Uno tsunami di umanità sta per partire per cercare di liberare Gaza dal blocco degli aiuti. Cercheremo di rompere l’assedio illegale di Israele con la forza della solidarietà nonviolenta, una forza dell’umanità e per l’umanità. Migliaia di persone sono coinvolte in questo magnifico movimento internazionale che vuole aiutare tutte le persone innocenti di Gaza. Mentre una parte della flottiglia è partita da Genova a Barcellona, qui in Sicilia stiamo lavorando per armare le barche, verificare le condizioni di sicurezza, provvedere alla cambusa e alle vele, controllare i motori insieme a tutti i compagni e le compagne internazionali che comporranno l’equipaggio. Tra le tante persone che si aggirano tra le varie barche in preparazione molte danno una mano su compiti specifici che spesso esulano dal campo nautico: motori, impianti elettrici, pulizia e svuotamento di materiali dei vecchi proprietari, che in alcuni casi non saranno necessari per la missione. Capita quindi che i velisti impegnati nei vari compiti di controllo e verifica vengano visti come funamboli appesi a una fune a venti metri d’altezza, intenti a controllare sappia, bozzelli e cime; gli armatori particolarmente pignoli pianificano tali ispezioni in maniera regolare. Quindi termini come “banzigo” (un seggiolino con imbracatura che serve per issare una persona in testa d’albero), sartie volanti (cavi d’acciaio aggiuntivi nei casi in cui l’albero della barca sia a 90 gradi rispetto ad essa e necessiti quindi, in alcune andature, di essere sorretto maggiormente), richiedono delle spiegazioni tipiche dell’istruttore di vela per le persone più curiose. In realtà tali spiegazioni saranno utili in missione per i membri dell’equipaggio che non saranno competenti nella vela, ma saliranno a bordo come giornalisti, persone influenti politicamente o sui social, medici o meccanici. Il porto è quindi tutto un brulicare di persone che vanno e vengono in cerca di attrezzi, o di persone di supporto per compiti molto complessi e pesanti, come ammainare una vela, o aprire un grillo particolarmente inchiodato da anni di salsedine. È un’atmosfera di grande collaborazione, ma anche di tensione e di speranza; abbiamo commentato tra di noi le minacce del Ministro della Sicurezza nazionale israeliano Itamar Ben Gvir, che ha prospettato la possibilità di un arresto prolungato in condizioni molto dure. Sicuramente avere il sostegno e l’appoggio di grandi fette della popolazione in Europa e nel mondo rappresenta una sicurezza e anche una speranza. Nello stesso tempo ci prepariamo per un training legato al comportamento da tenere nelle situazioni tese e di emergenza. Intanto abbiamo appreso che tutte le barche partite della Spagna hanno invertito la rotta a causa di vento a 30 nodi e mare in burrasca. Ovviamente gli imprevisti in una missione di questo tipo sono all’ordine del giorno. Mi sono chiesto tante volte perché ho deciso di partecipare alla missione già dal mese di marzo nella Global March To Gaza e ho pensato che non bastasse più fare manifestazioni e attività politica all’Arci, od organizzare il boicottaggio con il movimento BDS. Sentivo il bisogno di fare qualcosa di più forte, di più radicale, come il desiderio di scegliere di non stare in silenzio quando il mondo tace di fronte a un massacro e a un genocidio, di fronte a una ennesima vergogna umana nella storia recente, dove ogni giorno assistiamo a un pezzo di umanità che crolla nel baratro nella vergogna di questa triste esperienza. Ho deciso di partecipare pensando alle letture che ho fatto: Hannah Arendt, con la capacità di descrivere “La banalità del male” e quindi anche non stare da quella parte e Martin Luther King, secondo cui la cosa più dolorosa non sono le persone cattive, ma coloro che tacciono di fronte alla cattiveria. Penso anche a Dietrich Bonhoeffer e alla Chiesa confessante contro il nazismi, una piccola comunità che aveva capito che Hitler era un avversario, un terribile nemico da combattere in tutti i modi. È utile a volte cercare anche dei modelli nella nostra storia, dei modelli positivi come per esempio Antonio Gramsci quando diceva che bisognava essere partigiani, non si può rimanere nell’indifferenza. Tutte queste parole, queste vite di uomini e di donne del nostro passato mi aiutano a motivare, ad approfondire, a essere consapevole e affrontare una scelta che non facciamo come eroi occidentali bianchi, ma anche con molta umiltà e un po’ di timore, pensando alle persone care, ai nostri figli, genitori compagne. Forse lo faccio per poter rispondere con dignità e consapevolezza quando la dimensione mostruosa di quello che sta accadendo al popolo palestinese sarà ancora più chiara e lampante, alla fatidica domanda che potrebbero rivolgermi: ma tu che cosa hai fatto quando tutto questo succedeva?
Questo il loro primo diario di bordo