Questa permeazione del pensiero militarista in ambiti della vita quotidiana rappresenta una svolta preoccupante: la guerra non è più presentata come un’eccezione tragica, ma come un orizzonte inevitabile a cui bisogna preparare studenti, lavoratori e cittadini. È un passaggio culturale profondissimo, che rischia di modellare l’immaginario collettivo in favore delle priorità dell’apparato militare-industriale.
Il silenzio con cui iniziative come la campagna dell’Atac vengono accolte è forse il segno più preoccupante. È necessario che cittadini, associazioni, sindacati, ricercatori e operatori dell’informazione sollevino il tema e pretendano trasparenza: chi decide queste campagne? Con quali obiettivi? Quali accordi esistono tra aziende pubbliche e Difesa? Perché un servizio di trasporto deve diventare veicolo di retoriche belliche?
La militarizzazione non è un processo neutro né inevitabile. È una scelta politica. E come tale deve essere discussa, contestata, analizzata nei suoi effetti sul tessuto sociale, sulla cultura civile e sulla democrazia.
Una mobilitazione necessaria
Roberta Leoni, dell’Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole e delle università pubbliche, organismo che ha promosso le mobilitazioni diffuse in tutta Italia verso il 4 novembre, è stata chiamata a introdurre la prossima assemblea nazionale. L’appello che arriva da questo fronte di attivisti è netto: occorre interrompere la spirale che molti definiscono già come una Terza guerra mondiale strisciante. Le mobilitazioni straordinarie delle settimane scorse – dal 22 settembre al 4 ottobre – hanno mostrato la forza che comitati, reti, sindacati, partiti, organizzazioni di base e semplici cittadini possono esprimere quando convergono su un obiettivo comune. Nei prossimi mesi, sottolineano gli organizzatori, sarà essenziale valorizzare tutte le iniziative contro la guerra, il riarmo, la NATO e il genocidio in Palestina, costruendo un fronte unitario capace di contrastare l’occupazione politico-militare USA-NATO del territorio italiano e la subordinazione del Paese ai diktat dell’Unione Europea e agli interessi del blocco occidentale. Una denuncia che chiama in causa anche il governo Meloni e quelle forze politiche considerate esecutrici dei piani dei promotori della guerra globale. Per questo il Coordinamento Nazionale No Nato invita a organizzare ovunque, in vista del 4 novembre, banchetti, assemblee, presidi e cortei, come strumenti necessari per rafforzare la rete di chi si oppone alla deriva bellica e alla crescente militarizzazione della società italiana.
Il caso Atac si inserisce perfettamente in questo scenario. L’azienda dei trasporti romani, scegliendo di ospitare e promuovere iniziative in collaborazione con il Ministero della Difesa, diventa parte di un dispositivo culturale che prepara l’opinione pubblica alle logiche del conflitto: un messaggio che raggiunge milioni di persone ogni giorno, spesso senza che queste abbiano gli strumenti per coglierne le implicazioni. Trasformare autobus e metropolitane in canali di sensibilizzazione militare apre una nuova fase: la guerra entra nello spazio urbano, nel quotidiano, nella routine, legittimandosi attraverso la presenza istituzionale.
Di fronte a questa normalizzazione della logica bellica, i movimenti sociali e pacifisti provano a costruire risposte collettive. Le piazze degli ultimi mesi hanno mostrato che esiste ancora una parte del Paese determinata a rifiutare la prospettiva del riarmo illimitato e dell’allineamento totale alla NATO, e a difendere un modello diverso di sicurezza: basato sulla cooperazione, sulla giustizia sociale, sul disarmo e sulla diplomazia. Perché anche questo significa demilitarizzare l’Italia: ridare alla politica la possibilità di immaginare un futuro che non sia costruito sull’inevitabilità del conflitto.
Il 4 novembre, data simbolica spesso trasformata in celebrazione acritica del militarismo nazionale, potrà diventare invece un momento di rottura e di proposta alternativa. Un’occasione per ricordare, con forza, che la pace non è un lusso ma un diritto, e che la militarizzazione non è la risposta ai problemi del mondo: è parte del problema stesso.
Laura Tussi


