L’alto rappresentante per la politica estera europea Borrell (titolo altisonante ma senza un ruolo corrispondente) non si farà rimpiangere quando tra qualche settimana lascerà il suo mandato. Ha insistito anche a Cernobbio per spingere l’Italia a dare il consenso all’Ucraina per colpire il territorio russo con le armi fornite dalla Nato e dai singoli stati, Italia compresa.
Finora il Governo italiano ha prudentemente dichiarato che non è d’accordo con la richiesta ribadita, sempre a Cernobbio, da Zelensky. In questa impostazione le armi servono a difendere il territorio ucraino, non ad attaccare la Russia. E’ evidente che la differenza non è di quantità ma di qualità perché dare il via libera all’attacco in Russia con armi della Nato sarebbe un passo ulteriore, forse l’ultimo, nell’escalation che potrebbe portare al confronto diretto tra Nato e Russia, cioè alla guerra aperta, con i militari europei impegnati sul terreno nella guerra.
In sostanza il rischio è di passare da “aiutiamo l’Ucraina a difendersi” a combattere a fianco degli Ucraini. Qualcuno in Europa e non solo ne ha parlato, Zelensky preme da tempo per questa scelta, per ora senza esito ma siamo ormai abituati a slittamenti successivi nei limiti da rispettare, veri o falsi che siano, nell’uso delle armi fornite dalla Nato e dai pesi occidentali.
Naturalmente continuare a fornire armi non è una scelta indolore, ha coinvolto la Nato e i paesi che si sono impegnati a sostegno in una logica che ha fatto salire enormemente la tensione internazionale, ha diviso il mondo come nel peggiore periodo della guerra fredda, ha messo in crisi trattati sulle armi letali e sul nucleare, scarica sul sacrificio ucraino le conseguenze della guerra. Per l’Italia è discutibile che le scelte fin qui fatte siano coerenti con la Costituzione, certo non lo sarebbe autorizzare incursioni in territorio russo, in ogni caso la questione pace è stato poco più che un termine posticcio, una coda appiccicata. La pace deve tornare in campo, deve ridiventare centrale come prospettiva e obiettivo politico centrale.
Questo nulla toglie alle gravi responsabilità di Putin, non solo nell’invasione dell’Ucraina ma anche nella spinta alla lacerazione delle relazioni internazionali e nel fare un regalo a settori guerrafondai che non aspettavano altro. Oggi il pianeta ha aumentato la spesa in armamenti, sono aumentati i focolai di guerra, le soluzioni latitano perché i conflitti si autoalimentano, senza soluzioni accettabili ed accettate.
Le affermazioni di Borrell confermano purtroppo che la Commissione europea uscente non è capace di distinguere tra Unione Europea, che attualmente non si occupa secondo i trattati di conflitti, eserciti e armi. Non è nei poteri della Commissione europea parlare ed agire come se fosse la sezione europea della Nato.
Il ruolo della Nato è quello di un’alleanza militare, che dovrebbe essere, ma non è, difensiva, come indicano i trattati, sulla base dell’ormai famoso articolo 5 che prevede il soccorso degli alleati quando un componente dell’alleanza è aggredito. Ma l’Ucraina non fa parte della Nato e quindi non ha diritto di invocare l’articolo 5 del trattato, anche se il coinvolgimento dell’Ucraina nelle scelte militari è andato molto avanti, con la partecipazione a riunioni e decisioni, e il sostegno della Nato è andato molto avanti. Basta ricordare le dichiarazioni del segretario generale Stoltenberg, anch’egli in procinto di andarsene dall’incarico di segretario generale della Nato, che ha evocato posizioni simili a quelle di Borrell.
Borrell si chiera per togliere i vincoli all’Ucraina sull’uso degli armamenti - ricevuti da Usa e altri membri - in territorio russo. Tra qualche settimana Borrell non sarà più alto esponente della politica estera europea, quindi potrebbe essere più cauto, invece sente il bisogno di lasciare un segnale al successore.
Analogo atteggiamento quello del segretario generale della Nato Stoltenberg. Tra poche settimane lascerà l’incarico eppure si schiera a sostegno dell’invasione ucraina in Russia, a Kursk, sottovalutandone i contraccolpi politici e perfino l’opportunità militare di una simile scelta che infatti non ha cambiato i rapporti di forza sul terreno in Donbass, anzi induce al sospetto che l’iniziativa sia stata pre concordata.
E’ grave che passo dopo passo i limiti dichiarati invalicabili fino a poco prima vengano superati attraverso un protagonismo di quei paesi della Nato che spingono per forzare la mano e di conseguenza l’Ucraina si sente autorizzata a rivendicare continuamente nuove armi, in maggiore quantità e il superamento dei limiti precedenti di utilizzo. Senza che questo slittamento avvenga chiedendosi dove può portare questo continuo spostamento dei limiti da rispettare.
E’ giunto il momento di chiedersi se non è giunto il momento di una riflessione più di fondo che individui il modo per uscire dalla guerra in Ucraina bloccando i lutti e le distruzioni, per non parlare delle risorse impiegate negli armamenti anziché nella ricostruzione e nel contrasto al cambiamento climatico. E’ evidente che non si può imitare l’uscita americana dalla guerra in Afghanistan ma occorre dispiegare un’iniziativa ampia in grado di puntare al cessate il fuoco e alle trattative necessarie per arrivare, se possibile, alla pace. A meno che qualcuno pensi seriamente di imitare la guerra senza fine di Netanhyau.
Alcune immagini di questi giorni fanno impressione, i campi coltivati di mais servono ad ospitare carri armati e sistemi di lancio che non servono sicuramente alle coltivazioni e all’ambiente.
Non è in campo la proposta di attivare un dialogo di pace in una qualunque forma credibile per cercare di creare le condizioni per tregua e pace.
Tregua e pace non possono che avvenire con il protagonismo dei paesi in guerra, entrambi. La Russia ha aggredito l’Ucraina e questo non può essere dimenticato, l’Ucraina è stata aggredita ma ha certamente contato su un sostegno della Nato che potrebbe portare alla sua entrata diretta in guerra. Quindi ad un conflitto che non potrebbe escludere il disastro nucleare.
A favore della tregua e della pace c’è la stanchezza per una guerra fin troppo lunga che ha portato a lutti e disastri nelle infrastrutture di proporzioni incredibili. Contro c’è la coazione a ripetere della Nato e dei suoi protagonisti, di quello che Eishenower chiamava il complesso militare/industriale, nonché della Russia che si sta convertendo ad economia indirizzata alla guerra, tanto più che l’Ucraina paga pesantemente il prezzo, certamente più della Russia.
I gruppi dirigenti occidentali che hanno scelto di appoggiare l’Ucraina oggi sembrano prigionieri della scelta iniziale, incapaci di cercare e trovare una via d’uscita e parlano di altri miliardi di aiuti in armi e di sostegno militare senza chiedersi se proseguire il conflitto non porterà ulteriori e drammatici danni, compreso il pericolo nucleare.
Bloccare il conflitto usare la tregua per riordinare le idee, convocare una conferenza di pace sul modello di Helsinky, ripristinando il ruolo dell’Onu, questo consentirebbe di inserire le soluzioni in un quadro più ampio di reciproca sicurezza per tutti.
Anche gli Usa hanno proseguito la guerra in Afghanistan per 20 lunghi e terribili anni, poi hanno deciso di chiudere la partita visto che l’unico risultato di tanti errori è stato di far tornare i talebani al potere. Di più il disimpegno americano è stato drammatico, con una sostanziale fuga che ha abbandonato ai talebani i diritti delle donne, la sicurezza delle vita di tanti che avevano creduto nella possibilità di essere liberi in un destino diverso e finanche gli armamenti americani che sono oggi usati dai talebani.
Anziché proseguire per inerzia nella strategia di guerra, ripetendo fino allo sfinimento gli errori, occorre fermarsi e costruire le condizioni per un cessate il fuoco da cui fare scaturire coesistenza e condizioni per la pace.
I gruppi dirigenti europei debbono porsi il problema di come chiudere l’epoca dei Borrell e degli Stoltenberg e spingere gli Usa a costruire un diverso percorso verso la pace. Perché se Biden verrà ricordato per avere chiuso bruscamente all’inizio del suo mandato presidenziale un conflitto come l’Afghanistan verrà ricordato anche per averne lasciato aperti almeno due: Ucraina e Israele/Palestina. E’ sperabile che Kamala Harris vinca le presidenziali, visto il pericolo che Trump rappresenta per la democrazia, ma occorre anche creare le condizioni perché venga ascoltata l’opinione di chi vuole chiudere i conflitti, rilanciare trattative, coesistenza tra diversi, nuovi trattati per ridurre armi convenzionali e nucleari. Insomma per riprendere la via che in passato era sembrata possibile e che oggi è stata smarrita.
Un primo contributo in questa direzione potrebbe essere che nell’esaminare i singoli commissari europei il parlamento si esprima nelle domende e nei giudizi con chiarezza per chiudere l’epoca dei Borrell e iniziarne una nuova. Il ruolo degli alleati non può essere quello di gareggiare nella fedeltà acritica, ma deve essere quello di convincere a non insistere negli errori ma di aprire nuovi scenari e nuove iniziative e l’Europa può svolgere questo ruolo a condizione che recuperi la sua autonomia.
Alfiero Grandi