L’incubo di una nuova guerra in Europa si è materializzato nella notte fra il 23 e 24 febbraio. Gli spettri che si agitavano sull’Europa orientale hanno scoperchiato per l’ennesima volta quell’abisso che era stato chiuso dopo la seconda guerra mondiale con la promessa che le nazioni vincitrici avevano fatto all’umanità intera, attraverso la Carta dell’ONU, di risparmiare le future generazioni dal flagello della guerra. Adesso le forze infernali, sbarrate dal ripudio della guerra, sono ritornate in campo e stanno realizzando la loro mietitura di distruzione e morte. Noi siamo convinti che la guerra sia un male in sé stessa e che nessuna ragione politica può rendere questo male conveniente o giustificabile. Tanto più nel teatro dell’Ucraina dove l’esasperazione e la strumentalizzazione politica di opposti nazionalismi ha provocato già un conflitto doloroso che si è trascinato per otto anni senza soluzione. Ogni giorno, ogni ora di guerra comportano sofferenze indicibili e rendono sempre più difficile la convivenza futura fra le popolazioni coinvolte nel conflitto. Per questo da ogni angolo d’Europa, da ogni quartiere, da ogni città, si deve levare concorde una sola voce: cessate il fuoco!
Mentre l’incarnazione dell’incubo della guerra ci scuote dall’indifferenza con cui abbiamo assistito al deteriorarsi delle relazioni internazionali, dobbiamo guardare con lucidità agli eventi per non diventare, a nostra volta, agenti o vittime dell’isteria di guerra.
Deve essere ben chiaro che l’intervento militare della Russia contro l’Ucraina, non costituisce un’azione legittima di difesa delle due Repubbliche del Donbass, ai sensi dell’art. 51 della Carta dell’ONU, come preteso da Putin, ma costituisce una violazione del divieto dell’uso della forza contro l’integrità territoriale e l’indipendenza politica di qualsiasi Stato, interdetta dall’art. 2, comma 4, della Carta dell’ONU. Quali che siano le controversie fra gli Stati e quali che siano le ragioni dell’uno o dell’altro, queste non possono essere risolte affidandosi al giudizio delle armi. L’azione della Russia costituisce un’ingiustificabile violazione del diritto internazionale, simile all’aggressione perpetrata dagli Stati Uniti contro l’Irak il 20 marzo 2003, diretta ad abbattere il regime politico di quel paese e sostituirlo con un altro governo. Non possiamo ignorare che differenti erano le motivazioni che hanno dato origine ai due eventi bellici. Nel primo caso gli USA sono stati spinti ad aggredire uno Stato distante diecimila chilometri dai suoi confini col pretesto – palesemente falso – della presenza di armi di distruzione di massa; nel secondo caso la Russia ha agito con il pretesto di tutelare la sua sicurezza nei confronti dell’Ucraina, paese confinante che ambiva ad assicurarsi la protezione delle armi di distruzione di massa della NATO.
Però dobbiamo interrogarci come è stato possibile che il clima di distensione, di smilitarizzazione e di pacificazione in Europa, introdotto da Gorbaciov con l’abbattimento del muro di Berlino, il ritiro delle truppe dell’Unione sovietica dall’Europa orientale e lo scioglimento del patto di Varsavia, sia stato rovesciato nel suo contrario, con l’identificazione della Russia come nuovo nemico da sostituire alla dissolta Unione Sovietica. La fine della guerra fredda è stata interpretata come una vittoria che avrebbe consentito ai vincitori di umiliare perennemente i vinti, come fecero insensatamente le Potenze dell’Intesa nei confronti della Germania uscita sconfitta dalla prima guerra mondiale. Gli Stati Uniti hanno coinvolto l’Europa attraverso la camicia di forza della NATO, in una insensata politica di scontro con la Russia, che ha sostituito la cooperazione all’emarginazione, il dialogo all’intimidazione, col risultato di provocare una pericolosa rinascita dell’orgoglio nazionale russo. Se il Vangelo qualifica come beati i costruttori di pace, noi siamo dannati per aver lasciato liberi i costruttori di guerra di capovolgere l’orizzonte di pace balenato nell’indimenticabile 89. A questo ci ha portato la pretesa di trasformare l’Ucraina nella lancia della NATO nel costato della Russia. Lo scoppio del conflitto segna in modo drammatico il fallimento della NATO come sistema che dovrebbe garantire la sicurezza in Europa. Mettere il coltello alla gola di una grande potenza non è il modo migliore per assicurarsi la convivenza pacifica.
A questo punto non basta gridare pace, pace perché le armi si fermino, inoltre la minaccia di sanzioni particolarmente umilianti rischia di gettare benzina sul fuoco, se non si affrontano i nodi politici reali.
Ha scritto Andrea Tornielli sull’Osservatore romano: “La responsabilità della guerra è sempre di chi la fa invadendo un altro Paese. C’è però da domandarsi: qual è la strada per trovare una soluzione pacifica? Va ricercata dentro gli schemi bellici delle alleanze militari che si espandono e si restringono o piuttosto in qualcosa di nuovo in grado di farsi anche carico degli errori del passato (che non stanno da una parte sola) restituendo una prospettiva realistica alla speranza di una diversa convivenza fra i popoli?”
Le classi politiche europee intraprendano una seria azione per la pace, rovesciando gli schemi bellici in cui siamo rimasti intrappolati. Questa è l’unica prospettiva realistica che noi invochiamo con voce alta per superare il fragore delle armi.