Cinque Sì ai referendum per invertire la rotta, se vogliamo fermare una brutta storia

di Maria Paola Patuelli  - ravennanotizie.it - 06/06/2025
Abbiamo, ognuna e ognuno di noi, una responsabilità non piccola, per tenere salde le fondamenta della Repubblica e per impedire che prevalga il peggio. Siamo in attesa del meglio.

Da non poche settimane il pendolo della nostra attenzione oscilla continuamente e a volte disordinatamente fra due poli. Lo stato di salute del mondo, che si trova in forma pessima, come mai prima, dopo la seconda guerra mondiale, e l’attenzione quotidiana con la quale stiamo seguendo la campagna referendaria che ci porterà al voto l’8 e il 9 giugno prossimi.

Alcune Associazioni e Comitati del ravennate stanno cercando di tenere aperto un ponte fra le due dimensioni, perché il tempo che stiamo vivendo è uno e la mondializzazione, un tempo esaltata, ora demonizzata, è arrivata fin sotto il nostro letto. Anche chi non l’ha vista arrivare, ora la vede. E, di nuovo, emergono rive opposte sulle quali costruire ponti è impossibile. Meloni tenta di farsi ponte fra Europa e Trump. Un ponte impossibile da costruire per chi ritiene, come noi, che la bussola siano le Costituzioni scritte dopo la seconda guerra mondiale e la Dichiarazione universale dei diritti, per incontrare amichevolmente Trump, o chi per lui.

E’ possibile, invece, costruire ponti fra chi nel mondo vuole stare per conservare e salvare il buono del passato e per cercare strade nuove di verità e giustizia, e chi non si arrende di fronte alla catastrofe. La catastrofe si annida sicuramente nella guerra, in ogni guerra, che, recentemente, Roberta De Monticelli ha definito nemica della verità. La politica si suicida con le proprie mani se sceglie la guerra come mezzo. Di suicidi ne stiamo vedendo molti, e in contemporanea.

Il suicidio più macroscopico è quello che stiamo vedendo a Gaza. Arrivano immagini che ci fanno correre il rischio di stramazzare e diventare inerti, come colpiti da fulmini. E’ qualcosa di talmente enorme che può farci correre un altro rischio. Quello di pensare o agire solo per Gaza, pensando che le sventure di casa nostra siano piccola cosa, visto che bombe in testa non ci arrivano, per ora, e che cibo ne abbiamo. Troppo, aggiungo.

Consapevoli di questo pericolo, abbiamo deciso invece di fare tessitura fra mondo, Italia, e diritti e lavoro, che si trovano in pessime condizioni. Il tempo che stiamo vivendo resterà nei libri di storia? Non ne dubito. Nei libri di storia, anche in quelli che la gioventù studia, a scuola, si racconta della guerra dei contadini in Germania, nel 1525, che finì in un massacro, più di contadini che di signori, della strage della notte di San Bartolomeo nel 1572, in Francia, quando cattolici massacrarono ugonotti, forse trentamila, fra cui donne e bambini, della Comune di Parigi del 1871, sempre in Francia, altro massacro, della tratta degli schiavi, fra Africa e cosiddetto Nuovo Mondo, dell’Apartheid, che un genio etico e politico come Mandela riuscì fermare, con coraggio e intelligenza non violenta. Fino ad ora, Mandela è una eccezione nella storia contemporanea, in compagnia di Gandhi, forse.

Mi chiedo se nei libri di storia ci sarà il ritorno della guerra come dato naturale e inevitabile, in questi ormai prolungati anni, il ritorno in auge di dittatori o autocrati, il traballare delle democrazie liberali. E la immane tragedia di Gaza, che resterà nella memoria come colpa incancellabile dell’Occidente, compreso Israele, che si considera orgogliosamente Occidente. Il popolo antifascista onora ogni anno i sette fratelli Cervi, massacrati dai fascisti nello stesso istante. Sarà così, in futuro, anche per i figli della dottoressa palestinese Alaa al-Najjar, pediatra? Aveva - segno di grande fiducia nella vita - dieci figli. In un solo istante, bombe israeliane buttate su civili, ne hanno ucciso nove. Ieri, è morto anche Hamdi al-Najjar, il padre dei piccoli, non sopravvissuto alle bombe. Quale è la differenza, rispetto ai fratelli Cervi? I sette fratelli Cervi, antifascisti coraggiosi, sapevano i rischi che correvano, avevano fatto una scelta consapevole. I nove bambini palestinesi?

Stanno accadendo cose enormi. Qualche risveglio di coscienza europea si intravede. Puglia e Emilia Romagna hanno deciso di interrompere rapporti di qualunque tipo, diplomatico, economico, con Israele. E’ ciò che da quasi due anni stanno chiedendo giovani, donne e uomini, in tante Università, negli USA e in Europa. Una avanguardia che ha avuto e ha una vista più lunga dei potenti che governano.

Fin qui sappiamo cosa è e sarà scritto nei libri di storia, sempre che l’insofferenza per i fatti raccontati con metodo e libertà non riduca la storia a riassunti sommari e di validità scientifica pari a zero. Il finale che sarà scritto non lo conosciamo. Quale è il lavoro che ora ci compete? Dimostrare con azioni visibili e parole, dette e scritte, che ciò che è carne delle democrazie liberali, il pluralismo e le libertà, si esercita quotidianamente, qui, nel nostro malmesso Occidente, che è, appunto, anche nostro. E noi siamo parte dell’Occidente che è con i palestinesi, che considera Netanyahu e i suoi sodali criminali di guerra, che Putin appartiene a un passato che la storia dovrà pur superare e che fare guerre è appunto il suicidio della politica. Regioni - anche la nostra, appunto - e comuni stanno deliberando l’interruzione dei rapporti con Israele. A Ravenna da più di un anno c’è stata, e continua, una mobilitazione per la pace e per la salvezza del popolo palestinese. Abbiamo chiesto e ottenuto che quasi tutti i comuni della nostra provincia approvassero ordini del giorno di riconoscimento dello Stato di Palestina, uno Stato per ora senza terra. Mi chiedo. Due popoli e due Stati? Slogan pluridecennale, con esito zero, e siamo a questo punto. Un unico Stato plurinazionale? Era l’ideale auspicato da Hannah Arendt, ebrea non sionista, inascoltata. Cosa vedrà, il futuro? Se non si arriverà in tempi brevissimi ad una pace, non ci saranno problemi da risolvere, perché il popolo palestinese sarà cancellato, o rimosso, in una diaspora infinita. Cosa ci sarà scritto nei libri di storia, di filosofia, di politica?  E, soprattutto, chi li scriverà? Tramonto o collasso dell’Occidente? L’Occidente non è una espressione geografica. E’ una storia dai mille volti, fatta di pagine tragiche e pagine luminose. Altiero Spinelli pensava che l’Europa dovesse fondarsi sulle pagine luminose, giustizia sociale, uguaglianza, libertà. Una Europa che è tale se rifiuta nazionalismi e guerre. Ma una Europa che non accoglie, e che tardivamente si indigna per Gaza, è l’Europa di Spinelli?

Inoltre, noi, occidentali di un certo tipo, che tremiamo per Gaza, che sentiamo amici e a noi molto vicini gli ebrei non sionisti che condannano Netanyahu, che solleviamo più che un sopracciglio quando ascoltiamo Trump e il neo zar Putin, come stiamo vivendo nel nostro paese, dove tira un’aria non buona, a proposito di democrazia? Le recenti elezioni amministrative confermano, anche a Ravenna, un forte astensionismo. Se per le amministrative ci volesse il quorum, come per i prossimi referendum dell’8 e 9 giugno, a Ravenna non lo avremmo avuto. La vittoria del fronte progressista al primo turno è stata chiara e apprezzabile, ma un campanello d’allarme per la democrazia resta. 

Alcune Associazioni e Comitati della società civile, nel ravennate, da tempo attivi per promuovere la conoscenza e la difesa della Costituzione, hanno promosso incontri pubblici a sostegno dei 5 Sì nei referendum dei prossimi 8 e 9 giugno. Per una ragione a nostro avviso molto semplice. Quesiti sul lavoro e sulla cittadinanza dovrebbero riguardare solo un sindacato o chi si impegna per i diritti umani? Decisamente, no. E a sostegno di questa convinzione, abbiamo chiamato a ragionare con noi intellettuali, economisti, una filosofa, una giudice, un costituzionalista. Anche sindacalisti, ma mai da soli. Sono convinta che solo il rimescolamento di tante esperienze e plurali conoscenze possano rimettere in piedi una politica che, nel nostro caso, ha come bussola la Costituzione. Certo, il mondo del presente è assai diverso dagli anni in cui la Costituzione è stata pensata e scritta. E c’è chi, non solo a destra, ha pensato e pensa che la Costituzione vada cambiata per renderla adatta al presente, e ha fatto leggi che contrastano spirito e lettera della Costituzione. Quale presente?  Un presente che ha visto, per incapacità o non volontà, l’indebolirsi della cultura dei diritti e dei doveri, e il primato dello sviluppo, costi quel che costi. La mondializzazione dell’economia avrebbe avuto bisogno di espansione e rafforzamento della cultura costituzionale, espansione che una forte partecipazione popolare chiese e ottenne negli anni Sessanta e Settanta. Torniamo quindi al punto dolente, quello della partecipazione, che ha una storia declinante. Più cresceva il bisogno di partecipazione attiva e più la partecipazione calava. Sfiducia e delusione hanno allontanato non solo dalle urne, ma da molte forme di impegno politico organizzato.  Più contenuto, invece, il calo della partecipazione nel volontariato sociale e culturale, dove i risultati sono immediati e tangibili. Quindi, c’è una sorta di impazienza unita a sfiducia, e una sottovalutazione dei tempi della storia, diversi dai tempi delle nostre singole vite. Chi opera, con disciplina e onore, come richiede la nostra Costituzione, nei partiti politici organizzati, è da questa difficile realtà che deve ripartire.

Non considero quindi l’invito all’astensionismo fatto da partiti di maggioranza e addirittura dalla seconda carica dello Stato, il presidente del Senato Ignazio La Russa, una condotta disciplinata e onorevole. Anzi, è un insulto a cielo aperto alla Costituzione, che ci richiama al diritto e dovere del voto, e alla partecipazione in ogni luogo dove si svolga la nostra vita sociale. Il presidente Mattarella ripete sempre un solido concetto. La Costituzione va vissuta ogni giorno. Lo ha affermato con forza anche oggi, 2 giugno, festa della Repubblica e della Costituzione.

Il DOVERE della partecipazione è risuonato sempre nel corso dei nostri incontri a sostegno del Sì. Partecipazione e consapevolezza. Daniela Padoan, presidente nazionale di Libertà e Giustizia, ci ha informato di una importante iniziativa, che ha, in premessa, parole di efficace sintesi. È il momento di prendere la parola, insieme, per fermare un disegno autoritario che anche in Italia minaccia i principi costituzionali di eguaglianza e solidarietà. Per questo, l’associazione Libertà e Giustizia e Castelvecchi editore hanno promosso la nascita di un Osservatorio sull’autoritarismo. Hanno aderito intellettuali, giuristi, costituzionalisti, storici di moltissime università, non solo italiane. Un esempio per tutti, l’adesione di Judith Butler, filosofa e femminista americana di fama mondiale, che sta vivendo in diretta l’apice dell’autoritarismo in Occidente, quello che sta mettendo in atto, e in modo crescente, Trump, il più delle volte chiamato tycoon, che significa magnate. Per ora in Italia non abbiamo mai avuto un Presidente della Repubblica scelto per i suoi meriti di magnate, che significa saper fare un mucchio di soldi. Ma un presidente del Consiglio, sì. Un primato italiano, che ha segnato un secondo ventennio, i cui lasciti sono ancora operosi. Alcuni teorici stanno individuando una mutazione, il passaggio dalla democrazia alla plutocrazia, dalla sovranità del popolo al potere dei ricchi. Che sia una mutazione definitiva lo ritengo - spero - improbabile. Negli Usa contropoteri sono in opera. Giudici, intellettuali, Università prestigiose, qualche - ancora in scarso numero - esponente del partito democratico, in buona misura tramortito per la schiacciante vittoria del tycoon, che ha affascinato anche la classe operaia. Se i ceti “bassi” votano i magnati, chi opera in ambito politico, e si considera progressista, dovrà sicuramente mettesi al lavoro, per capire e poi agire. Questa è l’intenzione dell’Osservatorio sull’autoritarismo, i cui lavori diventeranno patrimonio comune di conoscenza e consapevolezza.

Di consapevolezza ci ha parlato in modo simpatico Gianfranco Pagliarulo, presidente nazionale Anpi, raccontandoci l’aneddoto della rana, creatura che ama l’acqua, tutta contenta perché sente l’acqua farsi tiepida e confortevole, ancora contenta poi perché l’acqua si fa più calda, visto che si avvicina l’inverno. L’acqua arriva a bollore, e la rana è spacciata. Vogliamo fare la stessa fine della rana, distraendoci, chiudendoci in casa, sottovalutando segnali sempre più preoccupanti di esplicito fastidio per la partecipazione e la libertà? Anche la filosofa Roberta De Monticelli, l’economista Giuseppe De Marzo, il giovane attivista di Libera Carlo Giannelli Garavini, nel loro dialogo hanno scambiato parole di condanna e di speranza. Un recente libro di De Monticelli ha un titolo significativo Umanità violata. La Palestina e l'inferno della ragione. De Monticelli vede quanto sta accadendo in Palestina come l’incarnazione del male, dove vige la legge del più forte, ed è morte della politica. Dove sono finiti i nostri valori? Quali? L’Illuminismo ne ha fondati di nuovi, fraternità, libertà, uguaglianza. Ma hanno cancellato le precedenti verità “naturali”, disuguaglianza, dominio, schiavitù? O è stata una luminosa mano di vernice sul mondo, ma “sotto” persistono disuguaglianze, schiavitù, guerre? Colonialismi e apartheid non sono morti, dopo il nostro illuminismo. Ci vuole altro, che ancora non c’è, ci ha detto l’economista De Marzo, che ha spiegato la prima ragione della sua adesione al Comitato Referendario nazionale: combattere le disuguaglianze, e raggiungere il quorum per fare giustizia. Viviamo in democrazie a bassa intensità, anche là dove non ci sono guerre. Il tecno capitalismo sta devastando le nostre democrazie. De Marzo è il coordinatore nazionale della Rete dei Numeri pari, composta da settecento associazioni fondate sul principio della uguaglianza e della solidarietà. Inoltre, è fondatore della Scuola Gea, dedicata ai temi della Giustizia Ecologica e Ambientale. E’ dal basso che la democrazia può rigenerarsi, percorrendo strade nuove, andando oltre il Novecento. Carlo Giannelli Garavini sostiene che le questioni sollevate dai nostri referendum toccano la punta di un iceberg molto profondo - la mafia è meno visibile di un tempo ma molto diffusa e radicata, anche al Nord, anche in Emilia Romagna -, che  potrà essere eroso solo con visioni del mondo che si fanno azioni concrete e diffuse, come in numerosi casi accade con i beni confiscati alla mafia, quando diventano cooperative sociali vere, dove solidarietà, lavoro giusto e rispetto mettono al centro le persone. Esempi di come dovrebbe andare il mondo. Perché cooperative vere? Perché rispettano il significato, fin dalle loro origini ottocentesche, delle cooperative, che è condivisione, solidarietà, reciprocità. Esistono cooperative, invece, sotto mentite spoglie. Ma non di queste c’è bisogno. Anzi, sono un segno di decadente ipocrisia, che liscia il pelo della ingiustizia e della disuguaglianza.

Abbiamo avuto anche uno spazio di riflessione sui referendum dal punto di vista specifico della Costituzione e delle leggi. Gaetano Azzariti in un efficace excursus, ha definito l’istituto del referendum come un plusvalore democratico che la Costituzione prevede. E’ democrazia diretta, il nostro voto ha efficacia immediata, in positivo o in negativo. I referendum in Italia hanno fatto la storia. Divorzio e possibilità di abortire lo hanno deciso le cittadine e i cittadini. No al Nucleare e Sì all’acqua pubblica, questioni enormi, lo abbiamo deciso noi. Decisioni indigeste che, ora, vengono messe in discussione. Se non ci sarà il quorum per i referendum dell’8 e il 9 giugno, si darà una mano anche a chi vuole di nuovo il nucleare e la privatizzazione dell’acqua. Invece è possibile - ed è doveroso sperarlo - invertire la rotta, evitare il peggio per preparare il meglio, partendo dal lavoro e dalla cittadinanza. E’ questo un concetto sul quale Azzariti ritorna spesso. E non fa sconti. Il voto non è tutto, certamente. La partecipazione attiva va oltre il voto. Ma il voto è il minimo. E’ un diritto e un dovere. Chi non vota non avrà poi alcun diritto di lamentarsi. La giudice del Tribunale di Ravenna Cecilia Calandra ha esaminato i quesiti referendari con una accurata analisi, comparando le leggi vigenti con le modifiche proposte. Ha affidato a noi la scelta definitiva.

A nostro avviso i 5 Sì sono la nostra risposta, il minimo, appunto, che in questo momento possiamo fare, rispetto all’iceberg di ingiustizia che incrina la tenuta democratica del nostro paese, e non solo.  Christian Ferrari è il terzo sindacalista che ci ha accompagnato nel nostro tour referendario, dopo Massimo Bussandri e Manuela Trancossi.  Ha dato valore al nostro impegno, di Associazioni e Comitati che hanno pensato che i referendum fossero cosa nostra e non solo sindacale. Ci ha dato informazioni interessanti, in base a ultime rilevazioni. L’interesse per i referendum sta crescendo, e anche l’intenzione di andare ai seggi. C’è una rotta da invertire, se vogliamo fermare una brutta storia, una vera e grave ferita. Cinquecentomila giovani hanno lasciato l’Italia per cercare una vita migliore altrove. Una migrazione italiana. Ci ricorda qualcosa? L’Italia è il paese europeo nel quale c’è più precarietà. L’astensionismo è forte nei ceti poveri. La sfiducia nella democrazia è un urlo che chi siede in Parlamento dovrebbe ascoltare e capire. Può la democrazia raccogliere fiducia se chi lavora vede il suo lavoro umiliato, se chi, non nato in Italia, vive e lavora in Italia da tempo, paga le tasse, è in regola, ma non è cittadino ed ha, in quanto non cittadino, diritti ridotti al minimo?

Il nostro tour referendario si concluderà giovedì prossimo, 5 giugno, a Faenza, con Nadia Urbinati e Martino Albonetti, una politologa che vive fra la Columbia University di New York, Bologna e la Normale di Pisa e Martino Albonetti che fu, a suo tempo, il più giovane Senatore della Repubblica. Li ascolteremo con grande attenzione.

La nostra è una Repubblica che ha solide fondamenta radicate nella Costituzione. Ma tempeste in corso, da tempo, la stanno indebolendo. Possiamo ignorarlo?  Abbiamo, ognuna e ognuno di noi, una responsabilità non piccola, per tenere salde le fondamenta della Repubblica e per impedire che prevalga il peggio. Siamo in attesa del meglio.

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