L’avvocato Ugo Giannangeli, esperto di diritto internazionale e impegnato da sempre nella solidarietà, spiega nell’intervista rilasciata a Patrizia Cecconi perché il comportamento di Israele viene considerato diversamente da tutti gli altri .
È il pomeriggio del 23 agosto quando il telegiornale informa che l’onorevole Tajani, commentando le parole dell’on. Salvini in merito alle sanzioni alla Russia, dichiara che di fronte alla violazione della legalità internazionale le sanzioni vanno assolutamente applicate.
Impossibile non ricordare quante volte è stato chiesto al Parlamento europeo, di cui l’on. Tajani era vicepresidente nel 2014, di imporre sanzioni allo Stato ebraico che quell’anno, in soli 49 giorni, nella Striscia di Gaza fece strage di migliaia di civili tra cui circa 500 bambini. Successivamente l’on. Tajani da Vicepresidente sarebbe divenuto Presidente del Parlamento europeo, ma alle richieste di sanzioni per portare Israele nell’alveo della legalità internazionale non diede mai risposta.
Improvvisamente l’on. Tajani sembra divenuto sensibile alla violazione del diritto internazionale e per questo abbiamo deciso di intervistare un giurista che da molti anni studia la questione palestinese e, di conseguenza, le mai sanzionate violazioni israeliane, l’avvocato Ugo Giannangeli.[i]
So che anche tu, come una nutrita minoranza di cittadini italiani, provi indignazione politica e umana di fronte al doppio standard che ora più che mai risulta evidente circa il trattamento di favore riservato a Israele rispetto ad altri paesi. Puoi dirci il tuo pensiero in proposito?
Prendo spunto da una recente sentenza della Corte Suprema di Israele del 5 luglio scorso; è opportuna, però, una premessa. Giustamente, a proposito del conflitto in corso in Ucraina, è unanime la condanna per l’alto numero di vittime civili, soprattutto se bambini. Il diritto internazionale ed in particolare la IV Convenzione di Ginevra tutelano i civili che non dovrebbero essere mai coinvolti nei conflitti, men che meno esserne vittime. Laddove accade, quantomeno dovrebbero essere accertate eventuali responsabilità e garantito un risarcimento del danno. In Ucraina si sono già svolti processi avanti a tribunali ordinari ed è operativa una squadra investigativa della Corte penale internazionale.
Consentimi un’interruzione. Hai detto una squadra investigativa della CPI? Ma normalmente passano anni prima che la CPI si muova o sbaglio?
Non sbagli. Infatti è del tutto inusuale la solerzia con cui la CPI si è mossa, senza neppure attendere l’esaurimento dell’iter giudiziario nazionale. È particolarmente stupefacente tanta solerzia visto che in Israele mai è intervenuta condanna di soldati o coloni per le uccisioni di palestinesi o di attivisti internazionali.
Come spieghi questa notevole disparità?
La CPI, rispetto a Israele, è minacciata e ostacolata nella sua attività di indagine. Tutto qui.
Stavi parlando della sentenza del 5 luglio, vuoi spiegarci di cosa si tratta?
Certo, la sentenza del 5 luglio scorso della Corte Suprema israeliana conferma quanto già stabilito in primo grado dal tribunale di Beer Sheba nel 2018 e cioè che la vittima, se residente nella Striscia di Gaza, non ha diritto al risarcimento. Il caso è emblematico perché riguarda un ragazzo di 15 anni, Attiya Nabaheen, diventato tetraplegico perché colpito da proiettili israeliani mentre era nel terreno prospiciente la sua casa vicino ad Al-Bureji. Il fatto risale al 2014 durante l’eccidio denominato “Margine protettivo”. Otto anni dopo la giustizia israeliana sancisce che il ragazzo e la sua famiglia non hanno diritto ad alcun risarcimento perché… residenti a Gaza.
Cioè, vuoi dire che se la vittima risiede nella Striscia sott’assedio non è considerata vittima? E in base a cosa è possibile quest’ennesimo arbitrio?
Il supporto legale è fornito da una legge del 1952, reintrodotta nel 2012, sulla responsabilità dello Stato (legge sui torti civili) che prescrive che i residenti in un territorio dichiarato dal governo israeliano “territorio nemico” non hanno diritto a risarcimenti. Gaza è stata dichiarata “territorio nemico” nel 2007 dopo il ritiro dei coloni nel 2005 e l’affermazione elettorale del partito di Hamas nel 2006. In altre parole, i gazawi sono in ogni caso responsabili di quanto gli accade per il solo fatto di vivere lì.
Sembra quasi un esempio inventato per spiegare la differenza tra legittimo e legale! E comunque una legalità interna che credo vada contro la legalità internazionale. È così?
La legge rappresenta un unicum nel panorama internazionale perché lega conseguenze negative non alla condotta della persona ma al dato neutro della residenza. La qualifica di “nemico”, e come tale potenziale legittimo obiettivo, discende dal risiedere in territorio nemico. Ecco perché per nessun gazawo, neppure per le decine di bambine e bambini uccisi nei giorni scorsi, si avrà mai un risarcimento. Un passaggio della sentenza è particolarmente interessante nella sua franchezza e spregiudicatezza. Sostiene la Corte che la legge non è contraria al diritto internazionale ma se anche lo fosse la Knesset, cioè il Parlamento israeliano, ha il potere di annullare il diritto internazionale. Ed ancora: la ratio della norma risiede nella deliberata volontà di danneggiare il nemico che non deve trarre alcun profitto dalla condotta (anche se criminale, ndr) dello Stato di Israele. La Knesset, quindi, organo politico per eccellenza, persegue una esplicita finalità politica e legifera in modo da ottenere il risultato voluto anche in spregio delle più elementari regole di diritto internazionale.
È facile prevedere che l’on. Tajani non sia in grado di cogliere l’assurdità di questa “legalità” interna di uno Stato che in altro periodo storico si sarebbe definito uber alles! E del quindicenne rimasto tetraplegico in seguito ai colpi israeliani cosa ne sarà?
Il povero Attiya è dal 2014 su una sedia a rotelle, colpevole solo di risiedere a casa sua nella Striscia di Gaza. I media non hanno mai parlato di lui così come poco o nulla hanno detto delle decine di bambini uccisi nei giorni scorsi. Qualcuno ha riportato approssimativamente il numero, accreditando la versione israeliana per cui sarebbero rimasti vittime dei razzi palestinesi. L’asservimento della quasi totalità degli organi di informazione alla propaganda sionista ha raggiunto anche in questa occasione livelli inimmaginabili. Così Israele è libero di bombardare Gaza perché unilateralmente dichiarato “territorio nemico”, è libero di affermare con legge che garantisce il diritto all’autodeterminazione solo alla popolazione di religione ebraica, è libero di affermare che il diritto internazionale non lo riguarda. Eppure, anche se tutto questo va contro i principi che definiscono un contesto democratico, è costante il ritornello per cui Israele “è l’unica democrazia del medio oriente”, come se le continue violazioni del diritto internazionale e i crimini verso i palestinesi non potessero neanche scalfire la sua democrazia pena l’accusa di antisemitismo per chi osi metterla in discussione.
Il ricorso all’accusa di antisemitismo, secondo alcuni, trova origine nelle colpe dell’Europa durante la seconda guerra mondiale. Questo senso di colpa ti sembra sia una reale giustificazione della tolleranza verso Israele al punto di applicare un doppio standard rispetto ad altri paesi?
Credo che la tolleranza verso Israele non derivi da questo, sebbene questo sia un argomento sempre presente, tanto che a Gaza nei giorni scorsi, sotto le bombe, qualcuno ha affisso un manifesto rivolto agli europei con la scritta: “Sino a quando dovremo pagare le vostre colpe?” Legittima la domanda, difficile la risposta.