Pensioni, educazione, dignitá nei contratti di lavoro del settore docente, riforma del sistema di salute, no alle “zone di sacrificio” adibite all’estrazione mineraria e all’assassinio di un capo Mapuche, innalzamento della fattura dell’elettricitá e l’innalzamento del salario minimo. Fin’ora erano questi i temi dei reclami nelle manifestazioni a Santiago del Cile che ho visto quest’anno.
Alcune riforme in relazione ai temi sopra indicati erano state fatte, come innalzamento del salario minimo del 10%. Gli scioperi dei professori e le manifestazioni piú o meno massive sono stati spifferi di una pentola a pressione che il giorno 18 Ottobre é scoppiata.
Il Cile é un paese privatizzato (salute, educazione, perfino l’acqua). Uno dei paesi piú “ricchi” e piú cari del Sudamerica e tra i piú disuguali.
Lo stipendio minimo equivale a 390 euro e un menú in un bar per il pranzo puó variare tra i 4 e i 12 euro.
Tanta parte della popolazione sopravvive vendendo dolcetti per strada, suona in metropolitana, preparando cibo da vendere alle fermate della metro, vende cerotti, cuffie per il cellulare, chewing-gum, muffins, bevande ecc.
Circa una settimana fa, é aumentato il costo del biglietto della metropolitana per gli orari più trafficati. L’aumento, seppur minimo, non é stato altro che la ciliegina sulla torta di un malcontento che si stava strascicando da lungo tempo. Uno scontento sociale che è stato gestito dai rappresentanti politici facendo satira e dicendo alla popolazione di svegliarsi prima (alle 5 di mattina) per andare al lavoro e che il costo dei fiori é diminuito, per i romantici. Frasi come: “Le persone vanno al consultorio per socializzare” sono state frecce pungenti per una classi sociali che ogni giorno fanno fatica a sbarcare il lunario.
Il Cile é anche un paese dove l’università pubblica ha una tariffa mensile che equivale a un salario minimo. Molti sono i suicidi o i tentativi di suicidio, specialmente fra gli universitari, tanto che in ogni università é presente un servizio di benestare studentesco con psicologi che aiutino i giovani a risolvere questioni di depressione, stress ecc., probabilmente aggravate dalla pressione di debiti o di dover mantenere livelli alti per continuare a beneficiarsi di borse di studio.
E proprio dagli studenti é iniziato il risveglio. La protesta degli studenti di diverse università é stata utilizzare la metropolitana senza pagare il biglietto, come segno di protesta pacifica e disobbedienza civile nel paese latinoamericano che si é liberato, più tardi di tutti gli altri, dalle dittature degli anni settanta e ottanta. Nessuno poteva immaginare che tutto questo sarebbe sfociato in proteste che hanno portato a mettere letteralmente a fuoco e fiamme una capitale di 6.000.000 di abitanti.
Al movimento studentesco si sono sommate famiglie, donne e bambini, uomini che hanno tirato fuori le loro pentole e i loro coperchi e sono scesi in strada a protestare, segno di un malcontento profondo. Inaspettatamente, molte persone hanno iniziato a compiere atti vandalici alle stazioni della metropolitana. Non si tratta di gruppi di infiltrati e nemmeno di una minoranza ridotta. Se da un lato la maggioranza delle persone continuano a manifestare pacificamente e massivamente senza tensioni particolari, molte altre persone hanno dato fuoco a numerose stazioni della metropolitana che abbiamo visto bruciare, cosí come un casello autostradale all’entrata della capitale, autobus, monumenti, vagoni della metropolitana fermi nelle loro stazioni e, ciliegina sulla torta, il grattacielo di Enel.
Santiago brucia!
Si iniziano a saccheggiare supermercati e ad attaccare alcune piccole filiali delle banche più importanti.
La sera del 18 Ottobre il presidente Sebastian Piñera dichiara lo Stato di Emergenza e il 19 Ottobre è ricorso al coprifuoco per garantire la sicurezza nazionale. Ha convocato tutti i partiti politici che hanno rappresentanza in Parlamento per risolvere la questione, ma i principali partiti di sinistra hanno deciso di contribuire solo a patto che Piñera ritiri i militari. Questo, però, non è avvenuto.
La popolazione vuole un cambiamento reale e radicale. Alcuni chiedono elezioni anticipate.
La popolazione che manifesta pacificamente non dichiara apertamente il suo appoggio alle violenze, anzi lo rifiuta, ma non teme di dire alla televisione che comprende che le violenze sono un’espressione importante di malconento di fronte alla corruzione e agli alti stipendi e garanzie di cui godono tanto i politici come l’esercito. E nonostante al coprifuoco, in tanti,senza partito né bandiera, decidono di uscire ugualmente per manifestare e occupare gli spazi pubblici pacificamente.
Intanto continuano i saccheggi ai piú grandi supermercati e nelle principali cittá cilene: Valparaíso, Concepción, La Serena, Antofagasta, Iquique, Punta Arenas. É evidente che il punto non é piú l’innalzamento dei costi della metropolitana della capitale. Tanto politici, come intellettuali e la stessa popolazione che ha occupato le strade danno una lettura profonda del malcontento. Oggi il popolo cileno ha detto “Basta!” come non succedeva da piú di trent’anni. Si marca un passaggio nella storia del paese. Si critica un sistema politico e economico che ha reso il Cile il paese delle più ingiuste diseguaglianze. Sará interessante assistere a quello che succederá nelle prossime settimane. Quanto tempo rimane a questo governo che é stato eletto dalla maggioranza nel 2017? Che cosa succederá dopo tutto questo? Come le proteste saranno capaci di veicolare un’alternativa politica?
Le proteste in Cile si sommano alla situazione di instabilità in Ecuador e in Perù.
Ci aspetta una nuova Primavera Latinoamericana?