La guerra in Ucraina ha avvicinato tutti all’olocausto nucleare, alla fine del mondo. Ce lo fa immaginare: sia a coloro che lo prendono sul serio, considerandolo un rischio sempre più imminente, sia a coloro che lo sfidano, sicuri che la sua mostruosità sia sufficiente, se non ad allontanarne lo spettro, sicuramente a impedirlo; sia gli incoscienti – e sono i più – che non lo prendono in considerazione perché guardano il dito (la singola guerra) e non la luna (la sua possibile proiezione sull’intero pianeta).
Ma questa guerra ci sta avvicinando molto anche all’olocausto climatico, il punto di non ritorno che gli scienziati dell’Onu (l’Ipcc) hanno fissato di qui a non molto di più di otto anni, se non si interviene massicciamente per allontanarlo. E se l’olocausto nucleare è una possibilità quello climatico è una certezza scientifica. Ma quanti lo sanno? E quanti, essendone informati, ci credono? E quanti pensano di poterlo evitare perché la tecnologia – quella che ci ha trascinati fino a questo punto – ci metterà al riparo dal suo verificarsi?
La guerra ci avvicina al capolinea climatico non solo per la CO2 sollevata dalle macchine di morte – bombe, aerei, carri armati – sotto cui restano schiacciati tanto i soldati russi che la popolazione e i combattenti ucraini. Ma anche per tutto quello che questa guerra – molto più di tutte quelle precedenti – ha rimesso in moto: a beneficio di tutti coloro che la lotta contro la crisi climatica l’hanno sempre osteggiata e che oggi dettano legge nei governi, nella finanza, nelle imprese, nei media.
Il problema numero uno sembra essere procurarsi il gas che continuiamo a comprare dalla Russia, finanziando la sua guerra di aggressione; perché, senza di esso, l’economia mondiale (e non solo quella italiana o quella tedesca) rischia il collasso per un effetto domino intrinseco alla globalizzazione. Ma non c’è solo il gas. Ci sono anche, per sostituirlo almeno in parte, carbone e petrolio, con le loro emissioni.
C’è poi la necessità di compensare le importazioni alimentari dall’Ucraina e dalla Russia (quasi tutte destinate agli allevamenti) con un aumento delle produzioni interne. Quindi, largo agli Ogm, ai fitofarmaci e ai fertilizzanti sintetici, all’avvelenamento del suolo e delle acque per spremere una Terra sempre più soffocata e farle sputare quello che è sempre meno in grado di fornire nella condizione di cattività a cui la condanniamo: tutti processi che moltiplicano le emissioni di gas di serra e rendono impossibile il riassorbirle nel suolo.
Quanto alle popolazioni delle nazioni più povere, che a quei mezzi già ricorrono con poche limitazioni e non hanno modo di reagire al blocco delle esportazioni russe e ucraine, o all’aumento del loro prezzo, le aspetta la fame. Moriranno a milioni.
Poi, soprattutto, largo alle armi e alla produzione di armi. Largo al “riarmo” dell’Ucraina, della Nato, dell’Italia. Come se fossero disarmate. Si tratta di prodotti “usa e getta” che consumano risorse, energia, ore di lavoro e vite umane, che producono quantità smisurate di gas di serra, e che sono concepiti per essere “smaltiti” nel più breve tempo possibile: o in guerre che essi stessi alimentano, rendendo necessario sostituirli; o in depositi, pericolosi e inquinanti, a perdere; o vendendole a qualche dittatura dei paesi più poveri. Ma sempre per far posto a prodotti tecnologicamente più aggiornati. Per non parlare delle armi chimiche e biologiche, pensate – e prodotte – per avvelenare per sempre popoli e territori.
E con le armi, largo allo spirito bellico alimentato da tutti i media dell’Occidente (come della Russia) e dal suo commander in chief: il presidente degli Usa e vero capo della Nato, al seguito dei suoi predecessori che volevano decidere chi doveva comandare in Iraq, Afghanistan, Libia, Siria, Yemen e hanno trasformato per questo metà del mondo in lande senza governo e senza legge.
La guerra in Ucraina non ha dunque solo oscurato, nei media e nella coscienza di tutti, l’imminenza della crisi climatica e ambientale. Di fatto ne sta accelerando l’esplosione proprio con la scelta di prolungare il più possibile la durata di quella guerra, rifornendo di armi le truppe combattenti dell’Ucraina, che non si sa bene chi siano (lo sanno bene solo la Nato e – forse – Zelensky), prima ancora di cercare – e costruire – un tentativo di mediazione accettabile: una proposta e un promotore credibile che se ne faccia portatore, che possa essere accettabile, anche se non soddisfacente, per entrambe le parti in causa (che sono molte più di due); con qualche rinuncia per ciascuna di esse.
Coloro che hanno fatto la scelta di appoggiare, se non condividere, la politica del governo, dell’Unione europea e della Nato dovrebbero tenerne conto: stanno seppellendo, oltre ai cadaveri prodotti da un inutile prolungamento della guerra, anche la lotta contro la crisi climatica.