Lo spettro del presidenzialismo sta assumendo sempre più le sembianze del premierato (in ultimo le dichiarazioni del capogruppo di Fratelli d’Italia alla Camera): si presenta con il volto amabile di una razionalizzazione circoscritta al presidente del Consiglio e la seduzione dell’elezione diretta.
Occorrerebbe sapere di quale premierato si discorre; tuttavia, sin da ora, non si può tacere sulla diffusa mistificazione della sovranità popolare che si cela nel richiamo al popolo e sul vulnus agli equilibri della democrazia costituzionale che un ulteriore rafforzamento del presidente del Consiglio comporta.
LA SOVRANITÀ POPOLARE. Il senso costituzionale della sovranità popolare è condensato nell’«effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale» (articolo 3, comma 2 della Costituzione), ovvero corrisponde ad una partecipazione sostanziale. Sottolineo: partecipazione alla vita politica, ma anche sociale ed economica. La sovranità popolare vive nei frammenti di sovranità (Ferrajoli) che costruiscono, attraverso i diritti, la dignità e l’emancipazione di ciascuna persona: si esprime, per intendersi, anche attraverso un salario dignitoso e un reddito di esistenza.
La partecipazione effettiva è antitetica rispetto all’affidamento ad un Capo, alla passività intrinseca nell’elezione di un decisore; necessita, invece, di una rappresentanza che sia espressione e specchio del pluralismo sociale e politico. Dunque, si accompagna ad un sistema elettorale proporzionale e alla centralità dell’organo che del pluralismo dovrebbe essere specchio (il parlamento), in una prospettiva relazionale e collettiva che valorizza i corpi intermedi.
LA DEMOCRAZIA è espressione del conflitto. Il suo orizzonte è uno spazio aperto, di discussione e mediazione politica, non il terreno recintato con un dentro/fuori in una logica dicotomica amico/nemico, vincente/perdente.
La scelta del Capo è coerente con la neutralizzazione del dissenso e del conflitto sociale, con la passivizzazione in un primitivismo politico o, meglio, spoliticizzato, con l’affidamento all’ «uomo di fiducia» (Schmitt); è netta la distanza rispetto al progetto costituzionale della costruzione di un popolo consapevole ed emancipato.
La democrazia vive come aggettivata; quella della Costituzione del 1948 è una democrazia costituzionale: suoi fini sono la limitazione del potere e la garanzia dei diritti (articolo 16 della Dichiarazione francese dei diritti dell’uomo e del cittadino, 1789). L’eventuale elezione diretta del presidente del Consiglio e l’attribuzione allo stesso del potere di nomina e revoca dei ministri si inseriscono in un processo di concentrazione del potere, che il meccanismo simul stabunt simul cadent immobilizza, emarginando ulteriormente l’organo assembleare, come l’esperienza comunale e regionale dimostra.
SIA CHIARO: il premierato non è una riforma che riguarda solo il presidente del Consiglio, ma vulnera l’equilibrio fra i poteri, privando il presidente della Repubblica di prerogative significative e riducendo ancor più il parlamento a organo di ratifica.
Ancora, sovranità popolare e democrazia costituzionale non possono essere surrogate da concetti come stabilità e governabilità; formule suggestive, che rinviano al mantra efficentista e si ammantano di una presunta neutralità mentre nascondono le domande: per chi, per che cosa, come? Nell’era della rivoluzione passiva neoliberista e dello scivolamento della democrazia lungo la china dell’autoritarismo, la risposta è tutt’altro che rassicurante.
Infine, una nota. La rappresentanza simbolica, identitaria e unitaria evocata dall’elezione diretta del vertice dell’esecutivo stona con l’immagine di venti piccoli stati o della secessione delle macroregioni ricche, ma con l’autonomia differenziata condivide la neutralizzazione della democrazia come sostanziale. Il regionalismo competitivo à la Calderoli istituzionalizza la diseguaglianza, sostituisce la competitività alla solidarietà e mistifica, attraverso la riduzione ad un (fantomatico) contenuto essenziale, la garanzia dei diritti. La delega acquiescente ad un decisore svuota il senso della sovranità popolare, riducendola ad un simulacro, ad una weberiana democrazia plebiscitaria.
Il senso della sovranità popolare e la ratio della democrazia costituzionale ci ricordano ancora una volta la forza alternativa inscritta nella Costituzione, come via per una democrazia effettiva e sostanziale, fondata sulla partecipazione dal basso e sulla liberazione dai bisogni. Un altro modello politico – ed economico – rispetto all’esistente.