contrapposto l’annuncio di un mondo nuovo.
Thomas Mann, nell’introduzione alle lettere dei condannati a morte della resistenza europea, mette in evidenza che il significato di questo sacrificio non è semplicemente la resistenza, ma l’annunzio di una nuova società più umana, cioè di un tempo e di una storia nuova in cui l’umanità fosse liberata, per sempre, dalla minaccia delle guerre, delle violenze, delle discriminazioni, del disprezzo dei diritti universali dell’uomo e dei popoli. Nell’essenziale, due sono gli obiettivi espliciti della Resistenza, costruire la pace, attraverso il ripudio dei nazionalismi e della logica di potenza e salvaguardare la dignità della persona umana. “La Resistenza – osserva Umberto Baldocchi (Pacifismo, lotta per la pace ed etica della resistenza) – non è semplicemente la lotta per distruggere un nemico. Essa nasce non dall’odio fanatico, non dal nazionalismo scatenato, non da una volontà di vendetta, né da un bisogno di autodifesa, ma semplicemente dal senso del dovere morale, da un profondo amore per la giustizia.” Sullo sfondo della Resistenza vi era la costruzione di un nuovo ordine mondiale fondato sulla pace, sulla collaborazione e sull’eguaglianza dei popoli.
Quale mondo nuovo intravediamo dietro la pur legittima e doverosa resistenza militare dell’Ucraina all’aggressione della Russia?
Forse l’esigenza manifestata da Biden di trasformare la Russia in uno Stato paria nella comunità internazionale? Quale pace ci attende dopo che la guerra avrà manifestato tutto il suo enorme potenziale di distruzione, lasciando dietro di sé cumuli di cadaveri e di macerie? In realtà è proprio durante la guerra che è più forte l’esigenza di pensare la pace, di delineare un progetto che consenta di superare le cause che hanno provocato la guerra per ristabilire la convivenza pacifica fra le nazioni. Come fecero quei visionari che nel 1941 misero mano al Manifesto di Ventotene.
Come ci ha ricordato Pasqualina Napoletano (CRS:Pensare la pace sotto le bombe): “quel gruppo di visionari, riuscì a concepire un progetto capace di andare oltre l’odio, con l’intento di riappacificare popoli e nazioni, responsabili di due Guerre Mondiali. Un progetto coraggioso, che non si fondasse sull’umiliazione e sulla vendetta ma sulla integrazione economica e politica: gli Stati Uniti d’Europa”. Quale progetto per la riappacificazione e la convivenza pacifica, o quanto meno per la sicurezza collettiva in Europa abbiamo articolato? Quale progetto abbiamo per prosciugare l’odio fomentato dai nazionalismi, l’un contro l’altro armati? Se si oscurano le cause che hanno portato alla scoppio del conflitto, ivi compreso il fatto che per oltre 20 anni gli USA hanno praticato una nuova guerra fredda per umiliare ed isolare la Russia, come si fa a rimediare agli errori commessi per impostare un nuovo criterio di convivenza pacifica?
Se vogliamo costruire un orizzonte di pacifica convivenza in Europa, la soluzione non è quella di alimentare il conflitto per sconfiggere e punire la Russia sacrificando gli Ucraini in una guerra per procura.
Il vero dilemma non è inviare o non inviare le armi, ma come vogliamo uscire da questa guerra e con quali prospettive, tenendo presente che ogni giorno di guerra in più crea dei danni irreversibili e incrementa i giacimenti di odio fra i due popoli coinvolti, che sarà sempre più difficile prosciugare.
Dalla riunione di Ramstein dove gli USA hanno riunito 40 paesi stringendo una sorta di santa alleanza contro la Russia, giunge un assordante rullio di tamburi di guerra. Ancora una volta la violenza è stata elevata a giudice supremo dei conflitti fra gli Stati. Da questo giudizio usciremo sconfitti tutti e sarebbero sconfitte la fede e le speranze, della gioventù europea che hanno animato la Resistenza. Dobbiamo chiederci, con Thomas Mann: “tutto ciò sarebbe stato invano? Inutile, sciupato il loro sogno e la loro morte?”