L’Europa, il PNRR, le armi e il “maanchismo” del PD

di Massimiliano Perna - ilmegafono.org - 29/06/2025
Se il governo italiano non ha alcun peso e non gode di alcuna considerazione nello scacchiere internazionale, un pezzo importante dell’opposizione, dal canto suo, non riesce a distinguersi, né a tirarsi fuori dalle lotte interne, dalle posizioni ambigue o codarde.

Nel mondo attuale, così simile a una polveriera circondata dalle fiamme, la diplomazia è la grande assente. È un concetto che appare quasi desueto, uno strumento che viene trattato come un ferro vecchio da smaltire, da schiacciare sotto il peso dell’arroganza, della semplificazione, del decisionismo autoritario e della politica “del pugno duro” dei capi di governo. In un periodo di fragilità della democrazia nel suo insieme, d’altra parte, la diplomazia non poteva che essere in crisi. Lo si è già visto in occasione della guerra di aggressione della Russia nei confronti dell’Ucraina, laddove è mancato uno sforzo convinto e comune per trattare e fermare l’escalation, e si è scelto invece di investire sulle armi. Lo si è visto nuovamente quando Israele ha usato l’attentato del 7 ottobre 2023 per distruggere Gaza ed eliminare scientificamente il popolo palestinese, laddove il silenzio e l’indifferenza della Comunità internazionale sono stati, di fatto, una dichiarazione di assenso. Succede anche adesso, dopo la guerra di aggressione di Israele e degli USA nei confronti dell’Iran, con la NATO che ha perfino certificato la legittimità dell’intervento americano.

La diplomazia, dunque, è stata spazzata via dallo sguardo della politica e non è un caso che a ciò corrisponda il ruolo di tragica debolezza dell’Europa. Le istituzioni europee, nello scenario mondiale, contano infatti sempre di meno e si trovano costantemente chiamate a ratificare, ad appoggiare, a sostenere anche ciò che è insostenibile. L’arroganza dell’attuale amministrazione americana ha rimpicciolito ulteriormente lo spessore già rachitico del Vecchio Continente. Che, oltre ad assicurare il sostegno a Israele nella difesa dalla reazione militare dell’Iran, sembra avere come principale preoccupazione, in un’epoca attraversata anche da crisi e problemi interni molto seri, quella di aumentare le spese per la difesa. Una preoccupazione che poi si estrinseca, naturalmente, nella ricerca di risorse necessarie allo scopo.

Così, ad esempio, una settimana fa, l’europarlamento ha votato e approvato (a maggioranza) la relazione sull’attuazione del Recovery and Resilience Facility, ossia il dispositivo per la ripresa e la resilienza. In poche parole, il PNRR. Il documento chiede essenzialmente che la Commissione proroghi di 18 mesi i progetti del PNRR, la cui scadenza è prevista il 30 giugno 2026. Un modo per riuscire a concludere quei lavori che al momento sono in ritardo e rischiano di non arrivare a compimento, producendo sprechi e richiedendo, nel caso, l’intervento di altri strumenti dell’UE. Una risoluzione, quella approvata dal parlamento europeo, che non è legislativa e nemmeno vincolante e rispetto alla quale, peraltro, la Commissione si è già detta contraria. Il punto politico però è rilevante, perché la relazione contiene tre paragrafi (il 43, il 15 e il 18) che prevedono la possibilità di utilizzare parte dei fondi del PNRR per spese e investimenti legati all’approvvigionamento della difesa. Dunque, spese e investimenti militari.

Ecco il punto focale di questa relazione, la prova di un’Europa che continua a pensare di dirottare fondi, nati per aiutare il sistema economico e sociale europeo post-pandemia, nel settore delle armi e della difesa. Come se la democrazia potesse ritrovare vigore non nella rigenerazione della qualità della politica e nel risorgere della diplomazia, ma nel rafforzamento militare (una posizione ribadita in Senato, con tanto di citazione latina, da Giorgia Meloni). Una visione agghiacciante che mette a nudo la pochezza dell’Europa, del suo governo e di buona parte dei governi degli Stati membri. In Italia, questa relazione, è divenuta anche la fotografia di un altro grosso problema relativo al nostro Paese: oltre a un governo imbarazzante, totalmente asservito ai leader mondiali, incapace di esprimere un ruolo di mediazione, si registra l’assenza di una opposizione in grado di sposare una linea chiara, priva di ambiguità, sul tema del riarmo e contro qualsiasi azione che possa finanziare futuri scenari di guerra.

Se Movimento 5 Stelle e Avs si sono espressi contro la suddetta relazione, il PD è stato capace ancora una volta di galleggiare in uno stucchevole “maanchismo” di veltroniana memoria. I democratici, infatti, dopo essersi opposti e aver votato contro i tre paragrafi incriminati, alla fine hanno però votato e approvato il documento nel suo complesso. Documento che, per la cronaca, contiene ancora quei paragrafi, confermati dal parlamento. Il solo dem ad astenersi sul voto complessivo della relazione è stato Marco Tarquinio, che per coerenza, pur riconoscendo l’importanza di chiedere una proroga sull’utilizzo dei fondi, non ha potuto comunque dire sì a un testo che prevede la possibilità di destinare all’approvvigionamento militare o a strategie di difesa le risorse pensate per sanità, alloggi o scuole.

Ancora una volta, dunque, il Partito Democratico perde un’occasione per tenere il punto e portare avanti un’idea che, in tante dichiarazioni, è stata sbandierata, cioè quella di non dirottare su armi e difesa i soldi utili allo sviluppo economico e sociale dell’UE. E non serve a niente sguinzagliare i Bonaccini o gli Zingaretti di turno per sottolineare il senso di responsabilità del partito rispetto alla necessità di aiutare le imprese a completare i progetti finanziati con il PNRR. Né serve poi chiedere alla premier Meloni di non spendere questi soldi per armi e investimenti militari. Non serve perché il punto di fondo non è tecnico o pratico, ma politico. E attiene all’identità di un partito che, per numeri e organizzazione, e anche per la qualità umana e culturale della sua leader, potrebbe provare a guidare un’opposizione e a costruire un’alternativa, ma che poi, sistematicamente, inciampa su un terreno cruciale: quello della credibilità.

La stessa che è venuta meno in tante circostanze in passato, ogniqualvolta il PD non ha avuto il coraggio, su temi pregnanti, di mettere un valore non negoziabile davanti a una convenienza strategica sul piano del consenso. Insomma, siamo alle solite. Se il governo italiano non ha alcun peso e non gode di alcuna considerazione nello scacchiere internazionale, un pezzo importante dell’opposizione, dal canto suo, non riesce a distinguersi, né a tirarsi fuori dalle lotte interne, dalle posizioni ambigue o codarde. Il “maanchismo”, alla fine, è ancora lì, a dondolare tra un sì e un no, nella periferia politica di un mondo che precipita e che non ammette più posizioni di comodo. Né scuse poco convincenti.

Massimiliano Perna -ilmegafono.org

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