Repubblica Bologna ci informa (28 ottobre) che Letta ha incontrato i governatori di area Pd (Puglia, Campania, Lazio, Emilia-Romagna rappresentata da Baruffi). Obiettivo, concordare sull’autonomia differenziata una linea che non spacchi il paese.
Intento encomiabile. Se non fosse che il Pd ha già fatto la sua parte per spaccarlo, con la firma dei pre-accordi del 28 febbraio 2018 e la successiva sepoltura del tema sotto un fragoroso silenzio. Il problema ha sempre avuto un nome: Bonaccini. Che, ci dice Repubblica Bologna, si mostra oggi prudente. Ovvio. Aver camminato a braccetto con Zaia e Fontana per anni può creare qualche difficoltà nella corsa alla segreteria. Il neo-ministro Calderoli gli regala sul Corriere della sera (28 ottobre) un endorsement, annoverandolo con il toscano Giani tra “i più convinti sostenitori” dell’autonomia differenziata. L’avevamo sospettato.
Che impressione farebbe al Sud il Pd con un segretario sodale di ministri e governatori leghisti? Il punto è che il Pd è oggi, nella sostanza, un assemblaggio di potentati locali, largamente autoreferenziali. Nel feudalesimo di partito alla fine vincono i più forti. In Emilia-Romagna più che altrove rimangono vestigia dell’antica forza organizzata. Per questo Bonaccini mantiene, nonostante tutto, la pole position. E si vuole agevolare l’assalto alla segreteria narrando di una richiesta di autonomia soft, tale da non recar danno al paese. Un argomento contestabile e contestato. In questa chiave il Pd veneto propone – e riceve l’avallo di Letta – di ridurre a 7 le 23 materie chieste da Zaia.
Più in generale, il Pd richiama la legge-quadro e i livelli essenziali delle prestazioni (Lep). Strategia debole, tecnicamente e politicamente non in grado di impedire la frammentazione del paese, o ridurre il divario Nord-Sud. A voler essere generosi, non un progetto per il futuro dell’Italia, ma un tentativo di ridurre il danno temuto da un progetto altrui. Lo stesso Letta in piena campagna elettorale ha presentato per il Sud la Carta di Taranto, in cui le parole “autonomia differenziata” nemmeno comparivano. Invero, il Pd stenta a metabolizzare la riduzione o azzeramento dei divari territoriali come strumento necessario a unire il paese.
Tutto il gruppo Pd della Camera ha firmato una interpellanza (Forattini, 2-00001, 25 ottobre) in cui si lamenta che i fondi di rigenerazione urbana sono stati assegnati tutti a comuni del Sud. Si chiede un riequilibrio territoriale. Peccato che l’assegnazione sia stata fatta in base a un indice di deprivazione sociale e materiale elaborato dall’Istat, su dati oggettivi, misurabili e misurati. Indice sul quale tutti avevano concordato. Evidentemente, solo fino a quando si è visto che portava (troppi) fondi al Sud. Chi vuole saperne di più trova un mio articolo del 28 ottobre sulla mia pagina Facebook, o su Coordinamentodemocraziacostituzionale.it.
Quanto al Movimento 5S, secondo Calderoli si oppone perché non hanno capito. È così. Che fosse per distrazione o ignoranza importa poco. Se avessero capito non avrebbero accettato senza battere ciglio – essendo forza parlamentare dominante con cassaforte elettorale nel Mezzogiorno – l’autonomia differenziata come priorità in tre successivi governi. Oggi pare che il nuovo M5S sia fermamente contrario. Vedremo.
Con le emergenze in atto, e i limiti oggettivi all’azione dell’esecutivo, le riforme possono ben essere il solo modo in cui la maggioranza riuscirà a dare segnali di esistenza in vita. L’abbinamento tra autonomia e presidenzialismo nel programma di governo evidenzia lo scambio, ma i tempi della prima sono più brevi. Non a caso, Calderoli vuole arrivare in Consiglio dei ministri entro Natale, alla Camera entro maggio, e in Senato entro il 22 ottobre. Ci dice di voler ripartire dalla legge quadro, che evidentemente ritiene non ponga ostacolo – ed è così – al disegno leghista.
Cosa potranno e vorranno fare le opposizioni? Vedremo. Intanto, potrebbero pretendere un dibattito parlamentare, in cui il ministro esponga i suoi propositi e definisca un percorso che renda in ogni momento visibile il work in progress. Basta con lo spacchettamento dello Stato a trattativa privata e occulta con singole regioni. Il ministro ci dice che da amante del maiale e dei suoi derivati non butta via niente. Ma butti via almeno le worst practices di chi lo ha preceduto. Se lo farà, possiamo per parte nostra impegnarci a buttare via non lui, ma solo le sue proposte.