Abbiamo appreso della taglia sulla testa del ministro Crosetto, minacciata dalla brigata “russa” Wagner, il gruppo militare, che fiancheggia l’esercito russo nella guerra contro l’Ucraina. Se fosse vera sarebbe assolutamente da condannare nello stile e nella sostanza.
È però stupefacente come possa essere presa in considerazione una tale ipotesi, visto che il ministro ha sollevato il pericolo di infiltrazione dei mercenari della Wagner nei Paesi africani per favorire i flussi migratori verso il nostro Paese, dimenticandosi che è stato un rappresentante dell’industria bellica, ed ora, in qualità di ministro della Difesa, sostenitore dell’invio di armi in Ucraina. Quindi semmai la taglia sarebbe giustificata, secondo l’aberrante visione della Wagner, per questa seconda ipotesi.
Insieme al ministro Giorgetti ha proposto “Fuori le spese militari dal Patto di stabilità”, dicendo che si tratterebbe di una faccenda «meramente tecnica». In merito alle sue dichiarazioni, secondo cui per aumentare le “ridotte” spese militari, oggi all’1,38 per cento e portarle al 2 per cento, occorre scorporare le spese militari dal bilancio, si dovrebbe sollevare il più totale dissenso, denunciando come per le spese sociali (sanità, istruzioni e assistenza) dobbiamo sottostare ai vincoli finanziari, mentre per le spese militari, si può fare a meno.
Ciò dimostra come la volontà del governo Meloni sia quello di arricchire le lobby e lasciare indietro la spesa sociale, aggravando le disuguaglianze e la povertà.
C’è una dottrina che è quella concordata la scorsa primavera a Ramstein che porterà l’Italia ad aumentare le proprie spese militari fino al 2% del Pil entro il 2028 (attualmente è all’1,54%): un percorso, secondo il ministro della Difesa, che dovrà procedere assai speditamente in futuro visto che, come segnala la Rivista Italiana Difesa, nel 2022 la spesa per l’ammodernamento militare non è cresciuta di un euro.
È proprio su questo punto che il ministro Crosetto batte forte: «L’aiuto che abbiamo dato in questi mesi all’Ucraina ci impone di ripristinare le scorte che servono per la difesa nazionale». Tradotto: tutte le forniture di armi inviate a Kiev negli ultimi undici mesi – siamo a cinque carichi, con il sesto in arrivo a breve – hanno un peso sull’arsenale italiano, che presto o tardi (più presto che tardi) andrà rimpinguato.