Il disastro è solo rinviato. E non solo perché è improbabile che Mattarella rimanga in carica per l’intero settennato, ma piuttosto perché i limiti della attuale classe dirigente, che, attraverso i partiti, controlla il Paese, sono emersi platealmente nella vicenda della elezione del Capo dello Stato.
L’idea che, a causa di veti e controveti, dispetti e rese dei conti di vecchie ruggini, meschine ambizioni e obiettivi personali, non si riesca a individuare una personalità della cui imparzialità e fede democratica tutti possano fidarsi, è grottesca. E dimostra che in realtà dell’interesse della nazione poco interessa a lor signori, sensibili a ben altri interessi.
Purtroppo è sin troppo facile prevedere che dal teatrino di questi giorni nascerà una forte richiesta della opinione pubblica per l’elezione diretta del Presidente e si rafforzerà l’errata identificazione degli attuali partiti con il sistema rappresentativo parlamentare, rendendo possibile una svolta in senso iper-presidenziale del nostro sistema istituzionale, col superamento del principio della separazione dei poteri, la concentrazione del potere nelle mani del capo dell’Esecutivo e la conferma del ruolo subalterno del Parlamento (già ridimensionato nei numeri dalla disastrosa riforma costituzionale).
Questo rischia di essere il punto di arrivo dell’attacco alla Costituzione e alla sovranità popolare espressa nel suo primo articolo, iniziato alcuni decenni fa con l’approvazione di leggi elettorali maggioritarie e presidenziali a livello nazionale, regionale e comunale.
Non dovremmo scandalizzarci per le politiche, oggettivamente anti-popolari e neo-liberiste del governo Draghi: l’alternanza fra conservatori e progressisti (pare che non si possano più usare i termini più chiari di ‘destra’ e ‘sinistra’) fa parte del gioco democratico. Ma è inaccettabile che, grazie a ingegnerie elettorali che generano ostacoli insormontabili, una larghissima parte dei cittadini, responsabili e impegnati, non sia rappresentata in Parlamento e che gli attuali Parlamentari abdichino al proprio ruolo, riducendosi a meri passacarte, nella speranza di essere nuovamente scelti dai propri (o altri, in troppi casi) partiti.
Il quadro drammatico in cui stiamo vivendo: disastro ambientale, allargamento delle distanze fra aree di povertà e Paesi opulenti, concentrazione della ricchezza a livello mondiale in poche avide mani, minacce crescenti di ulteriori focolai di guerra (ce ne sono già troppe in corso), frutto del dilagare delle dottrine liberiste e monetariste, dovrebbe rendere improponibile l’idea che possano esistere soluzioni e quindi governi ‘tecnici’ o neutrali, che corrispondano alle aspettative di tutti.
Con buona pace di chi lo pensò, la storia non è finita e il confronto fra egoismo e solidarietà (per semplificare) non è superato e, per quanto flebile, rimane la speranza che non tutti continuino a ballare mentre il Titanic affonda.
Dunque occorre fare presto, pretendere una legge elettorale costituzionalmente corretta, quindi proporzionale e che consente all’elettore di scegliere il/la proprio/a rappresentante, e costruire un soggetto totalmente nuovo (termine abusato, è vero) che permetta a chi chiede di cambiare rotta di essere presente nel Parlamento della prossima legislatura.
Chi ostacolasse questo percorso per meschini interessi, personali o di bandiera, si renderebbe corresponsabile del disastro che abbiamo appena rinviato.