Autonomia differenziata: i cacicchi stiano lontani

di Massimo Villone - Ilfattoquotidiano.it - 20/10/2024
Una questione cruciale come l’AD non può e non deve ridursi a uno scontro tra cacicchismi. Ma grazie, Zaia. Certificando che con l’abrogazione della Calderoli nulla cambierebbe ha cancellato uno dei falsi argomenti per l’inammissibilità del referendum: che sia una legge “costituzionalmente necessaria”.

Si surriscalda il fronte dell’autonomia differenziata (AD). Leggiamo (Corriere del Veneto, 16.10) di Zaia in Consiglio regionale, ed è un presidente double face. Da un lato, non ha ripreso il tema dell’AD come madre di tutte le battaglie. Anzi, ha scelto il profilo basso: sono richieste minimali. Dall’altro, ha comunicato che anche nel caso di abrogazione della legge Calderoli l’AD non si ferma. Perché – ed è questo il dato davvero significativo – la legge Calderoli non è necessaria. Mentre c’è anche chi dice che di fronte a un rifiuto i veneti “romperanno l’ordine costituzionale” (Mattino di Padova, 16.10).

Pulsioni in stile catalano? Non c’è dubbio che l’iniziativa presa con il referendum abrogativo e i ricorsi delle regioni in Corte costituzionale avverso la legge 86/2024 abbiano aperto una nuova fase. La questione AD era rimasta sostanzialmente coperta dal subappalto dato da Meloni ai leghisti e gestito con indubbia abilità dal ministro Calderoli. Un calcolo politico sbagliato di Meloni, probabilmente nell’illusione che l’AD fosse automaticamente bilanciata dal premier assoluto che era il suo vero obiettivo. La rivolta dei ministri – con accenti diversi, Tajani, Musumeci, Piantedosi e ora anche Valditara – le segnala che l’AD è un gioco a somma zero. Quello che va in periferia si toglie a Palazzo Chigi, a Montecitorio, a Palazzo Madama.

Meloni ha un problema in casa, e dovrà decidersi ad affrontarlo nel merito prima che le sfasci il governo. Intanto, agli oppositori dell’AD suggeriamo di guardare con attenzione al passaggio in Consulta. Per l’ovvio motivo che il referendum può cancellare la legge Calderoli, che però – come Zaia stesso dice, e per una volta dice il vero – non è necessaria. Quindi anche se il referendum abrogativo vincesse le eventuali intese successivamente adottate in base all’art. 116.3 della Costituzione non ne sarebbero toccate dal punto di vista giuridico. Mentre una pronuncia della Consulta di illegittimità costituzionale della legge Calderoli potrebbe – definendo una corretta lettura dello stesso art. 116.3 – porre argini a ogni successiva attuazione.

L’importanza la cogliamo ancora sul Corriere del Veneto (17.10), che titola sul dossier delle richieste regionali: “Soprintendenze, porti, autostrade. Il Veneto punta al bersaglio grosso”. Il giornale racconta che la parte più pesante attiene alle materie Lep, tra cui cita ambiente, istruzione, lavoro, beni culturali, energia e altro. Sui Lep, costi e fabbisogni standard non sfugge che Calderoli ha mostrato di volere un passo spedito, con il sostegno del Clep di Sabino Cassese. Già non sono mancate polemiche sui Lep differenziati per territorio, e sui conflitti di interesse di componenti della filiera decisionale. Il Mattino di Padova (15.10) ci informa in specie che la scuola rimane obiettivo primario. In tale contesto il buonismo di Zaia è una rappresentazione teatrale.

Non è una risposta la mossa del presidente campano De Luca di presentare in parlamento emendamenti alla legge Calderoli. Porrebbero il finanziamento dei Lep come condizione per il trasferimento di funzioni, il divieto di stipulare contratti regionali per sanità e scuola, la previsione di uguali dotazioni di personale e uguali risorse per cittadino nel riparto del fondo sanitario. Lo scopo dichiarato – se bene intendiamo – è evitare il referendum. Per i più, è una mossa nella partita per il suo terzo mandato. È uno schiaffo a elettrici ed elettori della Campania che hanno messo la Regione al primo posto nella raccolta di firme. Contraddice la presentazione di un ampio e ben argomentato ricorso in Consulta contro la legge. Mentre è chiaro che la proposta coglie uno spettro assai limitato dei problemi posti dall’AD. Per la Campania e il Mezzogiorno si richiedono politiche di riequilibrio territoriale di portata nazionale – in specie infrastrutturali – che l’AD in chiave leghista rende in prospettiva impossibili.

È una consapevolezza che cresce anche nel Nord. Un documento del PD di Lombardia, Veneto e Piemonte (Bresciaoggi, 17.10) sottolinea tra l’altro la necessità di rivedere l’art. 117.3, riportando allo stato alcune materie strategiche. E si censura la scelta delle commissioni paritetiche in ogni regione per la gestione delle intese. Punto sul quale qualcuno in parlamento dovrebbe chiedere a Giorgetti come pensa di gestire il bilancio con il coordinamento della finanza pubblica frammentato su 21 tavolini separati, secondo il dettato della legge 86.

Una questione cruciale come l’AD non può e non deve ridursi a uno scontro tra cacicchismi. Ma grazie, Zaia. Certificando che con l’abrogazione della Calderoli nulla cambierebbe ha cancellato uno dei falsi argomenti per l’inammissibilità del referendum: che sia una legge “costituzionalmente necessaria”.

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