La nuova maggioranza che ha espresso il governo Conte 2 ha deciso di approvare il taglio dei parlamentari nella versione già approvata in 3 letture al tempo del Conte 1. Purtroppo sotto la pressione del M5Stelle l’accordo di maggioranza prevede l’approvazione definitiva della legge costituzionale che taglia i deputati (ridotti a 400) e i senatori (ridotti a 200) e l’8 ottobre è stata approvata in quarta e ultima lettura. Va ricordato che il Pd e Leu avevano votato contro per 3 volte e solo alla quarta votazione hanno capovolto la posizione, sottovalutando il peso della decisione e senza spiegare adeguatamente le ragioni del capovolgimento di posizione. Così l’impressione è della serie: il nuovo governo con i 5 Stelle vale il sacrificio, lasciando l’impressione che la conduzione della trattativa sia stata inadeguata su una materia tanto delicata. Dopo questa piroetta sono stati individuati due correttivi per riequilibrare la scelta: la modifica di altre norme costituzionali e una nuova legge elettorale.
Prendendo per buone queste intenzioni va sottolineato che l’ulteriore modifica costituzionale che parificherebbe l’età per eleggere i senatori e per essere eletti ha una contraddizione logica con la giustificazione della presenza di due camere. Come è noto il nostro è un bicameralismo con poteri paritari ma con elettorati ed eletti diversificati sulla base dell’età e delle modalità di elezione. Se questa restasse l’unica differenza tra loro è meno comprensibile perché debbano restare due camere ormai identiche in tutto ma entrambe con una capacità di rappresentare i cittadini e i territori ridotta di un terzo. Chi sostiene meglio una sola Camera ma con numeri adeguati non ha torto. Per completezza di ragionamento va ricordato che c’è chi sostiene con buoni argomenti che due camere porta a due distinte approvazioni del testo delle leggi, consentendo un maggiore controllo e forse di evitare errori.
Resta il fatto che due camere ridotte di un terzo dei componenti sarebbero meno rappresentative dei cittadini, dei territori, del pluralismo politico. Tanto è vero che un’altra modifica costituzionale presente nell’accordo di maggioranza riconosce questo problema e punta a superare l’elezione dei senatori su base regionale in modo da consentire di arrivare ad una ripartizione nazionale, come per la camera. In questo modo ci sarebbe la possibilità di elezione anche dei rappresentanti di partiti minori. Infatti ridurre a 200 i senatori ha come conseguenza che il numero per regione sarebbe molto ridotto e di fatto in quelle piccole potrebbero essere eletti solo i rappresentanti di uno, al massimo due partiti, con una distorsione enorme e un maggioritario implicito con soglie altissime. Per chiarire: la legge può anche prevedere un sistema proporzionale ma resta solo teorico se gli eletti possono essere solo 1 o 2, senza collegio nazionale di recupero. In questo caso parlare di proporzionale in sostanza è un trucco.
Non a caso la Lega di Salvini, spinta da sondaggi e risultati favorevoli, ha virato seccamente verso il maggioritario, promuovendo addirittura un referendum abrogativo per cancellare il proporzionale dalle leggi attuali, sia nel rosatellum vigente che nella sua versione fatta approvare da Calderoli e da applicare dopo il taglio dei parlamentari. Questo referendum probabilmente non ci sarà perché è stato proposto un testo cervellotico, complicato, difficilmente approvabile dalla Corte costituzionale perché lascerebbe il nostro paese senza una legge elettorale immediatamente applicabile, come prevede una sentenza precedente della Corte. La Lega va per le spicce, è convinta di avere le condizioni per fare cappotto nell’elezione del parlamento con un maggioritario spinto e ha rivelato le vere intenzioni quando ha detto apertamente che punta all’elezione diretta del Presidente della Repubblica nel 2029. Tuttavia la Lega vuole salvare il lato più nefasto del rosatellum: la nomina dall’alto dei parlamentari. Perché come è noto oggi gli elettori possono scegliere solo la lista da votare. Con la legge in vigore viene eletto solo chi ha il posto giusto nella lista come deciso dai capi partito. Basta ricordare come Renzi ha maneggiato le liste del Pd nelle ultime elezioni assicurandosi una maggioranza di eletti nei gruppi parlamentari che in parte lo hanno seguito anche nella scissione dal Pd, consentendogli di formare nuovi gruppi parlamentari.
Le altre modifiche costituzionali concordate dall’attuale maggioranza riguardano la riduzione della presenza dei delegati regionali nell’elezione del Presidente della Repubblica, da riequilibrare per la riduzione dei parlamentari. Sulla nuova legge elettorale è buio pesto. Il proporzionale che all’inizio sembrava possibile è entrato subito nel tritacarne dei sostenitori del maggioritario che ora si fanno forti anche della pressione della Lega. Così si rischia seriamente di arrivare alla paralisi e quindi all’impossibilità di approvare una nuova legge elettorale degna di questo nome, rischiando di lasciare quella che c’è. Non rassicurano gli impegni ad approvare entro date approssimative la nuova legge elettorale, mentre la riduzione dei parlamentari è già approvata se non interverrà il referendum costituzionale, unico strumento ancora disponibile per bocciarla, come avvenne nel 2016 per la proposta renziana di deformazione della Costituzione.
Al Senato le firme già raccolte per arrivare al referendum sono circa i 2/3 di quelle necessarie. Visto che la G.U. ha pubblicato il testo della riduzione dei parlamentari il 12 ottobre c’è tempo fino al 12 gennaio per promuovere il referendum costituzionale con le firme già raccolte dovrebbe essere possibile arrivare al traguardo. E’ sperabile che si arrivi al quorum necessario per ottenere il referendum per diverse ragioni. La principale è la necessità di fare esprimere gli elettori su una modifica centrale della Costituzione. Il taglio dei parlamentari è stato presentato come un grande risparmio, ma non è così. Non solo perché il risparmio è lo 0,007 del bilancio dello stato e i 5 Stelle per arrivare a dimostrare che si tratta di cifre importanti hanno dovuto arrotondare di molto la cifra e moltiplicare il risparmio di un anno per 10 anni, tanto valeva farlo per 20.
In ogni caso il problema non è la quantità dei risparmi. Semplicemente non si può affrontare il ruolo del parlamento partendo dai risparmi perché il suo ruolo costituzionale è centrale e decisivo nella nostra democrazia. È vero che la credibilità del parlamento è caduta, ma non solo la sua. Le ragioni di questa crisi di credibilità stanno nella modalità di scelta dei parlamentari che di fatto sono nominati dall’alto con il risultato di un abbassamento della loro qualità. Purtroppo il primo criterio per la loro scelta è la fedeltà, così pesa sul parlamento un eccesso di ruolo del governo che concepisce il parlamento come sede per l’approvazione delle decisioni già prese, inoltre pesano le decisioni prese fuori dal parlamento, sia con piattaforme come Rousseau che con decisioni di partito che tendono a vincolare i comportamenti parlamentari anche su materie dove è riconosciuta da sempre la libertà di coscienza. In sostanza queste ragioni aggiunte all’uso spregiudicato dei voti di fiducia, dei decreti leggi approvati senza reali ragioni di urgenza, a un esagerato uso delle espulsioni dai gruppi parlamentari come ricatto mettono il ruolo dei parlamentari in un angolo. Questo percorso è iniziato anni or sono all’insegna della maggiore governabilità, che forse era insufficiente ma ora è il ruolo del parlamento che è negletto. Tagliare il numero dei parlamentari significa scaricare sul loro ruolo di rappresentanza i difetti e le responsabilità di altri: di governi invadenti, dell’assenza di partiti funzionanti con una reale vita democratica, visto che ormai siamo alla lotta tra partiti personali.
Per questo il taglio dei parlamentari non è affatto una questione marginale, con l’aggravante che c’è una totale incertezza sulla legge elettorale, che crescono i contrasti verso il proporzionale e quindi la certezza che siano i cittadini a decidere chi li deve rappresentare. In queste condizioni il taglio dei parlamentari è una scelta non convincente, demagogica e a questo punto può ribaltarlo solo il referendum popolare. Con il referendum ci sarebbe la possibilità di avere un confronto politico nella campagna elettorale. Potere esprimere riserve e contrarietà è il sale della democrazia e per questo è bene che si arrivi al referendum costituzionale, se i senatori arriveranno a promuovere questa scelta dimostreranno che i parlamentari possono svolgere un ruolo importante.