La conferenza Stato-Regioni ha dato semaforo verde alla proposta di legge-quadro sull’autonomia differenziata del ministro Boccia, che vuole portarla al più presto in consiglio dei ministri. Si dice che insista per presentarla addirittura come emendamento alla legge di bilancio. Si alzano nella maggioranza, che ne discuterà domani, mercoledì, voci nettamente contrarie. È una scorciatoia pericolosa, soprattutto per la possibilità – non remota – che la legge di bilancio finisca in un tunnel di maxi-emendamenti che metterebbero il bavaglio alle assemblee. Assistiamo, per una parte, a una piéce teatrale in cui ciascuno si rappresenta come più furbo degli altri.
La proposta di Boccia è debole. Anzitutto, sulla legge-quadro non può fondarsi una intesa generale vincolante per tutte le regioni, che assicuri eguaglianza nei diritti e solidarietà. Ai sensi dell’art. 116, co. 3, Cost., ciascuna regione avrà comunque la sua intesa con relativa legge di approvazione. La legge sopravvenuta recante l’intesa con la singola regione è legge rinforzata e legge speciale rispetto alla legge quadro, alla quale può sovrapporsi, cancellandola o modificandola. Sembra saperlo Zaia, che non chiude la porta alla legge-quadro, ma dichiara che il Veneto vuole comunque la propria intesa, con l’autonomia nelle 23 materie già richieste (Corriere del Veneto, Venezia-Mestre, 29 novembre). L’assenso non gli costa nulla, perché tutto rimane come prima. Davvero furbo.
D’altronde, la legge-quadro nemmeno prova – nel testo fin qui noto – a porre argini insuperabili. Per molti mesi c’è stato un duro scontro sulla necessità che i livelli essenziali delle prestazioni (lep), fondati su fabbisogni standard, precedessero l’attribuzione di maggiore autonomia. Invece, la proposta Boccia (art. 1 co.1, lett. d, e art. 2, co. 1) esplicitamente prevede che i lep siano definiti dopo la legge che approva la maggiore autonomia. Specifica, altresì, che se i lep non fossero stabiliti entro i dodici mesi successivi all’approvazione della legge-quadro si procederebbe sulla base della spesa storica, che è in danno del Mezzogiorno. Il punto è ormai ampiamente provato. Lo sanno anche i governatori del Sud che fino a ieri chiedevano prima i lep. Davvero furbi.
Inoltre, i lep non garantiscono l’eguaglianza, ma pongono solo argini – la cui altezza è decisa dalla politica – all’eccesso di diseguaglianza. Ad esempio, il governatore De Luca lamenta il sotto-finanziamento della Campania nella sanità: 1.723 euro per cittadino rispetto a un valore medio nazionale di 1.866 euro pro capite (Mattino, 29 novembre). Dice il vero, e lo squilibrio deriva essenzialmente da una distribuzione delle risorse tra regioni in cui si privilegia il parametro dell’età media. Sarebbe questo divario sanato dai lep, se rimanesse fermo il parametro dell’età? No. Dunque, una lista di attesa fissata in misura eguale per tutto il paese potrebbe bene essere abbreviata da una regione sovra-finanziata rispetto alle altre appostando maggiori risorse. Inoltre, a quanto si legge c’è chi pensa a Lep più alti per le regioni più ricche (Zaia, Quotidiano del Sud, 29 novembre). Eppure, il governatore Emiliano dichiara che con i lep tutti avranno prestazioni eguali (Stampa, 29 novembre). Davvero furbo.
Infine, la legge-quadro non pone alcun argine a un’Italia di staterelli. Si regionalizzano la scuola, presidio identitario dell’unità nazionale, le infrastrutture strategiche come strade, autostrade, ferrovie, porti, aeroporti, il demanio statale, la tutela ambientale, la sicurezza del lavoro, e magari la cassa integrazione? È del tutto improbabile che un’Italia frantumata possa o voglia fare le forti politiche di riequilibrio territoriale che sarebbero interesse primario del Mezzogiorno. Ma i governatori del Sud possono trovare una propria convenienza nell’aumentato potere di gestire risorse e consensi. Davvero furbi.
In realtà, poco o nulla può cambiare, se rimane in campo il disegno politico di favorire l’aggancio all’Europa dei forti della locomotiva del Nord, separandola da un Sud più lento da ridurre a colonia. Per questo preoccupa l’accelerazione voluta da Boccia, specie se da spiegare essenzialmente come assist a Bonaccini per il voto – importante, ma non epocale – in Emilia-Romagna. Per questo non ci basta che Conte si rifugi nelle promesse di piani futuri, mentre definisce equilibrata la proposta Boccia senza coglierne limiti e rischi. Fino a quando non si accetterà l’idea che l’unità del paese rende tutti più forti, e dunque conviene al Nord come al Sud, rimarremo nella sagra delle furberie.