Gli occhi spalancati dell’Angelus Novus, che Benjamin identifica con l’angelo della storia che nel passato «vede una sola catastrofe, che accumula senza tregua rovine su rovine», sembrano oggi rivolti anche al futuro: guerre (al plurale), diseguaglianze, rischi nucleari, catastrofe ambientale, muri.
La guerra in Ucraina ha inasprito il linguaggio e la logica bellica che si erano affacciati con la pandemia, la divisione amico/nemico, con il suo pensiero unico, che espelle chi dissente, tacciandolo di tradimento e disfattismo, militarizzando il discorso pubblico. A farne le spese è la democrazia come pluralismo, luogo di discussione critica, spazio di dissenso e di immaginazione. Stiamo assistendo ad una normalizzazione della guerra, con il suo correlato di eroismo e fierezza, dietro cui si celano la violenza, la distruzione e la morte.
Il clima di mobilitazione crea una situazione di emergenza che occulta il conflitto sociale e distrae l’attenzione dalla catastrofe ambientale.
Sia chiaro: l’aggressione di Putin all’Ucraina è un atto illegittimo, che non perde nulla della sua gravità, dei suoi orrori, se pure si legge nel contesto geopolitico (in specie l’espansione a Est della Nato) e se non si dimenticano l’Iraq, la Libia, l’Afghanistan… Una violenza non ne giustifica un’altra. Contestualizzare nel tempo e nello spazio tuttavia aiuta a smontare la strumentalità di un’indignazione a senso unico e dovrebbe contribuire a distinguere il ruolo degli Stati o, meglio ancora, dei governi, da quello dei popoli. La ferma condanna del governo russo va disgiunta dalla criminalizzazione del popolo russo e della sua cultura.
Il diritto internazionale condanna gli atti di aggressione e il «flagello della guerra» e tutela i diritti delle persone, tutte le persone. Ma veniamo a noi, al nostro diritto. La Costituzione «ripudia» la guerra (il termine ripudia fu scelto dai costituenti rispetto a “condanna” e “rinunzia” perché più “energico”). L’invio di armi (decreto legge n. 16 del 28 febbraio 2022) si pone senza soluzione di continuità nella retorica della guerra giusta, nella prospettiva dell’“intervento umanitario”, che, dal Kosovo, ha violato l’art. 11 e stracciato il diritto internazionale.
L’invio di armi è una forma di partecipazione alla guerra e la esacerba: è contro il ripudio della guerra ed è contro l’idea di una comunità internazionale fondata sulla pace e sulla giustizia fra le Nazioni: la pace impegna lo Stato italiano a perseguire ogni sforzo diplomatico per un cessate il fuoco. Ora l’aggressore è il governo russo, ma la soluzione non è la partecipazione alle iniziative della Nato (cfr. decreto legge n. 14 del 25 febbraio 2022), una organizzazione che nel corso degli anni ha con arroganza travalicato il confine di alleanza difensiva, ponendosi oltre, e contro, l’articolo 11.
La guerra in Ucraina ha portato in Occidente (di nuovo, dopo il conflitto nella ex-Jugoslavia) il conflitto armato, esito estremo della competitività fra imperialismi economici e politici e terreno di profitti per la potente lobby del commercio e dell’industria bellica. Insieme al diritto internazionale, le pretese unilaterali di instaurare il proprio ordine “democratico” e un multipolarismo oligarchico, che tende alla concentrazione, hanno relegato ad un ruolo puramente discorsivo l’Onu, già strutturalmente debole e sbilanciata, in primis nella composizione del Consiglio di Sicurezza, ed essa assiste impotente.
Nell’orizzonte dell’art. 11, agire per la pace, come cittadini far sentire la forza del movimento pacifista e, nella consapevolezza dell’interdipendenza fra pace e giustizia (sociale e ambientale), connetterla alle lotte del lavoro e per l’ambiente, seguendo il modello della dichiarazione congiunta del Collettivo di fabbrica della Gkn e di Fridays For Future Italia.
Sempre nella prospettiva del principio internazionalista della Costituzione, richiedere che sia effettivo per tutti il diritto di asilo (art. 10, c. 3): l’accoglienza di chi fugge dall’Ucraina, doverosa, non può che ricordarci che il diritto di asilo è riconosciuto «a chiunque», e nel territorio della Repubblica, con conseguente illegittimità delle politiche di esternalizzazione delle frontiere.
Allo stato di natura globale hobbesiano, con le sue guerre endemiche e le sue diseguaglianze strutturali, occorre sostituire una comunità internazionale riformata, che arresti la corsa verso il baratro: un obiettivo impossibile? Per una volta, è vero che non abbiamo alternativa: dobbiamo costruire un movimento consapevole che la guerra si ripudia con il disarmo, con la sostituzione della solidarietà e dell’eguaglianza alla competitività e alla disuguaglianza, che pace, diritti, giustizia sociale e ambientale sono inscindibili.