Sono in svolgimento presso la I commissione Affari costituzionali del Senato le audizioni sull'AS 615, a firma Calderoli, volto all'attuazione dell'Autonomia regionale differenziata. Molte le opinioni contrarie, che hanno variamente argomentato la lesione di principi fondamentali di eguaglianza dei diritti e di unità del Paese.
Nulla di nuovo. Dubbi e perplessità sono venuti in passato da soggetti non sospettabili di partigianeria, come l'Ufficio parlamentare di bilancio, il Dipartimento affari giuridici e legislativi della Presidenza del consiglio (Dagl), Bankitalia, e da prestigiosi istituti di ricerca come la Svimez. Persino l'autorevole S&P ha sottolineato la prospettiva di un aumento dei divari territoriali e delle diseguaglianze. Nella stessa linea si collocano le ultime raccomandazioni Ue all'Italia.
Per contro, dai sostenitori dell'Autonomia differenziata sono venute nel tempo e continuano ancora oggi affermazioni del tutto indimostrate e indimostrabili di eguale convenienza per tutti, di efficientamento del sistema Italia, di risparmi nella spesa, di responsabilizzazione del ceto politico. Una pubblicità ingannevole per un prodotto palesemente avariato.
Avvertiamo così la diffidenza di Confindustria, che emerge anche dall'intervento di Vito Grassi in audizione in Senato. Cogliamo la contrarietà del mondo del lavoro, testimoniata in audizione e a Napoli con la manifestazione in Piazza Dante. Conosciamo i timori dei medici che l'Autonomia differenziata dissolva quel che resta del servizio sanitario nazionale. Abbiamo avvertito la volontà dei docenti di difendere la scuola pubblica statale come presidio dell'identità stessa del paese. Abbiamo colto la contrarietà di tanti sindaci, che temono un neocentralismo regionale più aggressivo e soffocante di qualsiasi centralismo statalista. Persino i sondaggi
pubblicati su questo giornale ci dicono che nel paese c'è una maggioranza contraria. Ma allora chi vuole davvero la riforma?
Alla fine, è il ceto politico, e in specie quello regionale. Sul Foglio Claudio Cerasa - certo non sospetto di sinistrismo radicaleggiante - scrive che in Italia la lobby più influente è quella dei presidenti di Regione. È così. Il coro di governatori che ha sostenuto da destra e da sinistra la nomina di Bonaccini a commissario per l'emergenza Emilia-Romagna avvalora la tesi, come le interviste a raffica di Zaia e dei suoi sodali. Allora non è un caso che Calderoli con l'AS 615 abbia ristretto la formazione delle intese aiia base òeii'Autonomia differenziata a una trattativa tra sé stesso e gli esecutivi regionali, mettendo ai margini il parlamento e le autonomie locali.
Ha scelto gli interlocutori che da una disarticolazione dello Stato qualcosa guadagnano: risorse, funzioni e potere i più forti; funzioni e potere senza risorse gli altri. E per questi ultimi migliorare la qualità della vita dei cittadini che rappresentano è al più un optional.
Per questo nella mia memoria per l'audizione in Senato ho scritto emendamenti all'AS 615 volti a ridare al parlamento le scelte di merito sull'Autonomia differenziata.
Mettiamo le decisioni nelle mani di chi rappresenta tutto il paese, e non trae personale vantaggio da quello che decide.
Ho altresì alzato un argine alla bulimia competenziale delle Regioni partendo dall'elenco di funzioni statali nelle materie suscettibili di Autonomia differenziata, predisposto dallo stesso ministero per le Autonomie. È ben vero che l'AS 615, legge ordinaria, non può porre limiti giuridicamente insuperabili alle successive leggi che approveranno le intese con le singole Regioni. Mal'AS 615 può intanto vietare - ed è quello che propongo - al ministro per le Autonomie di trattare il trasferimento alle Regioni di funzioni strategiche per l'unità del Paese e l'eguaglianza dei cittadini, e al presidente del Consiglio di stipulare le conseguenti intese. Si attiva così un circuito di responsabilità politica, che potrà indurre ravvedimenti operosi nella_maggioranza, e offrire armi per la battaglia in Aula all'opposizione.
Naturalmente, è solo una mano in una partita più complessa. Bisognerà rivedere il Titolo V della Costituzione riformato nel 2001, dal quale vengono i problemi. A questo fine presentiamo oggi formalmente in Senato, per l'avvio dell'iter parlamentare, il disegno di legge di iniziativa popolare per la modifica degli artt. 116.3 e 117 sul quale ho tante volte chiesto la firma su queste pagine. Ne abbiamo raccolte centomila, e per aprire nella istituzione che tutti ci rappresenta un confronto senza rete sicuramente bastano.
Per il dopo si vedrà.