Si chiude con la Toscana il primo tempo della partita sul voto regionale. Al netto del voto in Valle d’Aosta – non comparabile con le altre regioni – il centrodestra vince con ampio margine in Marche e Calabria, mentre in Toscana l’esito è opposto. Nel campo largo il Pd giunge intorno al 35%, bene Avs, meno M5s. Crolla la Lega, con Vannacci. Complessivamente, due i dati da cogliere: Giani vince con distacco (circa il 15%), ma si conferma il forte astensionismo. Vota meno della metà del corpo elettorale.
Avremo il secondo tempo il 23 e 24 novembre. Il Veneto si mostra non contendibile, mentre in Puglia e Campania, secondo le previsioni, il centrosinistra può prevalere. È cosa rilevante, poiché siamo sostanzialmente al lancio di una lunga campagna elettorale che si chiuderà solo con il voto politico nazionale nel 2027. Ma proprio per questo il centrosinistra è ora chiamato a vincere bene, e non per un pugno di voti.
Bisogna cogliere la lezione che viene dal contrasto tra la fuga dalle urne nel voto regionale e l’amplissima partecipazione popolare nelle manifestazioni per Gaza e la pace, poi confermata nella marcia Perugia-Assisi. Giorgia Meloni ha ancora ribadito che la pace non si fa con le piazze e le parole, confermando la fondamentale allergia della destra alla partecipazione democratica. Ma non è così. Le manifestazioni in Italia, in Europa e nel mondo hanno pesato. E bisogna prenderne atto nel giorno in cui parte un percorso, pur difficile e gravido di incognite, verso la pace in Medio Oriente.
È stata una partecipazione largamente spontanea e connotata dalla forte presenza di giovani, mentre le iniziative di sindacati e partiti ci avevano da tempo abituati al prevalere di capelli bianchi o brizzolati. È il segnale di un distacco crescente tra popolo e istituzioni, e in particolare tra i giovani e la politica ufficiale. Un gap che non viene colmato a sufficienza dalla giustapposizione fredda di soggetti diversi, che non è sufficiente a richiamare chi ha deciso di disertare le urne.
Abbiamo bisogno di un nuovo linguaggio e di un nuovo progetto. Per come sta andando la campagna elettorale in Campania qualche dubbio viene. De Luca continua con gli attacchi verbali e si dice che intenderebbe mettere il nome sui manifesti elettorali della sua lista. Chiede: perché non si è data a M5S un’altra regione, e non la Campania? Non male, come afflato coalizionale e riconoscimento del candidato Fico.
Capiamo le ragioni dell’aggressività verbale di De Luca. Non è volta solo ad assicurare una astratta continuità con i risultati dei suoi dieci anni di governo. Si rivolge ai tifosi della curva sud mentre tratta per i candidati e per la lista, con l’obiettivo di massimizzare il risultato elettorale e mantenere per quanto possibile la sua rete di rapporti e di influenze. Non è solo un dato caratteriale, ma essenzialmente calcolo politico. È possibile che ottenga qualche risultato. Ma non si richiama così alle urne chi oggi le diserta. E rimane la domanda: farà danno agli alleati e in specie al Pd? Se De Luca continuasse sui medesimi toni, fino a quando i suoi compagni di strada potrebbero fingere di non vedere e non sentire? E il segretario regionale Pd? Era ovvio che la posizione di De Luca jr sarebbe stata scomoda. La metà degli iscritti al partito che non lo ha votato gli ha già mandato un chiaro messaggio. Intanto i partners di coalizione devono evitare di farsi dettare l’agenda dall’ex presidente. Una discontinuità deve cogliersi. Ed è importante che sia una discontinuità accettata anche dal Pd.
La Campania non deve essere un sistema politico separato, ma deve al contrario avere un linguaggio comune, con i livelli nazionali dei partiti e con le altre regioni del Sud. È la sola via per pesare sulle scelte in questioni ineludibili per la Regione e per il Mezzogiorno, e in sedi decisive come la conferenza Stato-Regioni, in cui non si vince se la partita è Campania contro il resto del mondo. Vedremo nelle prossime settimane se il centrosinistra, con la scelta di liste e priorità, saprà trovare la strada giusta.
Soprattutto, bisognerà cercare il modo di contrastare la disaffezione verso la politica, magari anche con forme di partecipazione nuove come abbiamo discusso con Fico – che ha mostrato interesse - all’Istituto di Studi filosofici venerdì 10 ottobre. E magari riusciremo anche a dimostrare ai più giovani che non è necessario fare le valige ed emigrare in cerca di una vita migliore.