Ha suscitato un’ondata di sdegno la notizia del decreto del Ministro dell’Interno pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 21 settembre, con il quale si consente ai richiedenti asilo di sfuggire alla detenzione negli appositi centri di trattenimento previo il pagamento di una tassa per la libertà di quasi 5.000 euro. E’ stato argomentato che la somma richiesta costituirebbe una sorta di “riscatto” per ottenere la libertà, un “pizzo” di Stato. Tuttavia, dovendosi addentrare in una selva legislativa particolarmente oscura, in cui si intersecano fonti legislative nazionali ed europee e atti amministrativi, per poter esprimere una valutazione congrua, occorre fare un po’ di chiarezza sull’origine, sui destinatari, sull’ambito di applicazione del provvedimento.
All’origine del provvedimento c’è una norma del decreto Cutro, l’art. 7 bis (Disposizioni urgenti in materia di procedure accelerate in frontiera) che introduce, sulla falsariga della Direttiva “Procedure” dell’Unione Europea, una procedura accelerata, da svolgersi direttamente in frontiera o nelle zone di transito per i richiedenti asilo provenienti da paesi ritenuti “sicuri” (Albania, Algeria, Bosnia Erzegovina, Capo Verde, Costa d’Avorio, Gambia, Georgia, Ghana, Kosovo, Macedonia del Nord, Marocco, Montenegro, Nigeria, Senegal, Serbia e Tunisia). Si tratta di una procedura finalizzata ad una rapida evasione della domanda di asilo e al rimpatrio immediato. Per evitare il pericolo di fuga è previsto che lo straniero possa essere trattenuto fino ad un massimo di 28 giorni: “qualora il richiedente non abbia consegnato il passaporto o altro documento equipollente in corso di validita’, ovvero non presti idonea garanzia finanziaria.” Insomma il decreto Cutro, forzando le procedure europee, ha introdotto una forma speciale di detenzione amministrativa per alcune categorie di richiedenti asilo ai quali è riservato un esame sommario della domanda di protezione internazionale, posto che provengono da paesi “sicuri”. Si può sfuggire all’internamento solo in due ipotesi: se gli stranieri consegnano il passaporto, ovvero se prestano idonea garanzia finanziaria. Astrattamente la possibilità di prestare una garanzia finanziaria dovrebbe essere una misura a favore del richiedente asilo che non può o non vuole consegnare il passaporto. Il decreto del Ministro Piantedosi dovrebbe consentire l’esercizio di questa facoltà, ma in realtà la nega, rendendola impossibile.
Infatti l’art. 3 del decreto Piantedosi (Determinazione delle modalità di prestazione della garanzia finanziaria) prevede:
1. Allo straniero di cui all’art. 1, comma 3, del presente decreto è dato immediato avviso della facoltà, alternativa al trattenimento, di prestazione della garanzia finanziaria. 2. La garanzia finanziaria è prestata in unica soluzione mediante fideiussione bancaria o polizza fideiussoria assicurativa ed è individuale e non può essere versata da terzi. 3. La garanzia finanziaria deve essere prestata entro il termine in cui sono effettuate le operazioni di rilevamento fotodattiloscopico e segnaletico ai sensi degli articoli 9 e 14 del regolamento UE n. 603/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio del 26 giugno 2013 (..)
Secondo questo provvedimento, il tunisino o l’algerino che sbarca a Lampedusa entro tre giorni (il tempo previsto per le operazioni di fotosegnalamento) si deve rivolgere ad una Banca o ad una Assicurazione (mentre si trova rinchiuso nel centro di identificazione) e farsi rilasciare una fideiussione o una polizza fideiussoria: operazione assolutamente impossibile, anzi inimmaginabile. Per eliminare ogni residua possibilità di prestare una garanzia finanziaria, il decreto prevede che la polizza non può essere versata da terzi (come potrebbe fare, per es., un parente residente in Italia che sia titolare di un c/c bancario). Con il decreto Cutro, come applicato da Piantedosi, è stata inaugurata una nuova tecnica normativa: la burla legale. La legge non serve a dare delle disposizioni che devono essere attuate da qualcuno, per perseguire dei fini più o meno legali, ma per sbeffeggiare i soggetti interessati ed ingannare l’opinione pubblica.
Tuttavia l’aspetto più scandaloso non sta nella burla sulla garanzia finanziaria, bensì nella procedura di somma urgenza che sacrifica pesantemente la possibilità per il richiedente asilo di far valere il suo diritto alla protezione internazionale, ove sussistente. E’ infatti previsto che la Commissione territoriale debba decidere entro sette giorni. Contro la decisione è ammesso ricorso nel termine di 14 giorni sul quale il giudice monocratico deve decidere entro cinque giorni con un decreto non impugnabile (cioè non appellabile, né ricorribile per cassazione). In questo modo è stato reso evanescente il diritto alla difesa, garantito dall’art. 24 della Costituzione, e la possibilità di ottenere la tutela giurisdizionale contro i provvedimenti della pubblica amministrazione assicurata dall’art. 113 della Costituzione. Verrebbe da ridere, di fronte a tanta sfrontatezza ed arroganza, se non ci fosse da piangere.
(articolo pubblicato sul Fatto quotidiano del 27 settembre con il titolo: Nel DL Piantedosi nessun “pizzo”, ma burla di Stato.)