Michele Ainis (Repubblica 12 febbraio) sostiene che con il governo Draghi siamo alla rivincita della Costituzione scritta su quella deformata dalla prassi. Il giorno dopo sul manifesto Mauro Volpi teme un commissariamento della forma di governo parlamentare. Due valenti costituzionalisti esprimono opinioni diverse, sostanzialmente contrapposte.
Forse non tengono nel debito conto un dato: il pregio maggiore della forma di governo parlamentare in genere, e in particolare di quella italiana, è l’elasticità. Ha concesso spazio, nel tempo, a situazioni politiche anche molto diverse. Le scarne regole poste dagli articoli 92 e 94 danno luogo a una forma di governo razionalizzata solo per quanto è realmente necessario. Per il resto, la prassi ha disegnato dettagli ulteriori, che però cedono, se necessario, alle circostanze.
Ed è bene che sia così. La Costituzione non si trova nelle formalità notarili.
Un solo punto in realtà è fermo, e non scalfibile: per l’articolo 94 il governo deve avere la fiducia di entrambe le camere. Tutto quello che accade prima del voto di fiducia può avere svolgimenti formalmente diversi. Ma in ultima analisi la previsione del voto consegna le scelte in ogni momento nelle mani delle forze politiche parlamentari. Sono le loro decisioni a orientare il capo dello stato prima, e l’incaricato poi. Tutto questo è stato vero anche per la crisi ora chiusa.
Mattarella ha constatato che una maggioranza per Conte non c’era e non ci sarebbe stata, mentre non emergeva un altro nome per palazzo Chigi. Non c’era maggioranza, e ulteriori consultazioni sarebbero state inutili. Non volendo giungere allo scioglimento anticipato, per l’incombere della pandemia e delle scadenze dei fondi europei, Mattarella ha incaricato Draghi, dopo aver drammatizzato la scelta con una esternazione dai toni non rituali.
Perché Draghi? Probabilmente perché era il modo migliore di cui Mattarella disponeva per convincere le forze politiche che in caso di fallimento rimaneva davvero solo la via dello scioglimento ad horas. Per questo doveva giocare la carta più alta.
Su questa consapevolezza le forze politiche hanno deciso, valutando le proprie convenienze.
Volendo, avrebbero potuto dire no a Draghi, e rifiutare di entrare nel governo annunciando un diniego della fiducia. Stava per accadere con la Lega, dove Salvini è stato diffidato a partecipare dal mondo imprenditoriale del Nord. Potrebbe accadere per una parte di M5S. Con la fiducia, le forze politiche si impadroniscono del gioco, se vogliono farlo. Hanno tutti gli strumenti necessari.
Se qualcuno teme un commissariamento delle assemblee elettive e una deriva personalistica e plebiscitaria si potrà, ad esempio, diffidare Draghi dal governare a colpi di questione di fiducia (cosa che probabilmente non farà comunque, nella situazione data).
O chiedere un minore ricorso ai Dpcm a favore di leggi, e se necessario decreti-legge. O porre fine alle scarne informative di governo, passando a veri dibattiti seguiti dal voto su atti di indirizzo. O mettere ordine nella selva di comitati tecnici, cabine di regia e momenti di concertazione tra esecutivi, riportando le scelte politiche a palazzo Chigi e nell’orbita del rapporto governo-parlamento e delle correlate responsabilità.
O infine pretendere dal premier che l’ordine del giorno del consiglio dei ministri sia diramato con anticipo, e nulla arrivi fuori sacco per la decisione.
Intendiamoci. La crisi si poteva e doveva evitare. Va imputata senza se e senza ma a Matteo Renzi. Anche Conte ha commesso qualche serio errore, dalla proposta di una cabina di regia per i fondi Ue che emarginava non solo il parlamento ma la sua stessa maggioranza, a una formulazione debole del Recovery Plan, alla ricerca inutile di “costruttori”. Ma erano possibili risposte alternative alla crisi.
Ora, abbiamo un governo spostato a destra, che può certamente non piacere. Ma non sappiamo ancora esattamente quanto e su cosa guarderà a destra. Non sappiamo che farà su temi cruciali come il distacco Nord-Sud, l’autonomia differenziata, la legge elettorale, la scuola, la sanità, l’ambiente.
Lo capiremo meglio dal discorso programmatico, e si valuterà di conseguenza. In ogni caso, al di là delle apparenze, le cose sono andate come hanno voluto le forze politiche. E la saggezza dei costituenti lo ha consentito.