Hind Khoudary è una giornalista palestinese che vive nella striscia di Gaza, ha scritto per diversi media tra cui Al Jazeera. Come riportato da ‘Il Manifesto’ del 3 marzo, Hind ha riassunto con amara lucidità il senso della decisione del governo israeliano di bloccare l’ingresso degli aiuti umanitari a Gaza: “Lo stop agli aiuti umanitari significa che i palestinesi non mangeranno. È semplice”. La decisione del premier Benyamin Netanyahu non deve sorprendere in quanto è perfettamente in linea con il piano di annientamento della Striscia di Gaza: prima si distrugge tutto e poi, sulle macerie e su quello che resta, si tagliano il cibo, l’acqua, l’energia elettrica. Secondo quanto riferiscono le agenzie di stampa, le autorità israeliane hanno già bloccato l’alimentazione elettrica ai due impianti di desalinizzazione dell’acqua di mare a Rafah, impianti che garantiscono il 70% dell’approvvigionamento idrico della città.
Per togliere ogni dubbio Netanyahu ha dichiarato alla Knesset: “Ci stiamo preparando per le prossime fasi della guerra della rinascita, su sette fronti, e non ci fermeremo finché non avremo raggiunto tutti gli obiettivi della vittoria: il ritorno di tutti gli ostaggi, la distruzione della capacità militare di Hamas e la garanzia che Gaza non rappresenti più una minaccia per Israele”.
Per il ministro delle finanze Bezalel Smotrich, uno dei massimi esponenti dell’ultradestra israeliana si tratta di “un passo nella giusta direzione, occorre aprire le porte dell’inferno e con la massima violenza fino alla vittoria totale”. Alle parole di Smotrich fanno eco quelle del ministro alle comunicazioni Karhi che evoca per Gaza “fuoco e zolfo”. A questo coro, osceno e feroce, non poteva mancare l’ex ministro della sicurezza nazionale, l’ultranazionalista e fascista Itamar Ben-Gvir: lui proclama da sempre la necessità di affamare Gaza e, ora che è arrivato il momento, propone anche di “bombardare i depositi di aiuti”. Ricordiamoceli questi nomi, perché non è solo Benyamin Netanyahu a condurre questo genocidio, lento ma inesorabile, ma è l’intero governo dello Stato di Israele a macchiarsi di sangue e vergogna davanti alla Storia e di questo, un giorno, Israele dovrà rispondere.
Di fronte a questa decisione c’è una comunità internazionale che, al di là delle dichiarazioni ufficiali delle Nazioni Unite, ignora di fatto il blocco degli aiuti e dimentica che il diritto umanitario internazionale stabilisce chiaramente che l’accesso agli aiuti deve essere sempre consentito. Viscida e imbarazzante, come sempre, la posizione dell’Unione Europea: a parole – con un tweet su X della commissaria Ue per la crisi, Hadja Lahbib – afferma che gli aiuti umanitari devono continuare ad arrivare a Gaza; nei fatti, però, accusa Hamas di aver rifiutato l’estensione della prima fase dell’accordo di cessate il fuoco a Gaza e legittima quindi la decisione del governo di Tel Aviv, ignorando il fatto che è stato Netanyahu a cambiare le carte in tavola rispetto all’accordo di gennaio che prevedeva, dopo la prima fase di tregua, un cessate il fuoco “permanente” e il ritiro di Israele da Gaza.
L’accordo dello scorso 15 gennaio a Doha stabiliva che i dettagli di questa fase particolarmente delicata sarebbero stati oggetto di ulteriori negoziati, naufragati però davanti al nuovo corso americano e alle continue operazioni militari israeliane in Cisgiordania. In realtà, Israele non ha nessuna intenzione di iniziare i negoziati per la fase due, in quanto vorrebbe dire rinunciare del tutto alla propria presenza militare nella Striscia e in altre zone cuscinetto come il corridoio Filadelfia, il confine che separa Egitto e Gaza e da cui Israele ha ribadito che non si ritirerà. L’ultima fase, quella che dovrebbe prevedere il programma di ricostruzione della Striscia, è ancora più difficile da immaginare, anche se alla Casa Bianca hanno idee precise in merito, idee che parlano di deportazione e resort turistici.
Il blocco degli aiuti umanitari determina il ripristino dell’assedio sulla striscia di Gaza, un assedio che avrà inevitabilmente drammatiche conseguenze su una popolazione già stremata e sfinita da mesi di distruzione totale. Gli operatori di Medici del Mondo affermano che “quindici mesi di atrocità commesse contro i palestinesi e la distruzione diffusa delle infrastrutture civili hanno causato un disastro umanitario che può essere affrontato solo attraverso la fornitura completa, senza restrizioni e su larga scala, di materiali e rifornimenti salvavita”. In queste settimane di tregua Medici del Mondo e gli altri operatori hanno ristabilito qualcosa che possa assomigliare a centri di assistenza medica primaria, ma gli ospedali di Gaza – o almeno quello che resta degli ospedali di Gaza – restano ancora non operativi, e la mancanza di servizi sanitari crea le condizioni per epidemie e malattie. Anche per questo il blocco degli aiuti diventa una inaccettabile violazione del diritto internazionale umanitario e si trasforma in una oscena forma di assedio, dove la negazione sistematica dell’assistenza umanitaria contribuisce alla distruzione della vita a Gaza. È solo un passo in più nella direzione del vero obiettivo: la pulizia etnica.
Negli ultimi giorni del 2024, poco prima degli accordi di Doha, Christopher Lockyear, Segretario generale di Medici Senza Frontiere rilasciava questa dichiarazione: “Le persone a Gaza lottano per la sopravvivenza in condizioni apocalittiche, ma nessun luogo è sicuro, nessuno è risparmiato e non c’è via d’uscita da questa enclave distrutta. La recente offensiva militare nel nord della Striscia è un chiaro esempio della guerra brutale che le forze israeliane stanno conducendo a Gaza e stiamo assistendo a chiare evidenze di pulizia etnica dal momento che i palestinesi vengono sfollati con la forza, messi in trappola e bombardati”. “Tutto quello che le nostre équipe mediche hanno visto sul campo durante questo conflitto – prosegue Lockyear – è coerente con le descrizioni fornite da un numero crescente di esperti legali e organizzazioni secondo cui a Gaza è in corso un genocidio. Pur non avendo l’autorità legale per stabilire l’intenzionalità, le evidenze della pulizia etnica e la devastazione in corso – tra cui uccisioni di massa, gravi lesioni fisiche e mentali, sfollamento forzato e condizioni di vita impossibili per i palestinesi sotto assedio e sotto i bombardamenti – sono innegabili”.
Il 26 gennaio 2024, la Corte Internazionale di Giustizia chiedeva “misure immediate ed efficaci per consentire la fornitura di servizi di base e assistenza umanitaria, essenziali per affrontare le condizioni di vita avverse dei palestinesi nella Striscia di Gaza”. Israele non solo non ha mai rispettato questa richiesta, ma anche impedito a MSF e ad altre organizzazioni umanitarie di fornire assistenza. “Pulizia etnica” è la seconda parola proibita di questa tragedia, la prima è “genocidio”. In molte parti del mondo gli ebrei discutono su questo, anche in Italia. Il manifesto con cui oltre duecento intellettuali, artisti, scrittori e giornalisti ebrei affermano il loro no alla “pulizia etnica” ha provocato un confronto senza esclusione di colpi. Promotori dell’appello sono il Laboratorio Ebraico Antirazzista e Mai Indifferenti – Voci ebraiche per la pace. Un manifesto importante ma tardivo, visto che la situazione di Gaza non è nata ieri, viene quindi da chiedersi perché solo adesso. Un manifesto che ha comunque scatenato l’immediata risposta, con toni sprezzanti e offensivi, delle Comunità ebraiche che non hanno sottoscritto l’appello.
Nel frattempo, negli USA, il segretario di Stato Marco Rubio, invocando “l’autorità d’emergenza”, aggira il Congresso per autorizzare il governo a fornire ulteriori e massicce provviste di armamenti a Israele, mentre al Cairo i leader arabi, in risposta al piano del presidente Trump sulla “Riviera del Medio Oriente”, approvano il piano proposto dall’Egitto per la ricostruzione di Gaza. Gaza è rasa al suolo, distrutta nel corpo e nel cuore, ma ancora viva e capace di regalare dignità.
Ha fatto il giro del mondo la fotografia del primo giorno di Ramadan a Rafah, nel sud della Striscia di Gaza: un lunghissimo tavolo che occupa tutta la lunghezza di una strada tra le rovine e un popolo che, fra quelle rovine, prepara il pasto serale che interrompe il digiuno durante il Ramadan. Gaza vive ancora, nonostante Netanyahu e i tanti Smotrich e Ben-Gvir dello Stato di Israele, vive nonostante i dollari e le armi americane, nonostante i vergognosi silenzi della comunità internazionale e di quell’Europa che ignora le richieste della Corte Penale Internazionale e non pronuncia mai le parole proibite: genocidio e pulizia etnica.
Maurizio Anelli -ilmegafono.org