Si avvicina la fine di un anno molto difficile per la politica italiana: la caduta del primo governo Conte, poi la nascita del secondo governo retto ancora da Conte e appoggiato da M5S, Pd, Leu, poi Italia Viva. Un cammino complicato dalla difficile coabitazione tra due partiti (cinquestelle e dem) che si sono a lungo combattuti, considerandosi vicendevolmente incompatibili e alternativi. Eppure passo dopo passo questo governo ha varato la manovra finanziaria e si appresta a compiere una approfondita ricognizione sul percorso successivo per scrivere riforme più incisive che rilancino un’economia perennemente in difficoltà.
Una delle novità più significative di questo governo è rappresentata proprio dalla figura del Presidente del Consiglio, salito in testa ai sondaggi per la sua indubbia capacità di tenere le redini del governo in una temperie non semplice. Un personaggio, quello di Giuseppe Conte, che classificato come “uomo di paglia” nel primo governo di fatto retto dal duo Salvini-Di Maio, ora è indiscusso garante dell’equilibrio e della sintesi di una maggioranza difficile ma nonostante tutto ancora in piedi.
Una seconda figura che sta assumendo un importante rilievo è Lucia Lamorgese. La ministra dell’Interno sta dimostrando come si possono affrontare i problemi dell’emergenza migratoria con silenziosa e operosa efficacia, senza specularci per biechi fini politici come era solito fare il suo predecessore.
Una terza novità – anche se non particolarmente positiva – è rappresentata dal ministro per l’Università e l’Istruzione Lorenzo Fioramonti, recentemente dimessosi per ragioni nobili: l’insufficienza dei fondi per il suo dicastero. Problemi che obbiettivamente potevano esseri risolti in altro modo se solo ci fossero state anche motivazioni politiche più profonde. Questa è a mio avviso una testimonianza della grave fase attraversata dal M5s: la destra, infatti, non molla la presa e in quest’anno Matteo Salvini ha collezionato vittorie su vittorie nelle elezioni amministrative. Ora l’ex ministro ha ripreso la sua perenne campagna elettorale in vista dei due importanti appuntamenti del 26 gennaio, le Regionali in Emilia Romagna e in Calabria.
Lo scopo che si propone è chiaro e semplice: sfondare le linee vincendo soprattutto in Emilia Romagna, assestando il colpo definitivo al Pd e al governo che non reggerebbe la prova di una sconfitta di questa portata. È un’eventualità non impossibile dal momento che la Lega è stato già il primo partito in Emilia Romagna alle recenti elezioni europee. Sul piano locale, la forza di coesione del centrosinistra è maggiore: la situazione economico-sociale è certamente migliore di altre aree del paese in molti settori, nonostante non manchino difficoltà e zone d’ombra. Il risultato si deciderà all’ultimo voto anche grazie all’attuale legge elettorale, che assegna la vittoria al candidato presidente che prende anche solo un voto in più del suo diretto concorrente (la genialità dei legislatori di questa stagione è stata demenziale).
Sulla strada di una vittoria della destra a trazione leghista però si sono frapposte le Sardine: il quartetto di ragazzi bolognesi ha riempito piazza Maggiore e, nei giorni successivi, tutte le maggiori piazze d’Italia, in un crescendo di entusiasmo, allegria, comunicatività che ha messo fortemente in discussione l’egemonia mediatica del leader leghista, il cui linguaggio muscolare e allusivamente violento, è stato decisamente surclassato dalla loro narrazione moderata e antirazzista.
Piazze enormi, festose, pacifiche e tumultuosamente creative, stanno rivelando che c’è un popolo che aspetta una proposta alternativa alla destra: il paese può svoltare in una direzione del tutto opposta a quella che sembrava aver imboccato fino a due mesi fa. Non è un progetto politico finito, non è un partito, non è un programma, non è un apparato ma sta assumendo le caratteristiche di un movimento in grado di incidere pesantemente sull’orientamento elettorale del paese. O, almeno nel breve periodo, sembra in grado di fermare l’emorragia di voti nelle sinistre e nell’area democratica in generale, causata da un lungo periodo di crisi irrisolta.
Riuscirà questo movimento a compiere la “rivoluzione gentile” che si propone con la sua dimensione collettiva e comunitaria, giovane, spregiudicatamente ingenua e autentica? Non lo sappiamo ma certo possiamo dire che le loro quotazioni e la credibilità salgono senza subire battute d’arresto. Se la prova di gennaio dovesse risolversi positivamente per la sinistra, allora vorrà dire – lo afferma Massimo Cacciari con lucidità – che la sinistra dovrà aprire le porte a questo movimento per contaminarsi e rigenerarsi. Cosa di cui ha un estremo e vitale bisogno.