Dall’inizio della guerra con la Russia l’esercito ucraino ha sparato una media di 9.000 proiettili di cannone al giorno – quasi mezzo milione finora, tanto da aver esaurito le scorte degli Stati Uniti e di molti altri membri della Nato. Dove? Tutti concentrati su quattro regioni, quelle che rivendica e vuole riconquistare.
Vediamo alla Tv e leggiamo sui giornali le distruzioni inflitte dalle armi russe – razzi, bombe e cannonate – sugli edifici di tutto il resto dell’Ucraina, anche se per lo più concentrate sulla zona del fronte. Non vediamo però le distruzioni che le cannonate ucraine hanno inflitto e infliggono a quella che gli ucraini considerano parte del loro Paese, della loro patria. Andranno tutte a segno? Non semineranno morte e distruzione anche tra la popolazione civile – quella rimasta – e le loro case? Quando non colpiscono obiettivi militari o edifici, quelle bombe finiscono nei campi: li inquinano, li cospargono di frammenti metallici, ne rendono difficile se non impossibile la coltivazione per anni.
Ora si comincia anche con le bombe a grappolo fornite dagli Usa – perché, ha detto Biden, le bombe convenzionali sono finite – che diffondono frammenti inesplosi che renderanno quei terreni infrequentabili per anni. Sono armi proibite da una convenzione internazionale che però Usa, Russia e Ucraina – tra altri – non hanno firmato. Se le tengono, le producono, e non hanno firmato perché intendevano usarle e prima o poi lo avrebbero fatto. Secondo il governo degli Stati Uniti l’esercito russo lo ha già fatto (è del tutto probabile) sul resto del territorio ucraino di cui non si è appropriato e secondo il governo russo lo ha già fatto anche l’esercito ucraino su quello che vorrebbe riconquistare. Ma lo stesso discorso vale per le armi nucleari: se non si sottoscrive il trattato dell’ONU che le mette al bando è perché prima o poi si intende usarle. E le si useranno.
Poi ci sono le mine. Secondo il governo ucraino l’esercito russo ne ha già posizionate almeno un milione, di tipo e dimensioni diverse. E tutte, ovviamente, a ridosso del fronte, entro i confini di quel territorio conteso. Dove non si sa. Forse non lo sa bene nemmeno l’esercito russo che le ha collocate. Sicuramente non lo sa l’esercito ucraino, che dovrà scoprirle e neutralizzarle a sue spese (in vite umane) se e quando riconquisterà quei territori: un altro ostacolo micidiale alla loro vivibilità, chiunque li governi. Ma molte di quelle mine sono state smosse e trascinate chissà dove, insieme a migliaia di tonnellate di inquinanti, di detriti, di animali annegati, dalla distruzione della diga di Kakhovka (da parte di chi? Entrambe le parti avrebbero avuto dei motivi per farlo). D’altronde hanno cercato di farci credere per un anno che a distruggere il gasdotto Northstream fosse stata la Russia…E un’altra diga, per fermare l’invasione, era già stata fatta saltare un anno prima dagli ucraini, che lo avevano rivendicato con orgoglio. Chi potrà mai abitare e coltivare quelle terre, tra le più fertili e con un sottosuolo tra i più ricchi del pianeta?
Per appropriarsi o riappropriarsi di un territorio che la guerra sta rendendo inabitabile sono stati, e vengono mandati, al macello, centinaia di migliaia di uomini da entrambe le parti. Gli uni – si dice – consenzienti, ma certo non tutti. Gli altri quasi tutti costretti. Non ci sono solo i morti; migliaia sono gli invalidi permanenti e ancora di più i combattenti che la guerra ha stravolto tanto da non essere più recuperabili alla vita civile. Poi ci sono altri milioni di ucraini e ucraine fuggiti in Europa (per lo più ben accolti, tanto che molti cercheranno di restarvi, come peraltro aveva già fatto un milione e più di loro anche prima che scoppiasse la guerra). Il Paese uscirà da questa guerra, se mai ne uscirà, devastato, privo di una parte vitale ed essenziale della sua popolazione, con centinaia di migliaia di invalidi fisici e psichici a cui provvedere, senza che essi possano provvedere a se stessi o alle loro famiglie. Ma come sempre, dopo essere stati acclamati come eroi, verranno dimenticati, trascurati e trattati sempre più come un inutile peso.
Poi occorre mettere in conto di questa guerra – forse Greta Thunberg, andando a trovare Zelensky, non lo ha fatto – il danno inflitto alla lotta per il clima e l’ambiente anche nel resto del pianeta. Le emissioni climalteranti si avvicinano a quelle dell’Italia in un anno. Poi, per supplire al blocco di quelli russi, via libera all’estrazione e alla lavorazione di idrocarburi ovunque possibile, in barba agli impegni presi; spinta alla fabbricazione di sempre più armi che non aspettano altro che di essere usate; militarismo dispiegato e soprattutto diffusione ovunque di uno spirito bellicista secondo il quale i problemi non si possono risolvere che con la guerra…
Ne valeva la pena? Era proprio certo che la Russia – Putin – avrebbe cercato di impossessarsi dell’Ucraina se il suo governo non si fosse promesso alla Nato dopo la rivolta di Maidan? Se da quella rivolta non fosse sorta una guerra feroce contro le aspirazioni autonomistiche delle regioni russofone dell’est del paese, imposta anche a Zelensky che aveva vinto le elezioni con tutt’altro programma? Se la finta tregua di Minsk non fosse stata sottoscritta, come ha riconosciuto la stessa Angela Merkel, solo per prendere tempo, per armare fino ai denti l’Ucraina, il suo esercito e le sue milizie naziste, per prepararle a una guerra che non si è fatto niente per sventare?
Rileggo i libri sulla guerra di di Svetlana Aleksievic, in cui dà voce a chi le guerre le ha fatte e subite e mi chiedo se i fautori dell’armamento ad oltranza dell’Ucraina sono consapevoli dell’orrore, del dolore e dello strazio irreparabili che una guerra del genere infligge a milioni di esseri umani (esseri umani che vivono in Europa come noi; perché di quelli di continenti lontani siamo tutti sicuramente e serenamente inconsapevoli).
Che cosa ha trasformato tanti di noi in strateghi che non riescono più a trovare, e nemmeno a cercare, una soluzione di questo strazio, se non in una “vittoria” che appare sempre più irrealistica sul piano militare, ma soprattutto inconsistente su quello civile? Perché a quei territori distrutti e a quelle esistenze spente nessuno restituirà più la vita.
E di fronte a questa non-prospettiva, che cosa ci impedisce di considerare quella guerra un conflitto scatenato e condotto a spese di popolazioni ignare del “grande gioco” che si svolge sulle loro teste, ma promosso da un’idolatria dei “confini” (in gran parte disegnati “a tavolino”) che oggi viene richiamata a giustificazione delle peggiori efferatezze, ma che è anche la premessa di ogni guerra?
(Foto di Andrea Mancuso)