Il salvatore della patria, l’eroe, l’uomo forte che con i suoi muscoli ci trascinerà fuori dalla palude. Ci risiamo. Nell’Italia dei partiti agonizzanti e liquidi, ingolfati da una crisi trentennale, la soluzione è sempre la stessa: attendere l’arrivo dell’uomo della Provvidenza. Che in effetti, dopo mesi durante i quali un’eco premonitrice faceva rimbombare il suo nome tra i palazzi della politica, è stato invocato ufficialmente. Così è arrivato, trovando le porte aperte, anzi spalancate, dal grimaldello Renzi-Verdini, con l’avallo di Berlusconi e del PD e su mandato di quei poteri sovrapolitici che decidono le direzioni della politica e dell’economia italiane ed europee. L’uomo della Provvidenza è Mario Draghi, ex governatore della BCE, un uomo dall’alto profilo internazionale, apprezzato in Europa e non solo. Non entriamo qui nel merito delle polemiche su Draghi, delle fazioni opposte, delle divisioni tra chi celebra le sue buone mosse per aiutare l’economia italiana e chi ricorda quelle meno buone che hanno appoggiato spesso le politiche sanguinose della Troika europea.
Non è questo il punto. Davanti allo scenario attuale, con i disastri della pandemia da affrontare, il peso in Europa è ancor più centrale ed era scontato che il presidente Mattarella chiedesse a Draghi di assumersi la responsabilità di provare a formare un governo. Così come era scontato, al di là del gioco delle parti e delle mosse strategiche, che Draghi accettasse. Era una scelta logica, un copione peraltro già scritto, una soluzione già pronta davanti agli scricchiolii della vecchia maggioranza, nella quale Renzi, strumento consapevole di questo gioco, martellava quotidianamente la parete portante del governo. Ma questo è ormai il passato. Il presente invece ci parla di un governo nuovo, con una composizione che mischia tecnici, alcuni di livello e affidabili, altri molto discutibili, a ministri politici, sui quali gli aspetti discutibili sono ancora più numerosi ed evidenti. In mezzo, il mainstream, un circo mediatico che, con un’eccitazione senza precedenti, in buona parte osanna il nuovo premier e saluta positivamente la sua squadra.
Una narrazione stucchevole che celebra e ci propone Draghi in tutte le salse, raccoglie le testimonianze dei compagni di scuola, le citazioni, la famiglia, e così via. Ma questo è piuttosto normale ormai. Quello che non è normale è il clima di fiducia incondizionata nei confronti di un uomo che, al di là della sua competenza tecnica e di un discorso dignitoso ma scontato sui temi (innovazione, transizione, parità di genere, riforme sono un obbligo per utilizzare i fondi del NextGeneration EU), non ha ancora espresso con chiarezza quale sia la sua visione politica. Perché questo governo non è un governo tecnico, ma fortemente politico.
E infatti i partiti hanno già iniziato il pressing, le manovre, le bizze e hanno ottenuto già qualcosa. Ossia, piazzare i loro uomini e le loro donne (troppo poche), che rappresentano visioni molto precise rispetto al Paese, all’economia, al sociale, alla cultura. Un tetro arcobaleno di personaggi vari: da chi ha espresso posizioni omofobe, a chi ha idealmente appoggiato le logiche aberranti di cui si fa portatore il Family Day; da chi opera per grosse società che ricavano introiti dalla produzione di armi e veicoli militari, a ex ministri che hanno già ampiamente danneggiato i settori nei quali hanno operato in passato; fino alle eminenze grigie di partiti sovranisti e razzisti.
Per alcuni questo è il governo dei migliori. Ma sembra un’etichetta pubblicitaria, più che una realtà fattuale. Di sicuro, l’operazione che ci ha portato a questo nuovo governo, ha centrato l’obiettivo di indebolire le forze non di sistema, per sostituirle con chi del sistema è pienamente parte da sempre. I Cinque Stelle sono stati sgretolati ulteriormente e infilati in una crisi dalla quale difficilmente usciranno senza scossoni fatali. Per molti è una cosa positiva, si ride, si sprecano le battute, ma di positivo vi è poco. Perché, per quanto incompetenti e surreali, destrorsi e ignoranti in molte loro componenti, i 5 stelle sono comunque un contrappeso importante sulle scelte che verranno prese in materia ambientale. Sicuramente molto più di un PD che ancora non mette l’ambiente al centro della propria azione politica. C’è poco da festeggiare, pensando che la transizione sarà affidata a chi viene da Leonardo Spa, vale a dire Finmeccanica, a chi guarda al mondo e al profitto partendo dall’industria degli armamenti.
Allo stesso modo, non c’è da festeggiare se il centrosinistra, con l’eccezione di Sinistra Italiana, decide di essere parte attiva di un governo che è politicamente a destra, assumendosi la responsabilità di appoggiare scelte sulle quali difficilmente potrà dire qualcosa che conti e dalle quali potrà distanziarsi pur di non far cadere il governo. Avrebbe potuto avere più coraggio, dire un no, o meglio avrebbe potuto scegliere l’opposizione annunciando la fiducia iniziale al governo e poi votando o non votando i singoli provvedimenti. Ma non è quello che voleva. Con l’alibi della pandemia ha detto di sì, ha appoggiato questa operazione. Come se la pandemia non si potesse lasciar gestire a un governo non politico, ma appoggiato esternamente dalla politica. Fa davvero impressione l’inconsistenza del PD e del suo segretario. E anche la placida accettazione dei suoi militanti, che non provano alcun imbarazzo a governare con Salvini. D’altronde, la base PD, in buona parte, in questi anni ha accettato di tutto nella speranza di contare qualcosa. Ha accettato il patto del Nazareno, Renzi, il jobs act, Gentiloni, Minniti, gli accordi con la Libia, la guerra alle ong, e adesso questo governo di destra. Ha accettato di tutto senza mai agitarsi troppo.
Così ci ritroviamo, nel giro di pochi mesi e grazie a un’operazione chirurgica della quale abbiamo visto solo i bisturi, un governo conservatore, lobbistico, di destra, con una opposizione anch’essa di destra, se si eccettua qualche minimo afflato di sinistra con Fratoianni e alcuni dissidenti Cinque Stelle che non voteranno questo scempio. Non solo, ma all’opposizione, ossia alla Meloni, che ha il gruppo più ampio, spetteranno alcuni posti importanti, probabilmente anche la Vigilanza Rai e il Copasir (anche se si spera nel ripetersi di eccezioni passate). Tutto questo è spaventoso, mette il futuro delle nuove generazioni e del Paese nelle mani di un uomo prestigioso ma fin troppo incensato dai media e da una narrazione univoca, appoggiato da gran parte della politica e dal Capo dello Stato. Un governo bulgaro che non ha praticamente opposizione. Dove l’Europa e le banche avranno un ruolo predominante. Dove si annuncia di riformare la PA, avendo come ministro Brunetta.
Dove si annuncia di riformare la giustizia senza che sia dato sapere con quale visione della giustizia stessa. Dove già la Lega ha iniziato il suo pressing sui migranti e il PD ha perso quel briciolo di credibilità che restava e che con il Conte 2 in parte aveva guadagnato. Un governo che puzza di naftalina, stantio e vecchio, che pretende di fare scelte che ricadranno sul futuro delle nuove generazioni. Un governo che adesso dovrà affrontare in fretta il virus e la crisi economica, che intanto hanno ottenuto un certo vantaggio grazie alla irresponsabilità di chi ha messo in atto questa manovra di potere. Il popolo applaude un eroe impenetrabile, che parla poco ma che già ha compiuto scelte e riempito caselle con pedine tutt’altro che di alto profilo e con logiche politiche inquietanti. Qualcuno ride, altri sghignazzano per l’obiettivo raggiunto. Il Paese attende, sperando di non ritrovarsi a piangere, come aveva già fatto dinnanzi a rottamatori burleschi o a burocrati di rango internazionale scambiati troppo facilmente per eroi.
Massimiliano Perna -ilmegafono.org