Di Moni Ovadia. Quella che si sta compiendo è la più atroce delle barbarie. La questione del genocidio palestinese non riguarda solo la Palestina, che lo sta pagando con i corpi, con i bambini, con la distruzione quotidiana della propria esistenza: riguarda tutti noi. Perché chi oggi sceglie di non schierarsi, e non parlo di schieramenti di partito, sta rinunciando a decidere tra civiltà e barbarie.
Un giorno, quando i peggiori dittatori del futuro compiranno crimini indicibili con apparente legittimità, e qualcuno proverà a invocare i diritti umani, essi potranno rispondere: “Zitti, buffoni. Cosa avete fatto con la Palestina?”. E avranno ragione. Non avremo più titolo per parlare. Dobbiamo riconquistarci quel titolo, ricostruire la nostra credibilità morale. L’umanità ha impiegato secoli per arrivare alla Dichiarazione universale dei diritti umani. I cosiddetti democratici occidentali l’hanno calpestata. Hanno fatto carne di porco della legalità internazionale.
Se un giorno ci sarà un processo – lo si chiamerebbe “processo di Norimberga”, ma io preferirei un altro nome, perché quello fu comunque un processo di vincitori – ebbene, su quel banco degli imputati dovranno sedersi certo i criminali di guerra, gli assassini sionisti, ma anche tutti i presidenti degli Stati Uniti, tutti i governi europei. Quelli che oggi versano qualche lacrima di coccodrillo.
Ma occorre dire qualcosa di fondamentale: non si illudano gli indifferenti. Gramsci ce l’ha insegnato: sono i più detestabili, i più codardi, perché non si assumono la responsabilità della storia. Dante li chiamava “ignavi”: Non ti curar di loro, ma guarda e passa. Eppure io dico: no, non possiamo passarci sopra. Gli indifferenti saranno giudicati lo stesso. Forse non da noi, ma dai loro figli, dai loro nipoti. Un giorno qualcuno della loro discendenza li guarderà negli occhi e chiederà conto del loro silenzio. E loro abbasseranno lo sguardo. E saranno sputati in faccia, per essere stati così vili.
Il popolo palestinese è perseguitato da settantasette anni. Assassinato, torturato, espropriato, vessato. E l’Unione Europea, dove stava? Io ho cominciato il mio impegno politico sulla Palestina quarant’anni fa. Ho ricevuto insulti, maledizioni, minacce di morte. Ma adesso voglio guardarli in faccia, questi “moderati”. Perché non c’è peste peggiore della moderazione, quando si tratta di crimini contro l’umanità. La moderazione ci ha regalato l’indifferenza verso la mafia, la ‘ndrangheta, la complicità con il Vietnam, con l’Afghanistan, con l’Iraq, con la Siria, con l’India di Modi. E ora con Gaza.
Sapete qual è il numero delle vittime imputabili all’imperialismo statunitense e ai suoi servi? Cinquanta, forse sessanta milioni. E poi hanno anche il coraggio di venire a fare la morale al comunismo.
Io non ho ricette in tasca. Ma so una cosa: dobbiamo alzare la voce, e farlo con forza. Basta understatement, basta diplomazie. C’è una sola soluzione, limpida, netta, necessaria: uno Stato unico per tutti gli abitanti della Palestina storica. Tutti con gli stessi diritti. Tutti, fino all’ultimo. Persino il diritto di camminare deve essere garantito.
Eppure già si comincia a sentire: “Sì, ma è un po’ esagerato”. E vogliono fare i distinguo, i “puntini sulle i”. Ma è tutto chiaro: fin dalla sua origine, il sionismo è un progetto colonialista. Fin dall’inizio. Quando si presenta al mondo con lo slogan “una terra senza popolo per un popolo senza terra”, ciò che dice è: eliminiamo chi c’è, chi non vogliamo vedere. Netanyahu non è un’eccezione: è il frutto più autentico del sionismo.
Basta con le ipocrisie. Netanyahu è il mostro? Ma Ben Gurion ordinò la distruzione di cinquecento villaggi palestinesi. Golda Meir negava perfino l’esistenza di un popolo palestinese. Le radici del crimine sono lì, non oggi. Anche progetti apparentemente “positivi”, come l’imboschimento della terra, in realtà servivano a nascondere le devastazioni, a seppellire corpi che non si potevano nemmeno nominare.
E la cosa più oscena che hanno fatto è stata decidere quando inizia la storia: il 7 ottobre. Tutto ciò che è accaduto prima non conta. Nessun bambino ucciso, nessun arresto arbitrario, nessun furto di terra o di acqua. Niente massacri, niente apartheid. Solo il 7 ottobre.
A denunciare questa menzogna sono stati alcuni israeliani. Dissidenti coraggiosi. E anche a voi voglio chiedere una cosa: non chiamatelo Stato ebraico. Noi siamo centinaia di migliaia di ebrei antisionisti. Chiamatelo con il suo vero nome: Stato sionista. Perché il crimine si chiama sionismo.
Proprio ieri ho finito una riunione con un gruppo di ebrei italiani e israeliani fuggiti da Israele. Stiamo costruendo una rete antisionista italiana, da collegare a quelle americane, inglesi, francesi. È tempo di parlare chiaro. Anche la parola genocidio va detta. Serenamente. Perché questo è ciò che accade: un genocidio.
Il primo a usare questa parola in Israele è stato Amos Goldberg, massimo esperto di Shoah. In un testo di venti righe ha usato sei volte la parola genocidio. Alla fine ha scritto: “Genocidio intenzionale”. Non una reazione, non una perdita di controllo. Uno scopo preciso: cancellare un popolo. Deportarlo. Distruggere la sua cultura, la sua lingua, la sua istruzione.
Avremo tanto da fare. E sarà una lotta lunga. Io compirò ottant’anni l’anno prossimo. Ma vi chiedo una cosa: non abbassate la tensione. Quando vi diranno “ora va un po’ meglio”, ricordatevi che non esiste il “un po’ meglio”. Esiste la giustizia, o l’ingiustizia. Non c’è via di mezzo.
E vi dico un’altra cosa, che ho saputo da un’inchiesta giornalistica seria. La storia della “Riviera” sul Mediterraneo, che alcuni volevano costruire a Gaza, non è un’invenzione. Era un progetto di un’istituzione sionista. Volevano fare la “Riviera” perché sotto il mare di Gaza si trova il terzo giacimento di gas del Mediterraneo. E non solo: volevano costruire un canale, simile al Canale di Suez, che avrebbe tagliato in due Gaza.
Non parliamo solo di ideologia: parliamo di affari. I corpi possono marcire, possono bruciare, possono dissolversi. Ma i soldi devono girare. Ecco perché è necessario un movimento che leghi la lotta contro questa violenza alla lotta contro la violenza delle violenze: l’economia turbocapitalista, che è un’economia di morte.
Avete visto cosa succede con il business delle armi? Gaza è il laboratorio. I sionisti sperimentano armi nuove. C’è un video in cui si vede una donna palestinese camminare da sola tra le macerie. Le hanno sparato un’arma che l’ha dissolta in una nuvola di polvere. Polvere. Così non resta nulla da seppellire. Nemmeno quel corpo da stringere, come si faceva fin dai tempi della guerra di Troia.
Questa è una barbarie mai vista prima. Si credeva che l’umanità avesse toccato il fondo. Non era vero.
Dobbiamo reagire. Dobbiamo diventare milioni.
Avete visto la manifestazione di Amsterdam? Quella di Parigi? Tocca anche a noi italiani. Un tempo eravamo un paradigma della lotta. Che cazzo ci è successo?