Referendum troppo facile, «smaccatamente inammissibile», che delegittima la Costituzione: queste alcune delle critiche apparse sui quotidiani in questo caldo agosto, mentre firme raccolte e diffusione dei banchetti mostrano una partecipazione straordinaria.
Qualche osservazione.
PRIMO, sulla «facilità». I numeri prodigiosi delle sottoscrizioni on line non possono essere liquidati con la facilità del click. Lo strumento tecnico aiuta, ma alla base vi è inequivocabilmente una diffusa contrarietà all’autonomia differenziata à la Calderoli, come banalmente dimostra la comparazione con la scarsa sottoscrizione degli altri quesiti presenti sul sito. Del resto, accanto al dato dell’on line, vi è l’affluenza, anch’essa fuori dal comune, ai banchetti, insostituibili nell’opera di informazione e creazione di consapevolezza attraverso il dialogo. L’organizzazione capillare in tutti i territori racconta della presenza di un vero movimento, dove il soggetto è il cittadino che esercita la partecipazione effettiva che costituisce il cuore della sovranità popolare, non il cittadino automa che schiaccia qualche pulsante.
SECONDO. Il Parlamento non è minacciato dal referendum – Calderoli (intervista a Il Sole 24 ore del 9 agosto 2024) paventa il rischio di una sua paralisi – ma dalla pervasiva colonizzazione del governo. Il referendum è uno degli ingranaggi che compongono il meccanismo complesso della democrazia costituzionale per equilibrare e limitare il potere, una delle forme e dei modi nei quali si esercita la sovranità popolare, agendo in via integrativa (ed oppositiva) rispetto alla maggioranza parlamentare.
TERZO. «Tutti poi sanno che il referendum è smaccatamente inammissibile»: l’affermazione del ministro Calderoli è perentoria. Ora, nel contesto di una giurisprudenza costituzionale lungi dall’essere univoca, l’ammissibilità ha a suo sostegno forti argomenti. È stato ricordato più volte su queste pagine: il collegamento con la legge di bilancio non dà luogo ad una automatica sottrazione al referendum («al di là della loro qualificazione formale», devono essere valutati gli effetti e il legame con la disciplina di bilancio, si legge nella sentenza 2 del 1994 della Corte costituzionale; l’insistenza sull’invarianza di bilancio nel testo della legge contraddice il fatto che vi siano effetti sullo stesso); la legge Calderoli non è una legge costituzionalmente necessaria (l’articolo 116, comma 3, delinea già un procedimento, come nella prassi dimostra la presenza delle pre-intese Gentiloni); il quesito è omogeneo in quanto volto ad abrogare l’intero procedimento e la sua ratio.
QUARTO. Dalle parti del Pd, l’ala moderata si spinge a sostenere che il referendum delegittimerebbe la Costituzione (lettera di Morando e Tonini su il Corriere della sera, 17 agosto 2024). Ora, certo la richiesta di abrogazione della legge n. 86 del 2024 veicola un’idea di regionalismo solidale e non competitivo, ma questo proprio in piena coerenza con i principi costituzionali di unità, solidarietà, uguaglianza. La nota stonata è l’autonomia declinata come riproduzione e non rimozione delle diseguaglianze, come volano per lo svuotamento della democrazia come sociale. E, per inciso, qui sta il senso dell’abrogazione totale e non di un quesito parziale che si pone in un’ottica meramente riformista.
QUINTO. Di diritti, lep ed efficienza. I lep – sostiene Calderoli – sono legati a costi e fabbisogni standard per impedire che «il diritto a certe prestazioni non si trasformi nel pretesto a sostenere una spesa senza limiti», ma «è la garanzia dei diritti incomprimibili ad incidere sul bilancio, e non l’equilibrio di questo a condizionarne la doverosa erogazione» (Corte costituzionale, sentenza n. 275 del 2016). Il diritto è stato ridotto al suo livello essenziale, quindi, la garanzia del livello essenziale è stata surrogata dalla sua determinazione e subordinata all’equilibrio di bilancio: cosa resta dei diritti? Quanto alle patenti di efficienza, la prova lombarda della pandemia suscita più di qualche dubbio e il diritto di «farsi curare a casa propria», di per sé ineccepibile, ha immediate e assai sgradevoli assonanze con il diritto di «aiutarli a casa loro».
Il cuneo del finazcapitalismo insinuato nella Costituzione con l’inserimento del pareggio di bilancio opera in sinergia con la pessima riforma del Titolo V, spacca il territorio e apre uno squarcio nei principi fondamentali, mirando a sostituire il dominio del profitto alla centralità della persona. Continuiamo a firmare.