Israele, l’Unifil e la doppia morale delle democrazie occidentali

di Maurizio Anelli - ilmegafono.org - 19/10/2024
L’asticella della storia si alza, il tempo concesso sta per scadere e la disumanizzazione è diventata un virus che permette di scegliere per quale vittima indignarsi, spendere una parola, una lacrima di rabbia. Un virus che permette agli Stati di ignorare e cancellare il diritto internazionale piuttosto che farlo rispettare.

’Quando l’asticella della Storia si alza un giorno alla volta, sempre di più, significa che gli uomini hanno esaurito il tempo che la Storia ha concesso. Si dice che la Storia la scrivono gli uomini, ma quali uomini? Si dice anche che gli uomini nascono tutti uguali, con gli stessi diritti, ma non è vero: qualcuno nasce privilegiato rispetto ad altri che cominciano la loro lotta per sopravvivere già al primo vagito e dovranno farlo per tutta la vita, costretti da altri uomini. La storia la scrivono i potenti e gli Stati, in un’alleanza invincibile in termini di potere militare, politico, economico. Agli altri resta una sola possibilità: restare umani e rovesciare la storiariscriverla. Qualche volta ci riescono, pagando un prezzo spaventoso e portando per sempre dentro di sé quelle cicatrici che possono solo essere curate in superficie, ma non potranno mai guarire. Ogni cicatrice è memoria di una ferita, di un tempo rubato che nessuno può restituire.

C’è un anno che sanguina sulle spalle del popolo palestinese, che il mondo finge di non vedere da decenni, un popolo a cui da sempre è negata una vita da vivere e a cui è negato anche un ritorno, perché molti fingono di non sapere che quel popolo è profugo dal 1948. Oggi la storia diventa crudele, perché la ferita al popolo palestinese viene inferta con gelida precisione da chi ha già conosciuto in prima persona il tempo del dolore e il peso della persecuzione. Pensare che tutto sia cominciato il 7 ottobre 2023 è un insulto alla Storia e alla memoria. Quel giorno è stato compiuto un orrore, e il mondo intero lo ha denunciato e condannato come tale. Ma è lo stesso mondo che, nel silenzio più vergognoso e vile, ha assistito a settantasette anni di colonialismo e di pulizia etnica, di occupazione militare e di apartheid, di diritti negati.

Quel 7 ottobre, inoltre, è diventato oggi il “passe-partout” con cui lo Stato di Israele si permette di aprire tutte le porte che ritiene suo diritto aprire e, al tempo stesso, di chiudere tutte le altre. In nome di quali principi? Il diritto all’autodifesa? Il diritto di esistere? Il diritto di combattere l’antisemitismo? Ognuno di questi “principi” crolla, miseramente, non solo di fronte al genocidio degli ultimi 365 giorni ma anche davanti a quei settantasette anni che lo Stato di Israele e la Comunità internazionale dimenticano e per i quali si autoassolvono. Adesso l’asticella si è alzata e pone lo Stato ebraico e quella stessa Comunità davanti allo specchio. E gli specchi non mentono mai, riflettono esattamente la realtà.

Cosa sono diventate dunque la Comunità internazionale, le grandi “democrazie” dell’Occidente, le Nazioni Unite? Per un anno, da quel maledetto 7 ottobre, è stata concessa carta bianca al governo di Tel Aviv, sprecando il tempo su equilibrismi politici, di sintassi e di grammatica: la parola genocidio è ingiustificata, la pulizia etnica non esiste, bisogna impedire che l’antisemitismo travolga le piazze…Intanto Gaza bruciava, insieme alle scuole, agli ospedali, ai campi profughi bombardati ogni giorno e, sempre, si è accettata la tesi di Israele che sosteneva che lì, proprio lì, erano nascosti i leader e i terroristi di Hamas. I camion di viveri e medicinali marcivano in coda sotto il sole al valico di Rafah, o venivano assaltati al valico di Tarqumiyah, per impedire che potessero arrivare nella Striscia di Gaza. Un atto costante di violenza contro un popolo intero.

Eppure, nonostante questo, il 13 maggio del 2024, il governo USA ancora negava il “genocidio” nella Striscia di Gaza: “Crediamo che Israele possa e debba fare di più per garantire la protezione e il benessere dei civili innocenti, ma non crediamo che quello che sta accadendo a Gaza sia un genocidio”. Queste erano le dichiarazioni del Consigliere per la sicurezza nazionale della Casa Bianca, Jake Sullivan. Tutte le diplomazie, per un anno, hanno fatto a gara nel sostenere che stavano lavorando per evitare l’escalation. Lo facevano anche quando bloccavano, con il voto contrario alle Nazioni Unite, ogni proposta di sanzioni politiche ed economiche nei confronti di Israele? Lo facevano anche quando non hanno mai smesso di inviare armi al governo di Benjamin Netanyahu?

Intanto, mentre alla stampa internazionale veniva e viene tuttora negato l’accesso a Gaza, l’informazione mainstream occidentale demonizzava ogni manifestazione di protesta: in Italia, in Europa e negli USA, le occupazioni universitarie e le piazze sono state accusate di fomentare l’antisemitismo e inneggiare al terrorismo. Accusare di antisemitismo chi protesta contro il genocidio è più facile che denunciare il genocidio stesso. ll 26 settembre, al Palazzo di Vetro di New York, Netanyahu definiva l’assemblea dell’Onu come “una palude antisemita per il sostegno dato a terroristi, stupratori e assassini di Hamas, Hezbollah, Houti ed Iran”; il 2 ottobre, per bocca del suo ministro degli Esteri, Israel Katz, lo Stato di Israele dichiarava “persona non gradita” il segretario generale António Guterres.

Poi, un giorno, qualcosa è cambiato. Dopo aver cancellato Gaza, dopo la Cisgiordania e dopo Rafah, Netanyahu punta i suoi cannoni sul Libano. Dalle esplosioni dei cercapersone che provocano decine di vittime ai bombardamenti veri e propri passano solo pochi giorni. Nello scacchiere del Medio Oriente colpire il Libano significa colpire l’Iran, e il balbettante silenzio internazionale è continuato. È solo l’attacco dell’esercito israeliano contro la base Unifil di Naqoura, nel Libano meridionale, ad aprire uno scenario diverso. Unifil è la missione di pace che opera lungo la cosiddetta “Blue Line”, la linea di demarcazione stabilita nel 2000 dall’Onu per assicurare il ritiro delle truppe di Israele dal Libano. È l’11 ottobre, e nelle stanze di quell’Occidente accomodante e passivo compare un’ improvvisa ondata di sdegno, mai palesata prima: si parla di “crimini di guerra”, si denuncia la violazione del “diritto internazionale”.

Parigi “attende spiegazioni” da Israele; il ministro degli Esteri spagnolo, Josè Manuel Albares, si appella al “dovere” di Israele di proteggere le forze di pace delle Nazioni Unite, mentre gli USA invitano Israele a non “intensificare la sofferenza”. Escono allo scoperto le ambiguità e l’ipocrisia, la doppia morale della comunità internazionale capace di scegliere per quale “umanità” indignarsi. L’attacco ai “caschi blu” è sicuramente una vergogna in più per lo Stato di Israele, ma questo sussulto di indignazione delle diplomazie occidentali dove si era nascosto in questi 365 giorni? Davvero si può distinguere fra i “crimini di guerra”? Nel silenzio assordante in cui Gaza moriva un giorno alla volta, nell’indifferenza per quell’umanità, ignorata e rinchiusa nei campi profughi di Jenin e di ogni angolo della Cisgiordania, dove erano l’Europa e l’Occidente? Perché tanto rumoroso silenzio?

Di questa Comunità internazionale fa parte, naturalmente, anche l’Italia. Nella conferenza stampa a Palazzo Chigi, successiva all’attacco ad Unifil e alla sollecitazione del governo di Israele di “spostare la stessa Unifil di 5 chilometri a nord per evitare pericoli mentre i combattimenti si intensificano”, il ministro della Difesa, Guido Crosetto, ha gonfiato il petto e affermato con solennità che “gli atti ostili compiuti e reiterati dalle forze israeliane potrebbero costituire crimini di guerra, si tratta di gravissime violazioni alle norme del diritto internazionale, non giustificate da alcuna ragione militare”. Inoltre, sulla richiesta israeliana di ritiro dei caschi blu, lo stesso ministro ha dichiarato che “le Nazioni Unite e l’Italia non possono prendere ordini dal governo israeliano”. La premier Giorgia Meloni ha ribadito che “l’attacco alla forza di pace è un atto non ammissibile” e tutto il governo Italiano si è allineato su questa posizione. Quanta fermezza e quanta indignazione, quelle che non abbiamo mai visto e sentito quando si trattava di riconoscere le responsabilità di Israele nel genocidio di Gaza.

Onu, Italia e Francia hanno ribadito che ora “tocca a Israele dare spiegazioni delle proprie azioni”. Di quali azioni? Solo dell’attacco alle postazioni ONU? Significa quindi che tutto il resto non ha bisogno di spiegazioni? Appare sempre più evidente come tutto lo squallido balbettio internazionale e il colpevole vuoto di memoria delle diplomazie occidentali impediscano di prendere decisioni fondamentali, una su tutte: bloccare i rifornimenti di armi ad Israele di cui gli Stati Uniti sono il principale fornitore da sempre, seguiti dalla Germania. Ma di questo non si parla a sufficienza in Europa, perché non è un contesto conveniente, dato che troppi interessi finanziari e politici premono perché non se ne parli.

L’asticella della storia si alza, il tempo concesso sta per scadere e la disumanizzazione è diventata un virus che permette di scegliere per quale vittima indignarsi, spendere una parola, una lacrima di rabbia. Un virus che permette agli Stati di ignorare e cancellare il diritto internazionale piuttosto che farlo rispettare. Oltre quell’asticella c’è un Medio Oriente in fiamme dentro un mondo che già brucia, e l’incendio è difficile da spegnere. Di certo, i protagonisti di quell’alleanza invincibile, in termini di potere militare, politico, economico, un giorno dovranno rendere conto dei propri silenzi e degli sporchi giochi di potere che li hanno resi complici della storia che essi stessi stanno scrivendo.

Maurizio Anelli -ilmegafono.org

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