Liberarci dal “warshow” per poi salvare noi stessi

di Raniero La Valle - ilfattoquotidiano.it - 09/05/2022
Occorre costruire una cultura che promuova la coscienza e il gusto dell’unità umana, che metta i popoli al di sopra degli Stati, che generi una riforma dell’Onu e un costituzionalismo mondiale

Prima vittima e interprete del warshow che, mentre eravamo sonnambuli (Limes) ha invaso le nostre vite, Zelensky ha fatto una proposta sensazionale: finiamo la guerra.

La proposta (se non sarà revocata) è quella di tornare alla situazione del 23 febbraio 2022. Ciò vuol dire: se vogliamo vivere il presente e magari avere un futuro, facciamo come se il passato, ovvero questa terribile guerra, non ci fosse stata. Però il passato non si può togliere, ciò che invece è possibile fare, come disse una volta il saggio e sfortunato Gorbaciov, è che i morti non tengano per mano i vivi, cioè che non ci facciamo determinare dalla tragica guerra vissuta.

Ma allora perché l’abbiamo fatta? Se si può pensare che basterebbe riconoscere la Crimea che col referendum è tornata alla Russia, un’Ucraina inoffensiva e non inclusa nella Nato, l’armata con la Z ferma al confine e magari l’autonomia degli accordi di Minsk, garantiti dalla Merkel e da Macron, perché la scelta micidiale di gettare l’Ucraina nel dolore di tutti e nella disperazione dei poveri, e il mondo sul ciglio della guerra nucleare?

La domanda è lancinante; tuttavia, come sta scritto nella lettera con ormai migliaia di firme in cui abbiamo chiesto al papa di mandare a Biden e a Putin la Merkel per mediare un’intesa politica, ciò che serve oggi non è distribuire i torti e le ragioni, ma riprogrammare una storia che contempli la coesistenza di tutti e non escluda nessuno, né Stati né popoli.

Il combinato disposto (“l’operazione”) che ha portato alla guerra ha infatti “deviato il corso della storia”, inaugurando “un percorso di tregue interrotte, certo non di vera pace”, in cui “saranno riscritti i rapporti di forza su scala globale”, come spiega Limes nel numero intitolato “Fine della pace” che non si può archiviare anche se altri poi ne sono usciti. Se questo infatti è il crinale che divide due epoche, noi siamo lì, sulla soglia della prima tregua, e dobbiamo decidere tutto su come vogliamo continuare; ossia tutti dobbiamo decidere tutto.

Naturalmente questo lo possiamo fare solo nella sfera del decidibile, che può comprendere l’instaurazione della pace solo se rifiutiamo l’idea, che invece ci viene data per scontata, che “la guerra sia connaturata all’uomo”. Se non lo è (e sarebbe strano che l’orgoglioso Occidente si ritenesse inabilitato a decidere su ciò che più conta) è da tutti professato che dobbiamo liberarci dalla guerra, soprattutto dalle warshow, come a partire da questa saranno tutte le future guerre paramondiali, a eccezione di quella nucleare che invece non potrà essere filmata da nessuno. Ma intanto oggi sembra caduto il tabù della guerra nucleare.

La liberazione dalla guerra, invece della lotta per “stabilire un vincitore unico e definitivo” per il dominio del mondo, come ci imputano i cinesi, sarebbe certo una rivoluzione, maggiore di tutte le altre, da quella americana a quella francese a quella d’Ottobre, che pure sono state possibili.

Ma, per un’ultima citazione di Limes, che sembra rovesciare l’inquietante previsione di tutto il dossier, diremo che la rivoluzione è possibile solo se è pensata e voluta, come suggerisce la “profetica prosa” di Anna Maria Ortese, come “la liberazione degli altri”. Gli altri sono prima di tutto gli altri popoli, “i popoli muti di questa terra”, quelli interessati a vivere, non a contendersi, combattendo, il potere.

La decisione da prendere è dunque, d’ora in poi, di liberare gli altri dalla guerra, dai lager, dalla fame, dalla povertà, dalla privazione della dignità e del lavoro, dalla perdita della politica, dal dovere di fuga e dalle migrazioni forzate, dalla malattia e mancanza di cure, dall’incrudelirsi del clima, dal dissesto ecologico e dalla devastazione della Terra.

Ma perché la liberazione “degli altri”, perché questo scambio con gli altri, perché questa cura, impossibile senza amore, per gli altri? Perché solo così possiamo salvare noi stessi.

Per far questo occorre costruire una cultura che promuova la coscienza e il gusto dell’unità umana, che metta i popoli al di sopra degli Stati, che generi una riforma dell’Onu e un costituzionalismo mondiale – a cui pur si era cominciato a mettere mano – onde siano ridotte armi e armate, i beni fondamentali siano resi pubblici, i diritti siano affermati per tutti e resi effettivi da adeguate istituzioni sovrastatali di supplenza e di garanzia.

Se questa è l’agenda, essa chiama in causa tutti. E dunque, se si può scrivere questo in un articolo di giornale, chi ha rinunziato a ogni impegno lo assuma, chi ha smesso di studiare lo faccia di nuovo, chi ha lasciato la politica vi torni, chi ha sfasciato partiti li costruisca, chi ha servito iniqui padroni si liberi, chi ha chiuso, riapra.

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